Citare le pubblicazioni della agenzia Bloomberg è una cattivissima abitudine (perché i suoi autori inventano troppe cose con il solo obiettivo di attirare le visite), ma alcuni argomenti trattati sono comunque meritevoli di attenzione (possibilmente con l’approfondimento su altre fonti).
Ieri, per esempio, la Bloomberg ha scritto che l’UE rischia di non prorogare le sanzioni contro la Federazione russa perché il Primo Ministro ungherese Viktor Orbán si rifiuta di firmare la loro estensione. Diversi diplomatici avrebbero dichiarato che al momento non esiste un «piano B» per prolungare la validità delle restrizioni se Orban continuasse a bloccarle.
Se fosse vero, si tratterrebbe di una situazione abbastanza brutta: prima di tutto perché se le sanzioni non saranno prorogate anche per un breve periodo di tempo, la Federazione Russa potrà ritirare dall’Europa i fondi sequestrati. Più o meno il 100% degli economisti di cui opinione mi fido dice che lo Stato russo ha abbastanza risorse economiche per continuare il tipo di guerra che osserviamo ora per altri anni, ma farlo, in sostanza, a spese della popolazione interna che avrà sempre più tasse, più inflazione e meno servizi. La domanda, dunque, non cambia: perché aiutare un regime internazionalmente pericoloso a evitare i problemi economici e rinviare le tensioni interne?
E, ovviamente, possiamo esprimere, per l’ennesima volta, la gioia per il fatto che l’UE è organizzata in modo da poter essere bloccata e messa a rischio da parte di un solo cretino comprato da Putin.
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Il governo armeno ha approvato un progetto di legge per l’avvio del processo di adesione della Repubblica all’Unione Europea. Il ministro degli Esteri armeno Ararat Mirzoyan ha dichiarato, tra l’altro, quanto segue:
L’UE ha espresso in varie occasioni il proprio sostegno politico alla democrazia in Armenia, […] ha espresso la sua disponibilità a contribuire al rafforzamento della sostenibilità economica dell’Armenia. È ovvio che l’UE ha le tradizioni democratiche molto ricche, le istituzioni democratiche forti, un ambiente competitivo libero, un’economia moderna, una scienza avanzata e sviluppata.
Sono ancora necessari l’approvazione parlamentare e il referendum popolare del progetto governativo, ma il senso generale di ciò che sta accadendo è già chiaro: il Governo armeno è andato ufficialmente e decisamente nella direzione opposta rispetto alle organizzazioni internazionali (pro-)russe (la permanenza in esse, anche solo formalmente, è impossibile contemporaneamente all’adesione all’UE). Si potrebbe chiedersi, con una espressione di sorpresa «ma perché hanno deciso di farlo»? Si può, ma solo se si è appena arrivati da un altro pianeta. La Russia non fa nulla di positivo per i propri colleghi delle varie organizzazioni interstatali. E ora ha ottenuto un altro grande successo «geopolitico»: possiamo congratularci con Putin e tutti i suoi soci.
Quello che mi preoccupa di più in questo momento non è la probabile reazione della Russia (non sono sicuro che abbia le forze disponibili per farlo), ma la probabile mancanza di coraggio della popolazione armena: come si è visto nella recente esperienza moldava, temo che una percentuale significativa di elettori armeni avrà paura di votare al referendum per un percorso verso l’UE. Perché nell’UE si viene accettati lentamente e in cambio di grandi e sensibili riforme, e poi non si riceve molta protezione dal vicino aggressivo. Mentre la Russia di Putin, con il suo comportamento ben noto a tutti, non è ancora sparita dalla realtà. Spero tanto che queste paure vengano superate.
Ieri, il 22 dicembre, il primo ministro slovacco Robert Fitzo è arrivato a Mosca per incontrarsi, nella serata, con Vladimir Putin. In questo modo Fitzo è diventato il terzo leader di uno Stato-membro dell’UE a visitare Mosca dopo l’inizio della grande guerra russo-ucraina: prima di lui lo hanno fatto i primi ministri dell’Ungheria Viktor Orban e dell’Austria Karl Nehammer.
