Il post musicale di oggi sarà abbastanza in linea con l’umore degli ultimi giorni. Infatti, mi andava di postare il poema sinfonico di Sergei Rachmaninov «L’isola dei morti» (Op. 29).
Il poema è stato composto tra il 1908 e il 1909 come la reazione a una opera pittorica, ma il mio cervello lo interpreta (come, ovviamente, tutte le altre opere artistiche) in base alle circostanze del momento corrente.
L’archivio del 2023 год
L’argomento più grande e commentato di questa settimana è secondo me facile da individuare: l’atto terroristico alla diga della centrale idroelettrica di Kakhovka. Di conseguenza, scegliendo la lettura di questo fine settimana da proporvi avevo cercato di individuarne qualcuna che non avreste trovato (oppure trovato difficilmente) nei media occidentali.
Il suddetto criterio potrebbe essere soddisfatto dalla raccolta delle testimonianze dei residenti di Oleshki, uno dei centri abitati ucraini colpiti dalla inondazione. Molte delle cose testimoniate si ripropongono anche in molti altri punti della zona colpita.
All’inizio di giugno Ben Wallace – il segretario alla Difesa britannico (e uno dei candidati a diventare segretario generale della NATO) – ha dichiarato al Washington Post che l’Ucraina non sarà invitata nell’alleanza al vertice di luglio a Vilnius.
L’ex segretario generale della NATO Anders Rasmussen, da parte sua, ha dichiarato al The Guardian che alcuni Stati-membri dell’Alleanza potrebbero dispiegare le proprie truppe in Ucraina se a Kiev non dovessero venire fornite garanzie di sicurezza allo stesso vertice di Vilnius di luglio. In particolare, Rasmussen non ha escluso che la Polonia e gli Stati baltici possano compiere tali passi.
Il terzo personaggio di rilievo (?.. ahahahaha) da citare sono io: non essendo un diplomatico e/o un aspirante segretario generale della NATO, posso tradurre le dichiarazioni riportate sopra in un linguaggio più comprensibile agli umani. In sostanza, gli Stati geograficamente più vicini alla Ucraina e alla Russia si sentono – non senza ragione – in grande pericolo da oltre un anno, dunque si sono rotti qualcosa e hanno deciso di fare qualcosa di ancora più concreto per la fine della esistenza del pazzo aggressivo pericoloso.
È abbastanza difficile dire che sbaglino.
Dunque ci spero.
Non ho raccolto delle statistiche – ho di meglio da fare – e quindi non so in quanti in Europa si siano accorti di quella bellissima norma adottata dal Governo russo il 30 maggio 2023, esattamente 7 giorni prima della distruzione della diga di Kakhovka. Intendo il Decreto del Governo della Federazione Russa n. 873 del 30.05.2023 «Sulle peculiarità dell’applicazione nei territori della Repubblica Popolare di Donetsk, della Repubblica Popolare di Luhansk, della regione di Zaporozhye e della regione di Kherson delle disposizioni della legislazione della Federazione Russa nel campo della sicurezza industriale degli impianti di produzione pericolosi e della sicurezza delle strutture idrauliche». Chi legge in russo (e non ha paura del linguaggio giuridico/burocratico), può andare a vederlo. A tutti gli altri traduco direttamente (e letteralmente) il comma 10 della seconda sezione:
Fino al 1° gennaio 2028 le indagini tecniche degli incidenti alla strutture industriali pericolose e degli incidenti alle strutture idrauliche avvenuti in seguito alle azioni militari, sabotaggi e atti terroristici non vengono condotte.
Ecco, vi ho tradotto questa norma bellissima non per confermare – per l’ennesima volta – che «a pensare male si fa peccato, ma spesso ci si indovina». L’ho tradotta per avvertirvi: se, per caso, sentite parlare di una norma analoga dedicata alle centrali nucleari, sappiate di avere circa 7 giorni per prepararvi.
E speriamo che non siano meno di 7…
L’esercito putiniano ha fatto saltare la diga della centrale idroelettrica di Kakhovka. Delle 28 campate 11 sono state distrutte, ottanta centri abitati sono a rischio di inondazione. L’Ucraina accusa la Russia di terrorismo e di ecocidio…
Mentre noi possiamo constatare che una «soluzione» di questo tipo dei propri insuccessi militari testimonia la reale esistenza di un totale disinteresse per i territori occupati. I territori – e la relativa popolazione – ritenuti come propri non si trattano in questo modo: non vengono distrutti con l’artiglieria, non vengono messi a rischio minando una centrale nucleare, non vengono inondati facendo saltare una diga…
E non intendo solo le zone dell’est ucraino. Guardate, per esempio, la mappa della fornitura dell’acqua potabile alla Crimea, proclamata da Putin come un territorio «storicamente russo»:
P.S.: l’accaduto ricorda molto l’analoga distruzione della diga idroelettrica del Dnepr nel 1941 che fu attribuita ai tedeschi. A seguito dell’esplosione della diga, i soldati sovietici in ritirata dal territorio ucraino che in quel momento stavano attraversando la diga furono uccisi; Zaporozhye – all’epoca ancora occupata dalle truppe sovietiche – fu inondata, gran parte delle truppe sovietiche che si trovavano a valle furono sommerse o circondate dall’acqua e costrette ad arrendersi ai tedeschi. Il numero di civili uccisi rimane ovviamente sconosciuto.
