L’archivio della rubrica «Nel mondo»

1000 giorni di guerra putiniana

Secondo i miei calcoli, i mille giorni di guerra dovrebbero essere oggi, ma se in così tanti insistono, diciamo pure che siano stati ieri. Non c’è alcuna differenza di principio, come avrete capito anche da voi negli ultimi quasi tre anni: un solo giorno di guerra è brutto quanto qualsiasi altra quantità di essi. Allo stesso modo, il mio atteggiamento nei confronti delle vittime dirette (e dei loro familiari, amici, vicini di casa o colleghi) non dipende in alcun modo dal loro numero o, per esempio, dal fatto di averle incontrate anche solo una volta nella vita reale. La guerra è sempre terribile e disgustosa allo stesso tempo. Quindi non avrei comunque scritto alcunché di speciale per la data «simbolica». Scrivo e parlo di questa guerra putiniana tutti giorni.
Specificatamente oggi, come qualsiasi altro giorno, posso solo ripetere alcune cose che ritengo ovvie (spero anche voi) e che non ho alcun motivo di rifiutare. Per esempio, posso scrivere ancora una volta che spero in una veloce fine di questa guerra. E posso aggiungere che qualsiasi opzione diversa dalla vittoria militare della Ucraina non sarà la fine della guerra, ma solo la sua interruzione temporanea. Lo sarà perché se la causa principale della guerra non muore durante la pausa bellica, a un certo punto la guerra ricomincerà: la guerra aiuta la causa principale a risolvere i propri problemi politici e, come dimostra la triste esperienza, non comporta – per la causa della guerra – alcun confronto serio e/o pericoloso con i rappresentanti forti dell’Occidente.
I rappresentanti dell’Occidente, da parte loro, fanno il possibile per apparire profondamente indifferenti a tutto ciò: al fatto di una vera guerra ormai di mille giorni «dietro il recinto esterno», alla crescente convinzione della propria impunità della causa principale della guerra, e pure alla possibilità che la guerra possa un giorno – tanto non succede stasera! – arrivare a casa loro. Si limitano a dare una piccola elemosina alla Ucraina e a fare le dichiarazioni corrette, per continuare poi come se nulla fosse con le piccolezze quotidiane tipiche di una vita pacifica e monotona. Questo atteggiamento nei confronti della realtà mi è infastidisce, ma purtroppo non mi sorprende più.
C’è qualcosa che posso fare io in una situazione del genere? Purtroppo non ho gli strumenti per eliminare la causa principale della guerra (ma vorrei tanto averli). Le mie possibilità sono molto limitate. Oltre a cercare di assistere, nei limiti delle mie possibilità, le vittime della guerra, posso, per esempio, raccontare e/o spiegare qualcosa a qualcuno in Europa: ai politici, funzionari, imprenditori, elettori. Posso spiegarglielo in modo che nelle loro menti le relazioni di causa-effetto vengano impostate nella giusta direzione. Cercare di spingere qualcuno – direttamente o attraverso una catena di intermediari – a prendere le decisioni giuste e tempestive. Non ho alcuna mania di grandezza: in realtà spero di essere solo uno dei tanti. Ma, allo stesso tempo, vedo che i nostri sforzi non hanno un effetto di forza necessaria.
Insomma, la «data simbolica» si rivela cupa da tutti i lati possibili.
Ma gli ucraini non si arrendono, il che significa che nemmeno io posso farlo.