A differenza degli ultimi due menzionati, però, Fitzo non ci è andato per convinzione personale politica o per parlare di qualche problema potenzialmente risolvibile – magari a costi un po’ più alti rispetto al normale – anche senza una continuazione di rapporti con Putin. Ci è andato perché la Slovacchia è uno dei pochi Stati che continua ad acquistare gas russo fisicamente, tecnicamente non avendo altri fonti di fornitura. Il transito del gas destinato alla Slovacchia passa attraverso il territorio ucraino (via un gasdotto che ha continuato a funzionare, senza essere mai danneggiato, anche durante questi anni di guerra) e Kiev ha già detto che sarà interrotto il 31 dicembre, quando scadrà l’attuale contratto con la Russia.
A questo punto provate a ricordarvi: avete letto o sentito dei tentativi (in generale, non solo quelli seri) della Unione Europea di risolvere questo problema della Slovacchia (uno Stato-membro come tutti gli altri) e non costringere un qualsiasi suo Governo ai contatti con Putin?
Poi c’è chi si lamenta (o si stupisce) dell’antieuropeismo di certe persone e dell’opportunismo di certi Governi. Boh…
Come avrete letto o sentito, molto probabilmente anche più volte, c’è stato uno scambio di detenuti tra lo Stato russo da una parte e l’Occidente dall’altra. Lo Stato russo ha consegnato 16 persone, tra le quali detenuti politici russi (condannati a diversi anni di reclusione per la manifestazione della contrarietà alla guerra) e cittadini tedeschi e americani ritenuti e condannati come spie (utilizzo questa espressione per non farvi pensare che siano realmente delle spie). L’Occidente, invece, ha consegnato 8 persone (tutti cittadini russi), tra le quali un esponente dei servizi segreti russi condannato per l’assassinio di un oppositore ceceno a Berlino e sette spie e/o imbroglioni di livello medio-basso (il primo degli otto è quello che interessava a Putin più di tutti: tenete in mente questa cosa che ci sarà utile tra poco).
I testi più significatici che ho apprezzato io saranno segnalati nel post di domani. Oggi, invece, volevo precisare tre principi base.
1) Perché lo Stato russo ha scambiato alcuni russi per alcuni russi? Lo ha fatto per sbarazzarsi di oppositori e dissidenti politici che poteva anche uccidere senza alcun problema, ma ha avuto l’occasione di sfruttarli per la propria utilità del momento (riavere indietro le persone ideologicamente vicine). Inoltre, in tal modo ha privato – o ha tentato di privare – i politici di opposizione scambiati del loro peso politico interno. Nella inevitabile Russia post-putiniana avranno più peso politico – tra gli elettori e tra le élite – quelli che hanno lottato dentro e non quelli che hanno fatto delle dichiarazioni sui social stando al sicuro nell’UE o negli USA: sono due categorie di persone percepite in un modo molto diverso.
Certo, la legislazione russa in materia vieterebbe consegnare i cittadini russi agli altri Stati, ma Putin usa le leggi solo quando deve fare una determinata operazione in bagno.
2) Perché lo Stato russo ha scambiato alcuni non-russi per alcuni russi? Perché sa che, logicamente, gli Stati occidentali sono prima di tutto interessati al salvataggio dei propri cittadini. Gli ostaggi occidentali nelle carceri russe sono, di fatto, una valuta forte. Ogni occidentale che va in Russia ai tempi di Putin deve comprendere questo rischio: può essere arrestato con una qualsiasi accusa ridicola per diventare una «moneta» della valuta forte, una merce di scambio.
3) Perché Putin voleva tanto liberare l’agente dei servizi segreti Vadim Krasikov? No, non per riutilizzarlo in altre missioni. E non per permettere a quel personaggio di trasmettere agli altri le sue ipotetiche altissime capacità da spia. Evidentemente, voleva liberare Krasikov per dare un messaggio agli altri agenti: lavorate, fate quello che vi diciamo e se qualcosa dovesse andare male non parlate troppo, noi faremo di tutto per tirarvi fuori. Sparate i nostri nemici nei centri delle città europee, mettete il veleno sulle maniglie delle porte, piazzate le bombe, hackerate i database e fate tutto il resto con la massima tranquillità: se vi arrestano, noi organizziamo un altro scambio. Anche perché, effettivamente, nelle carceri russe rimangono centinaia di altri detenuti politici.
Ecco, i tre principi appena elencati non sono una semplice informazione per le persone che si interessano di ciò che succede nelle terre lontane. È un avvertimento.