Il canale televisivo britannico Sky News ha pubblicato un presunto contratto – firmato il 14 settembre 2022 – tra la Russia e l’Iran per l’acquisto di armi per un valore di oltre un milione di dollari. Secondo i giornalisti, il documento sarebbe stato ottenuto da un funzionario della sicurezza innominato. In base alle pagine del contratto consultate dai giornalisti, il documento parlerebbe dei proiettili e missili per artiglieria e carri armati, canne per carri armati T-7 e canne per obici.
I giornalisti non sono in grado di garantire che si tratti di un contratto reale, non lo posso fare nemmeno io. Però posso – come voi – leggere alcuni pezzi del documento e i relativi commenti di Sky News. Posso dunque vedere almeno due stranezze del suddetto documento.
Prima di tutto, vedo la «qualità» dell’inglese (la lingua del contratto) che secondo la mia logica confermerebbe il coinvolgimento delle Istituzioni russe nella stesura del documento. Vi è mai capitato, per esempio, di sentire parlare in inglese il ministro degli Esteri Lavrov? Provate: vi sentirete dei geni delle lingue straniere.
In secondo luogo, negli estratti del contratto pubblicati ho notato dei tentativi – per me parziali e dunque poco chiari – di stabilire il giudice competente per le eventuali controversie. Ci voleva una enorme ingenuità per sperare di poter regolare in conflitti in merito a un contratto del genere in una legislazione occidentale. A metà settembre del 2022 solo una persona totalmente sconnessa dal mondo reale poteva scrivere una cosa del genere in un documento reale.
Quindi boh, non so proprio cosa pensare di questo «contratto».
P.S.: una osservazione che non c’entra con la notizia, ma molto utile per la vostra vita privata e lavorativa: la parte più importante di ogni contratto è quella che contiene le condizioni di recesso. Se volete cercare le fregature, iniziate proprio da quella parte.
The Telegraph scrive l’Università di Cambridge ha deciso di eliminare dal programma di studi ogni riferimento agli «anglosassoni» come gruppo etnico separato. Come spiegato dal dipartimento di lingue anglosassoni, norvegesi e celtiche (ASNC) dell’università, questa decisione è stata presa come parte della lotta al razzismo e non per promuovere «miti di nazionalismo». Secondo il nuovo concetto, gli accademici ritengono che non sia mai esistita un’identità etnica britannica, inglese, scozzese, gallese e irlandese duratura e coerente.
The Telegraph osserva, poi, che l’"anglosassone" avrebbe acquisito una connotazione negativa negli ultimi anni a causa del suo uso da parte dei razzisti, soprattutto statunitensi.
Io, invece, posso osservare che il termine «anglosassoni» viene da anni abusato da molti rappresentanti ufficiali e ufficiosi di quello Stato che oltre un anno fa (secondo molti oltre nove anni fa) ha iniziato una guerra tipicamente nazista contro coloro che definisce «nazisti» con una logica tipicamente razzista. Non so se l’Università di Cambridge abbia tenuto conto anche di questo fenomeno: probabilmente ha preferito rimanere – almeno per ora – scientificamente neutrale. Prima o poi lo sapremo.
Il bombardamento della cittadina russa Shebekino (a 6 chilometri dal confine con l’Ucraina) del 1 giugno è una delle dimostrazioni del fatto che se «apri» il confine con la guerra, lo apri in entrambe le direzioni.
E sì, indipendentemente da chi, perché e su ordine di chi lo abbia fatto, dico che nella situazione corrente gli ucraini lo possono fare.
Il 24 maggio è morta, all’età di 83 anni, Tina Turner: una di quelle figure musicali che non hanno bisogno di essere presentate. Ma io sono stato in un forte dubbio circa la possibilità di includere le sue canzoni nella mia rubrica musicale: pur comprendendo la qualità e l’importanza musicale di Tina Turner, non sono mai stato un suo grande fan. È successo per dei motivi puramente estetici: mi è sembrato che spesso tentasse di integrare e «rafforzare», in un modo sproporzionato, la componente musicale con il rumore e l’épatage scenico. Molto probabilmente, tale mia impressione nasce dal fatto che nella fase iniziale ho conosciuto la musica di Tina Turner non in un formato puramente audio. Boh…
E poi, non volevo limitarmi a sfruttare il semplice fatto della morte di una persona famosa.
Ma alla fine ho deciso di provare a rimediare e selezionare, come da tradizione, due brani più o meno rappresentativi.
La prima canzone scelta è la «What’s Love Got to Do with It»: è uno dei brani principali dell’album «Private Dancer» (del 1984), con il quale Turner è tornata dopo un apparente declino irreparabile della carriera e cinque anni di silenzio.
La seconda canzone scelta per oggi è la «We Don’t Need Another Hero»: uscita come singolo l’8 luglio 1985, fa parte della colona sonora del film «Mad Max Beyond Thunderdome». Probabilmente, è il più noto dei suoi contributi cinematografici.
Ecco, oggi è andata così. Incredibilmente, sono riuscito a evitare la canzone più scontata e postata, nei giorni scorsi, pure dai sordi. Mi sento quasi un eroe…
L’articolo segnalato questo sabato è la testimonianza della fotografa Nicole Tung che ha passato diversi mesi – a partire dai primi giorni – a fotografare la guerra in Ucraina. Esistono tante interviste ai fotografi di questa guerra, in quella consigliata oggi è particolarmente interessante l’aspetto della abitudine alla guerra, della integrazione della guerra nella vita quotidiana.