L’autorizzazione sugli ATACMS

Ieri The New York Times ha scritto, riferendosi alle fonti governative, che il Joe Biden avrebbe dato alla Ucraina il permesso di utilizzare i missili ATACMS a lungo raggio di cui dispone per proteggere le unità dell’esercito ucraino che partecipano alla operazione nella regione russa di Kursk. La Francia e il Regno Unito hanno prontamente seguito l’esempio e hanno autorizzato l’Ucraina a utilizzare allo stesso modo i loro missili a lungo raggio SCALP e Storm Shadow.
Purtroppo, è come al solito una notizia positiva a metà.
Perché autorizzare l’utilizzo degli ATACMS solo nella regione di Kursk mentre la logistica militare russa è diffusa su tutto il territorio statale? Come negli anni precedenti, diventa solo una misura difensiva e non di prevenzione, dunque anche di una utilità minima.
Ora saranno forniti più ATACMS? Boh… Anche se ci fosse tale possibilità tecnica, non mi sono molto chiare le intenzioni.
Ci saranno altri tipi di autorizzazione nelle prossime settimane? Non so nemmeno questo.
Gli Stati europei non vogliono fare dei nuovi passi seri prima degli USA? La risposta a questa domanda, purtroppo, è per l’ennesima volta affermativa.
In conclusione, non posso non sottolineare che l’interpretazione della mossa di Biden come un avvertimento alla Corea del Nord è veramente ridicola: per Kim Jong-un la vita dei suoi sudditi-militari vale ancora meno che la vita di un qualsiasi essere umano per Putin (anche se sembra impossibile).
Di conseguenza, dico che si tratta di una misura minima tra tutte quelle che Biden poteva prendere alla fine della propria Presidenza, in un periodo in cui è politicamente libero di fare praticamente qualsiasi cosa.


La lettura del sabato

La lettura (e, in parte, visione) che propongo per questo sabato riguarda gli avvenimenti di ieri in Abkhazia, una regione caucasica staccata dalla Georgia in seguito all’attacco bellico russo del 2008 e ora solo parzialmente riconosciuta (la Georgia continua a considerare l’Abkhazia un territorio proprio e occupato/controllato dalla Russia).
Ebbene, nella capitale Sukhumi sono ieri scoppiati gli scontri – all’esterno dell’edificio del Parlamento dell’Abkhazia – tra le forze dell’ordine e i manifestanti contro la ratifica dell’accordo sugli investimenti tra le autorità della repubblica e la Russia. In sostanza, se leggiamo attentamente le ragioni dei manifestanti, si protesta contro l’aumento della influenza dello Stato russo (che prima non era proprio considerato nemico) in Abkhazia. Si tratta di una nuova grande vittoria internazionale di Putin?


Un monumento interessante

Il martedì 12 novembre a Lisbona è stato inaugurato un monumento dedicato a Alexey Navalny. È una pietra con il nome, le date della nascita e della morte e la scritta «Non mollare mai» in tre lingue. Si trova a cento metri dall’edificio dell’ambasciata russa, in via Visconde de Santarém, 71. Eccolo:

Dal punto di vista puramente artistico – ma anche commemorativo – mi sembra un formato di monumento interessante. Infatti, assomiglia lontanamente alle cosiddette «pietre d’inciampo»: compatto e capace di stimolare l’interesse, dedicato pur sempre a una persona concreta. Allo stesso momento, è una via di mezzo tra un monumento tradizionale e una targa commemorativa su un muro (la quale, però, per tradizione avrebbe dovuto essere messa in un luogo in qualche modo legato alla vita del personaggio ricordato).
In generale, direi che si potrebbe prendere l’esempio e creare molti monumenti del genere in giro per il mondo, lasciando il formato del monumento classico ai personaggi di importanza più universale, «planetaria».


La telefonata misteriosa

L’altro ieri The Washington Post ha scritto, riferendosi alle «proprie fonti», che Putin e Trump avrebbero avuto una conversazione telefonica il 7 novembre, nel corso della si è parlato anche della guerra russo-ucraina. Gli interlocutori del giornale hanno affermato che durante la conversazione il Presidente eletto degli USA ha messo in guardia Vladimir Putin da un’escalation in Ucraina.
Dmitry Peskov – il portavoce di Putin – ha da parte sua dichiarato che la telefonata in questione non ha avuto luogo.
Ebbene, le dichiarazioni di Peskov non ci interessano in quanto solitamente sono, nel migliore dei casi, di segno opposto alla realtà. L’argomento dichiarato della telefonata, invece, è molto curioso: cosa poteva intendere Trump per «una escalation in Ucraina»? Dopo tutto quello che ha fatto e sta facendo l’esercito russo in Ucraina, l’escalation può avere solo la forma di qualche arma di distruzione di massa. Quindi le presunte parole di Trump possono essere interpretate come «vai avanti così come lo stai facendo ora».
Poteva Trump dire una cosa del genere? Conoscendo il suo modo di esprimersi, direi che poteva.
Putin, invece, non poteva e non può ammettere che qualcuno gli abbia dato degli ordini su cosa e come fare. In generale, si sa che non gli piace essere sotto pressione. Allo stesso tempo, non sente di essere in grado di discutere pubblicamente con Trump. Di conseguenza, negherà quella telefonata in ogni caso, indipendentemente dal fatto che sia avvenuta o meno.
Ovviamente, ammesso che Trump si sia realmente dimenticato delle particolarità psicologiche di Putin.