È un avvertimento del fatto che ora gli agenti dei servizi segreti russi hanno avuto una conferma di quanto menzionato nel terzo principio: possono fare qualsiasi cosa senza preoccuparsi troppo dell’eventuale arresto.
Io sono molto contento per tutte le persone – russi e non – liberate dallo Stato russo nel corso dello scambio di ieri: il carcere russo è uno dei peggiori posti sul nostro pianeta, da non augurare nemmeno ai peggiori nemici. Ma la loro liberazione potrebbe costare la vita a diverse persone che vivono nell’UE o negli USA.
I Paesi dell’Unione Europea hanno finalmente raggiunto un accordo su una tranche di 1,4 miliardi di euro di profitti derivanti dai beni congelati della Banca Centrale Russa, che l’Ucraina riceverà a luglio. Lo ha dichiarato Josep Borrell in una conferenza stampa dopo una riunione dei ministri degli Esteri dell’UE.
Di questa forma di aiuto finanziario alla Ucraina si parlava di molti mesi, l’ultima promessa di concordarlo «a breve» che mi ricordo io era capitata verso la fine di maggio. Direi che nel contesto generale degli aiuti alla Ucraina si tratta di un ritardo molto anomalo: nel senso che è l’unico (o «quasi» l’unico) che può essere spiegato in un modo razionale. Infatti, secondo il mio autorevolissimo parere, i burocrati europei stavano aspettando la fine delle elezioni europee per essere sicuri di poter condurre la stessa politica di prima. La composizione del Parlamento europeo non è stata completamente stravolta, di conseguenza non si dovrebbe aspettare dei cambiamenti politici radicali nella composizione della Commissione. E allora si sono sentiti autorizzati a concretizzare, finalmente, quel tipo di aiuto inventato tempo fa.
Però adesso ci vuole qualche scossa per farli diventare più veloci nelle scelte future.
Quattro Stati-membri dell’UE – Estonia, Repubblica Ceca, Paesi Bassi e Svezia – hanno chiesto alle autorità europee di imporre sanzioni alla Georgia se questa dovesse adottare l’ormai famosa anche in Europa legge sugli «agenti esteri». Secondo il Financial Times, le misure restrittive richieste da quegli Stati comprendono la sospensione del regime di esenzione dal visto tra la Georgia e l’UE, nonché il congelamento dell’assegnazione di fondi europei e sanzioni mirate.
Ammetto di essere fortemente sorpreso da tale proposta, soprattutto per quanto riguarda la questione dei visti. Infatti, i visti costituiscono una cosa importante per i cittadini georgiani comuni (quelli che protestano contro la legge «del tipo russo») e non per il Governo georgiano filo-russo (che sta promuovendo la suddetta legge, che è più interessato alla Russia putiniana che all’UE e che andrebbe avvertito o punito). In sostanza, i quattro Stati propongono di ripetere lo stesso errore che già da oltre due anni si sta facendo nei confronti dello Stato russo: colpire prevalentemente i propri potenziali alleati dentro la Georgia, costringere la gente georgiana cercare (o dare) il sostegno dal (al) proprio Governo anti-democratico e non vedere l’Europa come il proprio difensore.
Insomma, abbiamo avuto l’ennesima conferma del fatto che la classe dirigente europea è piena di cretini incurabili. Anche quando si tratta degli Stati europei che grazie alla propria posizione geografica dovrebbero capire qualcosa in più sui conflitti attualmente in corso…
Il ministro degli Esteri ceco Jan Lipavsky ha dichiarato che gli Stati-membri dell’UE hanno adottato un piano per utilizzare i proventi dei beni finanziari russi congelati a favore dell’Ucraina. Secondo il piano annunciato a marzo da Josep Borrell, il 90% dei proventi dei beni congelati, circa tre miliardi di euro all’anno, saranno destinati al Fondo europeo per la pace istituito nel 2021 (e dal quale vengono ora stanziati fondi per gli aiuti militari all’Ucraina).
A questo punto è importante capire almeno due cose: 1) non sono soldi russi, ma gli utili che si sono formati per dei motivi puramente tecnici (in sostanza, giacenza dei soldi sui conti degli enti di vigilanza finanziaria); 2) nessuno (nemmeno lo Stato russo o l’EU) ci perde alcunché, mentre l’Ucraina ci guadagna.
