Ieri, il 22 dicembre, il primo ministro slovacco Robert Fitzo è arrivato a Mosca per incontrarsi, nella serata, con Vladimir Putin. In questo modo Fitzo è diventato il terzo leader di uno Stato-membro dell’UE a visitare Mosca dopo l’inizio della grande guerra russo-ucraina: prima di lui lo hanno fatto i primi ministri dell’Ungheria Viktor Orban e dell’Austria Karl Nehammer.
A differenza degli ultimi due menzionati, però, Fitzo non ci è andato per convinzione personale politica o per parlare di qualche problema potenzialmente risolvibile – magari a costi un po’ più alti rispetto al normale – anche senza una continuazione di rapporti con Putin. Ci è andato perché la Slovacchia è uno dei pochi Stati che continua ad acquistare gas russo fisicamente, tecnicamente non avendo altri fonti di fornitura. Il transito del gas destinato alla Slovacchia passa attraverso il territorio ucraino (via un gasdotto che ha continuato a funzionare, senza essere mai danneggiato, anche durante questi anni di guerra) e Kiev ha già detto che sarà interrotto il 31 dicembre, quando scadrà l’attuale contratto con la Russia.
A questo punto provate a ricordarvi: avete letto o sentito dei tentativi (in generale, non solo quelli seri) della Unione Europea di risolvere questo problema della Slovacchia (uno Stato-membro come tutti gli altri) e non costringere un qualsiasi suo Governo ai contatti con Putin?
Poi c’è chi si lamenta (o si stupisce) dell’antieuropeismo di certe persone e dell’opportunismo di certi Governi. Boh…
L’archivio della rubrica «Nel mondo»
Il Presidente ucraino Vladimir Zelensky ha dichiarato – in una intervista al quotidiano francese Le Parisien – che l’esercito ucraino non può riprendere la Crimea e il Donbas con le proprie forze:
Non possiamo rinunciare ai nostri territori. La Costituzione ucraina ce lo vieta. Di fatto, questi territori sono ora controllati dai russi. Non abbiamo la forza di restituirli. Possiamo solo contare sulla pressione diplomatica della comunità internazionale per costringere Putin a venire al tavolo dei negoziati.
E, allo stesso tempo, ha sottolineato che ai negoziati si va solo trovandosi in una posizione adeguata:
Sedersi al tavolo dei negoziati con Putin a queste condizioni significherebbe dargli il diritto di decidere tutto nella nostra parte del mondo. Prima dobbiamo sviluppare un modello, un piano d’azione o un piano di pace – chiamatelo come volete. Poi possiamo presentarlo a Putin o, più in generale, ai russi.
In assenza del sostegno militare sperato e nelle condizioni del conseguente allungarsi della guerra (con la tendenza verso l’infinito, direi) tutte le parole appena riportate sembrano logiche. Anche se non mi basta la fantasia per immaginare (oggi) con quali mosse diplomatiche si possa costringere Putin a restituire la Crimea: non vorrà apparire sconfitto, soprattutto se non lo sarà realmente, e rinunciare al proprio principale «successo» degli ultimi dieci anni.
Evidentemente, ora Zelensky si sta psicologicamente preparando all’idea di dover elemosinare pure il sostegno diplomatico internazionale dopo la fine dei combattimenti: proprio come per ora sta succedendo con gli armamenti. Ma ha il difficile compito di dover spiegare due concetti:
1) il sostegno diplomatico deve comunque essere rinforzato, in questo specifico caso, con le armi;
2) il sostegno diplomatico insufficiente o tardivo farà sentire Putin un vincitore autorizzato a fare qualsiasi altra guerra.
Avendo visto il modo di fare dei burocrati occidentali, non sono molto ottimista…
La lettera di Bashar al-Assad diffusa ieri «da Mosca» è in un certo senso divertente:
Ma io sarei molto più curioso di vedere le immagini di Assad stesso. Perché in effetti, da giorni mi sto divertendo a inventare le ipotesi sul perché non lo facciano vedere (una foto di scarsissima qualità e presumibilmente fake a parte).