Chi lavorerà con chi

Il giovedì 7 novembre Putin aveva parlato – nel corso di una esibizione pubblica di quasi tre ore – anche della elezione di Trump alla Presidenza americana: molto probabilmente ne avete sentito qualcosa anche voi. Per me, personalmente, la frase più divertente è «… lavoreremo con qualsiasi Capo di Stato …». Per fortuna o purtroppo, i rapporti tra gli Stati (indipendentemente da quali siano) non possono essere azzerati (possono variare solo l’intensità e i motivi dei contatti), ma proprio nel caso di Putin saranno in realtà gli altri a decidere se come lavorare con lui.

Potrebbe saperlo anche lui, ma si rivolgeva al pubblico interno… Però tutto questo non rende la suddetta espressione meno slegata dalla realtà.


La lettura del sabato

L’articolo che vi segnalo questo sabato è abbastanza breve per l’argomento del quale parla, ma è comunque interessante: quali conseguenze avrà il ritorno di Donald Trump sull’andamento della guerra in Ucraina e quali sono i progetti in merito elaborati e presentati a Trump dai suoi consiglieri. Tali progetti, in particolare, non sono proprio recenti (alcuni sono stati resi pubblici già a luglio) e molto chiari, ma ci sono.
Capisco che la guerra in Ucraina non è tra le preoccupazioni principali del presidente eletto (almeno per ora), ma lo è per (o, almeno, lo dovrebbe essere) per gli europei. Di conseguenza, bisogna sapere a cosa prepararsi.


Gli auguri di Putin a Trump

Il portavoce presidenziale russo Dmitry Peskov ha commentato negativamente (con l’espressione «Informazioni inesatte») le voci secondo le quali Vladimir Putin si sarebbe congratulato ufficiosamente – «tramite conoscenti» – con Donald Trump per la vittoria di quest’ultimo alle elezioni presidenziali statunitensi.
Sfrutto questa piccola «notizia» per ricordare due piccoli concetti.
Prima di tutto, i russi e i lettori «professionali» delle notizie russe ormai da anni sanno che in 99,99% dei casi quando Peskov nega l’esistenza di una cosa, significa che quella cosa in realtà ha (o ha avuto) luogo.
E poi c’è da ricordare che Putin non dovrebbe – a differenza di otto anni fa – essere particolarmente contento per la elezione di Trump. In parte perché sa che Trump non è «un amico della Russia» (come certi funzionari russi si aspettavano nel 2016), ma una persona imprevedibile che pensa ai propri interessi (l’ultimo aspetto è normale per tutti). E, dall’altra parte, Putin non dovrebbe essere particolarmente contento perché l’esito delle elezioni americane ideale per lui sarebbe stato il caos. Proprio quel caos che Trump aveva promesso (più o meno esplicitamente) di organizzare nel caso della sconfitta elettorale. Ma il risultato della prima fase delle elezioni 2024 non lo spinge ai comportamenti destabilizzanti negli USA perché non ne ha alcun bisogno nemmeno secondo la sua logica.
Di conseguenza, Putin non fa dei salti di gioia in pubblico e, allo stesso tempo, non si intromette nelle elezioni americane seguendo il saggio e severo consiglio dello stesso Trump.