L’adozione della suddetta forma di aiuto può potenzialmente produrre almeno due effetti positivi: 1) gli USA si decidono, finalmente, di fare anche loro qualcosa del genere (ora hanno la «scusa» del buon esempio); 2) la «ricerca» dei fondi russi continua grazie a un nuovo stimolo.
Ma poi resta il vecchio problema: i soldi ci sono, ma le armi no.
Il «Politico» scrive che i diplomatici europei il tredicesimo pacchetto di sanzioni (programmato per il 24 febbraio 2024) contro lo Stato russo come «simbolico», poiché è necessario più tempo per concordare «qualcosa di più grande». Per ora si parla dell’idea di limitare i movimenti dei diplomatici russi al territorio dello Stato in cui sono accreditati (non so come possa essere realizzata una idea del genere), le nuove restrizioni sulle persone i cui beni nell’UE sono già congelati (e allo che senso hanno le nuove sanzioni?) e «il divieto per un maggior numero di aziende di esportare beni a doppio uso».
Insomma, per il secondo anniversario della guerra in Ucraina hanno inventato un nuovo pacchetto di sanzioni praticamente inutili, non sensibili per Putin e tutta la sua cerchia. Perché, come dicono gli stessi funzionari comunitari, dopo due anni di guerra «è necessario più tempo».
Vi è mai capitato di discutere con le persone che si lamentano della burocrazia europea?
Il premier ungherese Viktor Orban ha dichiarato, nella intervista al media francese Le Point, che l’Ungheria sosterrà la decisione europea di stanziare 50 miliardi di euro in aiuti alla Ucraina, ma a condizione che i Paesi-membri dell’UE approvino questa decisione ogni anno…
Poi ha detto anche tante solite stronzate (che di fatto bisogna trattare con Putin etc), ma noi basta già il punto di cui sopra.
In sostanza, Orban ha deciso di non fare più finta di essere un tipo timido e, invece, di manifestare sfacciataggine di livello massimo: «voglio che mi garantiate la possibilità di ricattarvi almeno una volta all’anno, così almeno una volta all’anno ci guadagno qualcosa».
Geniale! Anche io voglio salire a questi livelli.
Ah, e secondo me non è escluso che ci riesca…
Da anni, da quando osservo l’Italia in un modo abbastanza attento, noto una tradizione costante e abbastanza curiosa: quella di creare un alto numero di singole strutture (che possono essere delle aziende private appartenenti alla stessa persona oppure degli organi pubblici della stessa entità territoriale) per risolvere delle singole situazioni. Quelle strutture coesistono, rubano un sacco di tempo e risorse al proprio creatore e, spesso e inevitabilmente, dopo un po’ di tempo iniziano a svolgere, almeno in parte, le funzioni identiche. Spesso sarebbe logico unire quelle strutture in una grande e efficiente o, meglio ancora, non iniziare nemmeno a crearne tante separate, ma sono poche le persone che riescono ad arrivare a tale idea. Non dico che negli altri Stati del mondo questo modo di fare sia totalmente sconosciuto, ma in Italia mi sembra di osservarlo con una frequenza maggiore.
Nella suddetta tradizione si inquadra perfettamente anche l’idea del ministro degli Esteri italiano di creare (finalmente) un esercito europeo. Dato che mi sembra di ricordare che esistano già l’esercito italiano e la NATO, mi chiedo: perché creare proprio ora pure quell’esercito europeo del quale si parla da circa vent’anni? Perché destinarne le risorse materiali o organizzative proprio ora, in un momento vicino allo stato di emergenza? Per difendersi dai personaggi come Putin? Potrebbe essere, ma l’UE non sta riuscendo di farlo nemmeno con le mani degli ucraini. Non sta riuscendo perché certi membri dell’Unione stanno ostacolando il processo con tutti i mezzi disponibili e per dei motivi comprensibilissimi. L’ostacolo verrà superato con la creazione di un esercito europeo? Triplo ahahaha!
Oggi si potrebbe anche creare un esercito europeo, ma solo per dare il via al gioco preferito dei burocrati: fare qualcosa di inutile solo per far vedere che si fa qualcosa. E non per raggiungere un risultato sensato e/o sperato.
P.S.: ovviamente tutto questo non significa che l’esercito europeo non serva.