È curioso notare che gli incidenti di ieri delle due petroliere russe al largo della Crimea sono una delle conseguenze indirette delle sanzioni occidentali: il petrolio e i prodotti derivati vengono attualmente trasportate, tra l’altro, con una flotta obsoleta acquistata e/o recuperata non si capisce bene dove e non si sa bene in quali condizioni fisiche.
Ovviamente gli incidenti come quelli di ieri non significano che il petrolio russo non debba essere trasportato verso gli acquirenti: anche se gli autori delle sanzioni fanno finta di non saperlo, il mercato del petrolio è globale e non può dunque essere privato di una delle proprie fonti importanti.
Però nel lungo termine gli incidenti simili potrebbero significare che per lo Stato russo aumentano le spese di trasporto e, in qualche misura, si riducono i profitti. Ma questa è già una piccola notizia positiva, quindi, paradossalmente, si potrebbe sperare in altri incidenti. Possibilmente senza il carico trasportato, però…
L’articolo segnalato questo sabato riguarda un argomento assolutamente prevedibile: cosa accadrà ora ai militari e mercenari russi di stanza in territorio siriano. Si dice che siano «migliaia»: non si sa ancora chi, come e quando si occuperà della loro evacuazione.
Tra parentesi: (ancora meno si sa se qualcuno organizzerà l’evacuazione di tutti quei non proprio pochi civili con cittadinanza russa che per qualsiasi motivo si trovano ora in territorio siriano).
L’articolo di cui sopra non risponde a tutte le domande, ma – come spesso succede – è utile per una migliore (o primaria) comprensione del problema.
In una intervista alla rivista Time, che lo ha nominato uomo dell’anno 2024 (a proposito: un raro caso in cui la scelta sembra assolutamente logica), il presidente eletto degli USA Donald Trump si è espresso contro la possibilità di permettere alla Ucraina di colpire il territorio russo con missili statunitensi a lungo raggio:
«I disagree very vehemently with sending missiles hundreds of miles into Russia. Why are we doing that? We’re just escalating this war and making it worse.
Se a dirlo non fosse stato Trump, avremmo avuto un altro motivo per indignarci. Anche se innumerevoli deficienti hanno già in qualche modo definito l’autodifesa ucraina – in corso o programmata – con il termine «escalation». Trump, invece, può affermare ogni giorno qualcosa di nuovo: non quello che pensa, non quello che intende fare e non quello che realmente farà. Mentre ciò che pensa, ciò sta per fare e ciò farà effettivamente non è sempre noto, secondo me, nemmeno a lui.
Quindi mi sembra che è troppo presto per dispiacersi per l’Ucraina. È probabile che dovremmo, al contrario, «congratularci» con Putin per l’arrivo di un poliziotto imprevedibile. Non «buono» o «cattivo», ma proprio imprevedibile.
E Trump, da parte sua, si è già dimenticato della propria dichiarazione.
Il Washington Post scrive che l’Ucraina avrebbe fornito aiuti militari agli oppositori del regime di Bashar al-Assad in Siria poco prima del suo rovesciamento: quattro o cinque settimane fa l’intelligence ucraina avrebbe consegnato 150 droni ai ribelli e ha inviato in Siria 20 persone esperte nel pilotaggio di droni.
In precedenza, le autorità ucraine avevano già riferito della loro intenzione di combattere contro i mercenari russi in Siria. Per esempio, a giugno il Kyiv Post aveva pubblicato un articolo sulle forze speciali ucraine che combattono al fianco dei ribelli contro il governo di Bashar al-Assad e l’esercito russo che lo sostiene. A luglio, poi, si è saputo che l’esercito ucraino aveva colpito una base aerea russa all’interno del Paese.
Non ho dei motivi per non credere a tutte le notizie appena citate anche se a prima vista potrebbero sembrare illogiche. È vero che l’esercito ucraino dovrebbe essere concentrato sulle problematiche molto più attuali, ma i suoi interventi in Siria – sicuramente di portata non particolarmente ampia – perseguivano, in realtà, un importante obbiettivo diplomatico. Infatti, la sconfitta putiniana in Siria (considerato quanto si era in precedenza impegnato a sostenere Assad, si tratta di una sconfitta e di una sconfitta sua) è un brutto colpo per la sua immagine. Ora i leader degli Stati occidentali dovrebbero vedere con la massima chiarezza che l’esercito putiniano è ancora più debole di quanto vediamo sull’esempio della guerra in Ucraina. In sostanza, sta già dando il massimo e non ha le risorse per altre missioni importanti per Putin. Di conseguenza, non dovrebbe avere le risorse nemmeno per agire con ancora più intensità sul fronte ucraino.
