Il candidato cancelliere tedesco Friedrich Merz (del CDU) ha proposto di dare un ultimatum a Putin: «Se la Russia non smette di bombardare l’Ucraina entro 24 ore, la Germania fornirà alla Ucraina armi a lungo raggio».
Triplo ahahaha: che idea geniale, Putin sicuramente si spaventerà e si darà alla fuga dopo avere sentito una (qualsiasi) minaccia.
Allo stesso tempo, bisogna riconoscere che una idea del genere non apparirebbe tanto ingenua se fosse stata espressa al momento giusto: alla fine di febbraio del 2024. Perché non era stato detto subito a Putin: «O tu, bastardo, ritiri immediatamente tutte le tue truppe o noi daremo alla Ucraina qualsiasi arma. In qualsiasi quantità»? Perché lui, effettivamente, aveva iniziato la guerra non solo essendo stato sicuro di poter vincere in pochi giorni, ma anche nella assoluta certezza che «l’Occidente non ha le palle per aiutare l’Ucraina». La realtà odierna dimostra che almeno sul secondo punto non sbagliava del tutto…
L’archivio della rubrica «Nel mondo»
Il consigliere del capo dell’ufficio del presidente ucraino Serhiy Leshchenko ha dichiarato che i politici statunitensi di entrambi i partiti (democratico e repubblicano) stanno esercitando pressioni su Vladimir Zelensky per mobilitare uomini di età compresa tra i 18 e i 25 anni. «L’argomentazione dei partner è la seguente: quando c’è stata la guerra degli Stati Uniti in Vietnam, vi hanno preso le persone a partire dall’età di 19 anni. Quindi gli americani stanno suggerendo: le armi occidentali da sole non bastano, abbiamo bisogno di una mobilitazione a partire dai 18 anni».
Leshchenko ha aggiunto di poter confermare l’autenticità delle informazioni sulle pressioni esercitate su Zelensky, in quanto esse sarebbero «emerse». Ma non ha specificato in cosa si esprimono tali pressioni.
Boh… Supponiamo che esistano realmente le suddette pressioni e che non sia un tentativo di attribuire agli americani la colpa della mobilitazione dei più giovani. Allora nella logica americana descritta c’è un evidente difetto. Le armi accidentali non bastano non perché i giovani non sono chiamati in massa a combattere (e, spesso, a utilizzare le armi moderne che richiedono un alto livello di preparazione), ma perché sono quelle armi ad arrivare lentamente e in quantità scarse.
Insomma, in ogni caso si tenterebbe di scaricare la responsabilità sugli altri. E la squadra di Zelensky, purtroppo, deve abituarsi ancora di più all’idea di dover risolvere tutto con le proprie forze. Spero che ci riesca, ma non posso esserne sicuro.
L’altro ieri, nel corso del tradizionale discorso televisivo serale, Vladimir Zelensky ha dichiarato che la Corea del Nord non solo trasferisce armi alla Russia, ma invia pure i propri cittadini a combattere in Ucraina nelle fila truppe russe. In precedenza, The Washington Post aveva già citato funzionari ucraini e sudcoreani secondo i quali i militari della RPDC stanno già combattendo al fianco della Russia, mentre altre migliaia di soldati nordcoreani si stanno addestrando per andare a combattere in Ucraina in un secondo momento.
L’unica cosa che mi stupisce in questa quasi-notizia è il fatto che la pratica di mandare in guerra gli schiavi nordcoreani – in sostanza sono degli schiavi che sono passati da un padrone all’altro – non sia stata adottata molto prima. Infatti, a differenza dei nepalesi o degli indiani (o di tanti altri) mandati a combattere con l’inganno, i nordcoreani a) non saranno mai difesi dal proprio governo e b) non devono essere portati in Russia con degli schemi particolarmente fantasiosi.
Vanno dunque considerati pure loro delle vittime di questa guerra.
Negli ultimi mesi mi accorgo sempre più spesso che il Bloomberg pubblica regolarmente, al posto delle notizie vere, delle «notizie» o interpretazioni degli eventi di invenzione propria. Proprio per questo ho smesso di reagire alle sue pubblicazioni e non invito gli altri a farlo.
La settimana scorsa, però, ho appreso una notizia interessante e non contraria alla logica, dove proprio il Bloomberg era indicato come fonte. In sostanza l’India avrebbe aumentato notevolmente le spedizioni di beni e tecnologie a duplice uso soggette a restrizioni all’esportazione verso la Russia, posizionandosi al secondo posto dopo la Cina. Le esportazioni indiane di beni come microchip e macchinari hanno raggiunto i 60 milioni di dollari in aprile e maggio, il doppio rispetto ai primi tre mesi dell’anno. A luglio, le vendite hanno raggiunto i 95 milioni di dollari. Secondo dati recenti, quasi il 20% di tutta la tecnologia sensibile che entra nel complesso militare-industriale russo passa dall’India. Poiché i Paesi occidentali hanno vietato alle loro aziende di fornire la maggior parte dei beni a duplice uso alla Russia, i produttori russi li acquistano da Paesi terzi.