Non disperiamoci per Trump

Certo, prendere la maggioranza dei voti del popolo alle elezioni presidenziali statunitensi non è il sinonimo di vincere le elezioni presidenziali statunitensi (lo dovrebbero sapere / ricordare tutti). Certo, possiamo aggrapparci all’ultima speranza… Però sembra abbastanza ovvio che Trump sta per ridiventare il Presidente degli USA. Se non dovesse succedere qualcosa di straordinario.
Non posso dire con certezza (e in anticipo) in quale misura il ritorno di Trump si possa rivelare un fenomeno negativo. Naturalmente è negativo, ma non posso prevedere fino a quale punto… A giudicare dal suo primo mandato, Trump dice un sacco di stronzate, ma, allo stesso tempo, mi ricordo che a) ne realizza (o riesce a realizzarne) solo una parte e b) Biden si era prontamente preso il merito di alcune delle cose che proprio Trump aveva fatto. L’aspetto sicuramente negativo è il fatto che Trump è estremamente imprevedibile. Ma in alcune situazioni questo può essere anche un pregio, perché non se ne poteva più della totale impotenza dimostrata dalla amministrazione Biden (mentre Harris, in questo senso, nel corso della propria campagna elettorale aveva dimostrato di essere ancora peggio).
Insomma, per ora non posso dire che il mondo stia per crollare. Anzi, più precisamente: negli ultimi anni sta già rotolando in una brutta direzione, ma senza alcun merito di Trump. Possiamo solo osservare quanto ne riesce a contribuire in soli – per fortuna! – quattro anni che gli rimangono.
Molto più preoccupante – e potenzialmente pericoloso – della semplice elezione di Trump è il fatto che i repubblicani stanno per ottenere la maggioranza in entrambe le Camere: non per il fatto che sono repubblicani (in termini assoluti io stesso sarei molto più vicino al partito Repubblicano che quello Democratico), ma per il fatto che in questo modo aumenta il potere di Trump. Riuscirà a nominare con più facilità le «proprie» persone alle posizioni che gli interessano e quindi stravolgere l’intero sistema.
L’unica speranza bella a tecnicamente realizzabile, invece, consiste nel fatto che da oggi e fino al 20 gennaio 2025 Joe Biden è libero di fare tutto quello che vuole. Proprio tutto: liberate la vostra fantasia (anche servendovi delle sostanze che volete). Che ne so… Per esempio: finalmente fornire alla Ucraina tutti i mezzi necessari per moltiplicare per zero tutta l’infrastruttura militare russa… Non penso che il vecchietto abbia conservato abbastanza prontezza mentale per riuscire a scatenarsi in questi due mesi e mezzo, ma di consiglieri ne ha.
Boh, vedremo. Dobbiamo resistere per soli quattro anni. Al massimo.


Il primo martedì dopo il primo…

Ebbene, ci siamo quasi. Stiamo per ottenere le risposte ad alcune interessanti domande sociologiche.
Per esempio: quante persone hanno paura di ammettere pubblicamente di voler votare Trump, ma poi esercitano il loro voto segreto?
Oppure: i discorsi (e spesso le urla) sulla parità dei generi, sulla parità raziale, lives matter etc. indicano un problema molto lontano da essere risolto?
Oppure ancora: anche negli USA (perché dovrebbero essere molto diversi dal resto del mondo?) la maggioranza delle persone preferisce il male vecchio (già conosciuto) rispetto a quello nuovo?
E ancora: in quanti si rendono conto di dover scegliere il male minore, ma hanno paura di ammettere pubblicamente di voler votare Harris?
È inutile tentare di rispondere in anticipo a tutte queste domande: le risposte sono delle semplici informazioni che tra poco otterremo anche senza cercarle intensamente. Però è utile restare positivi. Se dovesse vincere Trump (un evento che mi sembra un po’ più probabile), durerà al massimo quattro anni e, come la volta scorsa, non farà in tempo a distruggere proprio tutto (anche se alimenterà una brutta tendenza). Se, invece, dovesse vincere Harris, sarà più controllabile dalle altre Istituzioni anche nelle sue fantasie peggiori.
E, soprattutto, la fine della indecisione sulla figura del nuovo Presidente è già è una cosa positiva.