Tutto questo induce a pensare che la posizione di Putin nelle ipotetiche trattative sulla situazione in Ucraina non può essere forte. I sostenitori della Ucraina sanno dunque come comportarsi. E meno male.
Non mi sono mai interessato dell’argomento, ma, a giudicare dalle foto attuali, la flotta militare siriana non faceva una particolare impressione nemmeno prima di essere mandata affanculo (questa volta non dagli ucraini, ma dagli israeliani che hanno qualche possibilità tecnica in più).
Sfrutto l’occasione per riportare la conclusione alla quale sono giunti alcuni analisti che ho letto e sentito in questi giorni: Continuare la lettura di questo post »
Il portavoce presidenziale russo Dmitry Peskov ha dichiarato che Vladimir Putin ha preso personalmente la decisione di concedere l’asilo a Bashar al-Assad e alla sua famiglia:
Sul luogo in cui si trova Assad non abbiamo nulla da dire. Tali decisioni [sulla concessione dell’asilo politico] non possono essere prese senza il Capo di Stato. La decisione spetta a lui. In questo caso, non ho nulla da dire.
Chissà cosa avrà da dire se e quando si scopre che Assad non è in Russia, ma tra le macerie del proprio aereo scomparso velocemente dai radar. Anche se per ora capisco il vero motivo della dichiarazione di Peskov: deve far apparire che almeno in un modo minimo lo Stato putiniano aiuta sempre i propri amici.
Secondo Peskov, poi, il rovesciamento del regime di Assad «ha sorpreso il mondo intero» e la Russia «in questo caso non fa eccezione». Ha aggiunto che la questione del dispiegamento militare russo in Siria sarà decisa nei negoziati con le nuove autorità siriane.
Sul fatto che sia stata una sorpresa posso dire qualcosa io: pare che pochi giorni prima della perdita del potere Assad abbia realmente visitato Mosca per chiedere di potenziare gli aiuti militari. Non so in quale miracolo abbia sperato, ma gli è stato logicamente risposto che attualmente l’esercito russo ha altre priorità (indovinate quali). Quella risposta – che non dovrebbe sorprendere nessuno – era sicuramente arrivata nonostante Assad abbia descritto bene la situazione nella quale si trovava in quei giorni.
Allo stesso tempo, lo Stato russo sta ora rischiando di perdere i porti strategici in Siria, che con Assad al potere sarebbero stati – presumo – più garantiti. Di conseguenza, mi sa tanto che i negoziati non andranno tanto bene (i nuovi governanti si ricordano bene il ruolo dell’esercito russo durante la guerra) e Putin avrà la prima grande sconfitta internazionale.
Vediamo se ho indovinato…
P.S.: la fine del regime di Assad è una cosa positiva solo in termini astratti perché non dobbiamo dimenticarci di un piccolo dettaglio: da chi è stata posta.
Le persone realmente interessate hanno sicuramente già letto più o meno tutto il possibile sul tanto caro a Putin missile «Orashnik»: quello che può trasportare solo le cariche nucleari perché si surriscalda troppo nella fase finale del viaggio (le altre tipologie di cariche bruciano sulla strada verso il bersaglio), si disintegra sempre nella fase finale del viaggio ed è attualmente disponibile in due o tre esemplari (non si sa precisamente, ma, comunque, non di più: la cosiddetta «produzione di massa» non si sa come e con quali ritmi procederà). Ma Putin non sa tutte queste cose, quindi è convinto di poter fare paura al mondo semplicemente parlando di «Oreshnik»…
Ecco, sicuramente voi non siete come Putin, ma io vi aggiungo comunque un altro articolo dedicato al missile «Oreshnik» perché per le persone serie gli approfondimenti non sono mai troppi!