Ecco, non ho la certezza assoluta sulla precisione dei dati riportati, ma capisco che si inseriscono bene nella logica generale degli eventi. Dal febbraio 2022 il governo russo, tra le altre cose, sta cercando di a) vendere il petrolio tramite i vari Stati-intermediari (tra i quali l’India è uno dei principali) e b) cercare le vie del cosiddetto «import grigio» (acquistare le tecnologie necessarie tramite i vari Stati-intermediari). In entrambi i casi sta cercando di agire – seguendo una delle idee strane di Putin – utilizzando non le valute dei principali «Stati-nemici», ma le valute degli intermediari. Ma la rupia indiana, con le sue problematiche di conversione, non è la valuta più utile del mondo. Di conseguenza, le rupie ottenute con la vendita del petrolio o rimangono dei soldi inutilizzabili, o si spendono per le tecnologie dell’import grigio.
I Governi degli Stati occidentali preoccupati della situazione creatasi dovrebbero saperlo, ma non sono sicuro che sappiano anche come comportarsi in questo specifico caso.
I giornali «Novaya Gazeta» e «Novaya Gazeta Europa» scrivono che una piazza di Amburgo, in Feldrunnenstrasse 67, è stata intitolata alla giornalista russa Anna Politkovskaya. Il cartello e la lapide si trovano accanto all’edificio della Fondazione Die Zeit Stiftung Bucerius, la quale ha realizzato l’idea con il sostegno delle autorità cittadine; all’inaugurazione erano presenti rappresentanti del Senato di Amburgo.
A questo punto sono sicuro: la creatura che pochi giorni fa ha compiuto settantadue anni e che, purtroppo, ha contribuito alla ridenominazione della piazza di ieri non meno della stessa Anna Politkovskaya, ha ricevuto un ulteriore motivo per parlare della russofobia che fiorisce in Occidente. Un motivo sicuro-sicuro, una buona parte della popolazione ci crederà.
I veri «troll», ovviamente, avrebbero organizzato la cerimonia per il 6 o il 7 ottobre, ma ci sono cose che in realtà è giusto fare in qualsiasi giorno dell’anno. Io, nel frattempo, spero che le Autorità europee di vario livello si accorgano (e in una misura adeguata) anche dei vivi: quei dissidenti che non andrebbero spinte dalla burocrazia europea nelle mani di Putin per diventare le sue prossime vittime. È meglio essere vivi e liberi che dare il proprio nome a una piazza (anche in una città bella come Amburgo).
Il presidente ucraino Zelensky ha espresso, nel corso del vertice «Ucraina — Europa sud-orientale» tenutosi a Dubrovnik il 9 ottobre, un concetto nuovo e abbastanza particolare:
In October, November and December we have chance to move things toward peace and lasting stability. The situation on the battlefield creates an opportunity to make this choice — choice for decisive action to end the war no later than in 2025.
Ma non ha specificato cosa intendesse esattamente. Sa o pensa che gli Stati occidentali improvvisamente si svegliano e in un colpo inviano alla Ucraina tutti gli aiuti realmente necessari? O che qualcuno si sta finalmente preparando a eliminare la causa principale dell’inizio della guerra? O che tutte le risorse militari russe stanno per sparire nel nulla? Boh…
Realisticamente parlando, sembra che non sappia più in quale modo motivare i leader occidentali con i quali parla da quasi tre anni. Capisce che in questo preciso momento storico non ha molte probabilità di ottenere qualcosa di veramente importante, e, allo stesso tempo, non può smettere di chiedere. Per questo motivo la stranezza della sua affermazione di ieri si percepisce in un modo ancora più triste.
Il sito web del governo britannico ha reso noto che il Regno Unito ha imposto sanzioni contro le truppe di difesa radiologica, chimica e biologica delle Forze armate russe e il loro capo, il tenente generale Igor Kirillov. Lo stesso comunicato stampa afferma che le sanzioni sono state imposte a causa dell’uso di «armi chimiche barbariche» da parte delle suddette truppe in Ucraina. Secondo il comunicato stampa, si tratta del presunto uso di cloropicrina.
Dove e quando sia stata usata la cloropicrina non è specificato nel messaggio del governo britannico, ma la notizia in sé è a suo modo curiosa anche così. Ovviamente, so benissimo che le prove di qualsiasi crimine – compresi i crimini di guerra – dovrebbero essere raccolte quanto prima: solo in tal modo la quantità e la qualità di quelle prove saranno a un livello vicino al massimo. Ma, allo stesso tempo, c’è una grande dose di buffonata nel fatto che, durante una guerra, si cerchi di contrastare con le sanzioni una qualsiasi unità di un esercito aggressore belligerante.
