Ora che l’imprenditore russo Oleg Tinkov sta diventando noto nel mondo anche per delle questioni diverse da quelle sportive, io – da commentatore autoproclamato delle notizie russe – mi trovo in una situazione un po’ difficile. Da una parte, non posso non ricordare che la banca Tinkoff è stata, nel corso di tutta la sua storia (2006–2022) una delle più imbroglione della storia russa recente (solo negli ultimi sei anni circa ha iniziato a emmettere delle carte interessanti, mentre i profitti principali sono sempre stati fatti con le clausole abbastanza onerose e mal formulate, contenute nel «testo scritto con i caratteri minuscoli» dei contratti di prestiti alle persone fisiche). Dall’altra parte, capisco che in uno Stato normale Tinkov (il fondatore della suddetta banca e di tantissime altre attività) avrebbe potuto diventare un super miliardario ammirato da tutti, un po’ come il suo amico Richard Branson. Perché, in sostanza, è un self-made man che nel corso di oltre tre decenni ha saputo costruire diverse aziende di successo e venderle al momento giusto. È un personaggio molto eccentrico, spesso poco lineare nei suoi comportamenti pubblici, a volte antipatico, ma spesso interessante.
In Russia un imprenditore non può esistere senza avere dei rapporti più o meno stretti con il potere. Più è grande l’imprenditore, e più e grande il rappresentante del potere locale o statale che lo «cura». Se il rapporto viene meno, l’imprenditore cessa di esistere almeno nella sua veste professionale (se è molto fortunato). Quindi anche Oleg Tinkov non poteva non avere quei rapporti, ma nelle condizioni della guerra con l’Ucraina mal riuscita (per gli obiettivi di Putin), quei rapporti erano naturalmente cambiati. Immagino facilmente i motivi: la guerra rivelatasi lunga e la necessità di mascherare gli effetti reali delle sanzioni occidentali richiedono soldi; gli imprenditori hanno iniziato a rendersi conto del fatto che nel contesto delle sanzioni internazionali le attività ei patrimoni non si salvano solo grazie ai buoni rapporti con lo Stato russo.
Quindi, probabilmente, Oleg Tinkov si era reso conto di non poter difendersi su due fronti. Il 19 aprile – il 55-esimo giorno della guerra – si era «improvvisamente illuminato» e si era per la prima volta espresso contro la guerra: molto logicamente si era schierato con l’Occidente (che alla fine vincerà) e non con Putin (che con questa guerra prima o poi perderà tutto). Si è schierato, nonostante fosse arrivato – nel 2020 – a incoronare Putin come imperatore.
Di conseguenza, dopo quanto è successo non posso escludere che sia stato realmente costretto «dal Cremlino» a vendere la propria quota della banca a un prezzo bassissimo (il 3% del valore reale, come sostiene lui). Ma almeno ora è libero da ogni forma di prudenza nei rapporti con lo Stato russo. E io spero tanto che faccia in tempo a sfruttare questa libertà.
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