Le sanzioni, come le accuse di crimini, secondo la mia logica dovrebbero essere applicate contro tutto ciò che, per qualche strana ragione, rimarrebbe degli accusati dopo la loro sconfitta. Ma tra quanti anni il governo britannico arriverà (se arriverà) a questa logica?
The Wall Street Journa scrive che Viktor But, condannato negli USA per traffico d’armi e restituito alla Russia in cambio della cestista americana Brittney Griner, è tornato a vendere armi. Secondo il giornale, nell’agosto 2024 a Mosca, But avrebbe partecipato a un accordo per la vendita di fucili d’assalto Kalashnikov per un valore di 10 milioni di dollari agli Huthi yemeniti. But, da parte sua, nega tutto dicendo, in sostanza, che il suo nome sarebbe stato utilizzato dal giornale per rendere l’articolo più scandalistico.
Mentre io posso dedurre dalla suddetta notizia almeno una cosa. Dopo avere passato nelle carceri statunitensi quattordici anni, Viktor But avrebbe in teoria dovuto perdere più o meno tutti i suoi contatti «professionali» (per motivi fisici o per la fiducia venuta meno). Allo stesso tempo, gli sforzi dello Stato russo per liberarlo non erano sicuramente stati motivati dai solo motivi umanitari: nel corso della propria detenzione aveva sicuramente raccontato abbastanza agli americani, ma, evidentemente, ha anche mantenuto un certo peso nel mondo del commercio delle armi. Altrimenti sarebbe stato ritenuto inutile «dal Cremlino».
Di conseguenza, il suo ritorno alla vecchia «professione» poteva anche essere avvenuto.
L’altro ieri un treno di transito Mosca – Kaliningrad (già Königsberg, una exclave russa tra Polonia e Lituania) è arrivato al posto di controllo frontaliero della stazione ferroviaria di Kiana (del paesino Kalveliai in Lituania) con il simbolo «Z» (vietato dalla primavera del 2022 in Lituania) dipinto sulla fiancata di una carrozza. Le guardie di frontiera hanno inoltre notato altri simboli della invasione russa dell’Ucraina: la scritta «ZOV» e la scritta in russo «Vilnius è una città della Russia» (la capitale della Lituania, lo preciso per i meno esperti della geografia, ahahaha). Il personale del treno non ha saputo spiegare alle guardie di frontiera da dove provenissero queste scritte.
Per per fare in modo che il treno possa attraversare il confine, il capotreno e il resto del personale viaggiante ha dovuto cancellare le scritte. Di conseguenza, il treno non è stato trattenuto e, dopo i controlli, ha viaggiato lungo il percorso previsto.
Dalla qualità e dallo stile delle scritte si vede benissimo che almeno questa non è una opera super creativa della propaganda statale russa, ma un semplice atto vandalico, una opera di qualche ragazzino senza cervello per il quale è indifferente cosa e dove scrivere e/o «disegnare» (pure le vie delle città italiane sono piene delle scritte della qualità «artistica» e contenuto «intellettuale» simili). Al massimo, è la conseguenza della propaganda… Però mi ha fatto venire in mente una indea un po’ malefica.
Per esempio: se qualcuno dovesse vedere in giro una macchina antipatica, potrebbe non bucarle le ruote, graffiare una fiancata e/o spaccare gli specchietti, ma aggiungere qualche scritta con i simboli «Z» e «V» e l’espressione «operazione militare speciale in Ucraina». In tal modo causerà molti più problemi al proprietario.
Ma, ovviamente, non invito nessuno a fare una cosa del genere. Anzi, condanno ogni forma di vandalismo. Semplicemente, a volte mi stupisco della scarsa fantasia dei vandali (e del loro scarso contatto con il momento politico internazionale corrente).
Il portavoce del Dipartimento di Stato americano Matthew Miller durante un briefing con la stampa, tra le altre cose, ha dichiarato:
[…] Ukraine does not need our permission to strike back against Russian targets. They are a sovereign country and can use the weapons that they build on their own, of which are many, if you look at the programs that they have put in place over the last year. And then when you look at the weapons that we have provided to them, we’ve made clear that they can use them to strike back against Russian targets across the border that are launching attacks.
Come avrei voluto interpretare io la suddetta dichiarazione: «stiamo organizzando la produzione degli armamenti necessari direttamente sul territorio ucraino». Ehm… ok, è una cosa che potrebbe anche avere senso, ma quanto tempo ci vorrà per organizzarla (se dovesse essere vero, ovviamente)?
Allo stesso tempo, mi sembra molto più realistico supporre che fino alla inaugurazione del nuovo (nuova?) presidente statunitense l’Ucraina dovrà resistere senza gli aiuti americani: Biden vorrà chiudere la propria carriera politica con qualche soluzione realizzabile in poco tempo, mentre Harris si concentra sugli argomenti più cari ai cittadini americani. Miller, dunque, lo ha fatto capire in un modo abbastanza «diplomatico».