Sul «ponte dell’Amicizia» che collega la città estone di Narva e quella russa di Ivangorod, sono stati installati – da parete della Estonia – dei massicci cancelli metallici che bloccano la corsia automobilistica di attraversamento del confine. È inoltre prevista l’installazione di barriere metalliche retrattili che, se necessario, bloccheranno il traffico automobilistico su tutti i lati, sia all’ingresso che all’uscita dal valico di frontiera. La parte pedonale del ponte è ancora aperta al traffico, ma anche lì è prevista l’installazione di cancelli.
È abbastanza sorprendente che questa cosa sia stata fatta solo ora. Ma, allo stesso tempo, la trovo logica: da alcune settimane leggo articoli che parlano dei possibili preparativi dello Stato russo a iniziare una «operazione militare speciale» pure in qualche punto degli Stati baltici. In tale ottica le barriere sul ponte non saranno tanto utili, ma non averle è ancora peggio.
P.S.: il nome del ponte è già una barzelletta, potevo limitarmi a scrivere solo quello…
L’archivio della rubrica «Nel mondo»
Si può segnalare due articoli di fila sullo stesso argomento? Penso di sì: non conosco alcuna legge, umana o della natura, che me lo vieti.
E allora il testo segnalato oggi è una intervista sugli avvenimenti – già verificatisi e quelli ipotizzabili – legati alla strana scelta di Zelensky di tentare a mettere sotto il proprio controllo gli organi nazionali anti-corruzione. È vero che la nuova legge sulla indipendenza di quegli organi è stata già approvata il 31 luglio (perché Zelensky ha reagito prontamente alle proteste), ma la sua celta di prima rimane comunque molto strana: sicuramente resterà come una macchia nella sua biografia politica per sempre (o quasi), nonostante tutti i suoi meriti passati e futuri.
La Reuters scrive, citando fonti del settore, che quattro compagnie petrolifere statali indiane hanno interrotto da una settimana gli acquisti di petrolio russo: si sono rivolte al mercato spot per forniture alternative. Si tratta delle compagnie Indian Oil Corp (IOC), Hindustan Petroleum Corp (HPCL), Bharat Petroleum Corp (BPCL) e Mangalore Refinery Petrochemical Ltd (MRPL).
Il contesto: Trump aveva «annunciato» che dal 1° agosto gli USA impongono all’India una «sanzione» per l’acquisto di attrezzature militari e fonti energetiche dalla Russia. Evidentemente, l’India ha preferito di non verificare se pure questa volta le parole di Trump sono solo parole. Ha cambiato il fornitore nonostante il fatto che acquistava dalla Russia con uno sconto molto utile per la propria economia (questo mostra anche quanto siano più importanti i rapporti con gli USA dei rapporti all’interno di quella stronzata del BRICS, ma quello è un altro argomento).
Quello che interessa a noi, invece, è il fatto che il petrolio russo rimarrà comunque sul mercato: chi prima comprava dai nuovi fornitori dell’India, ora lo deve fare da qualche altra parte. E non mi sembra una cosa tanto negativa nell’ottica delle sanzioni: i futuri acquirenti del petrolio russo sapranno che lo Stato russo ha tanto bisogno di vendere, quindi è disposto a fare degli sconti ancora più interessanti.
Non so se devo dispiacermi per l’India, ma, nel frattempo, mi senti positivamente sorpreso dal fatto che almeno un trucco di Trump ha funzionato.
È incredibile, ma la Presidente della Camera alta del «parlamento» russo (Consiglio Federale) Valentina Matvienko — una delle principali complici di Putin — è arrivata ieri a Ginevra per la Conferenza Mondiale dei Presidenti del Parlamento. Sarei molto curioso di scoprire chi di preciso l’abbia invitata e perché la Svizzera abbia deciso di dare un podio a dei criminali.
Nel frattempo, scopriamo che Valentina Matvienko e la sua delegazione sono arrivati a Ginevra per gli eventi organizzati dall’Unione interparlamentare, che si terranno dal 28 al 30 luglio. La discussione alla quale è già intervenuta Matvienko si intitola «Un mondo in fermento: la cooperazione parlamentare e l’approccio multilaterale alla soluzione dei problemi per la pace, la giustizia e la prosperità per tutti».
In particolare, dal palco ha ripetuto le solite stronzate della propaganda statale russa sulla difesa della popolazione di lingua russa nell’est della Ucraina (è stata addirittura applaudita, ma immagino che tra il pubblico ci fossero altri rappresentanti dello Stato russo).
E allora io ricordo che le statistiche su ciò che stava accadendo nel Donbas prima della attuale fase della guerra sono facilmente disponibili. Quanti civili sono morti lì, ad esempio, nel 2021, quando i «maledetti ucraini bombardavano continuamente i civili»? Secondo le statistiche dell’ONU e dell’OSCE, nel 2021 ci sono state 25 morti tra i civili, il numero più basso rispetto agli anni precedenti del conflitto, e oltre la metà di queste morti erano dovute a mine e ordigni inesplosi.
E quante persone sono morte nel Donbas quando sono arrivati i «liberatori» armati russi? Dall’inizio della invasione su larga scala da parte, iniziata il 24 febbraio 2022, l’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani (OHCHR) ha registrato almeno 13.580 morti e 34.115 feriti tra i civili in tutta l’Ucraina (al 30 giugno 2025).
Per quanto riguarda le regioni di Donetsk e Luhansk (Donbas), quelle più colpite: all’inizio di giugno 2023, le Nazioni Unite hanno registrato almeno 2964 civili morti e 3683 civili feriti nel Donbas. Mentre gli attivisti internazionali per i diritti umani hanno contato, a dicembre 2022, un totale di circa 3978 morti e 5452 feriti nelle regioni di Donetsk e Luhansk. Di conseguenza, almeno tre o quattro mila civili sono stati uccisi e diverse altre migliaia sono rimaste ferite nel Donbas tra il febbraio 2022 e la metà del 2023. Questi numeri riflettono solo i casi confermati. Il numero reale è molto probabilmente più alto a causa delle difficoltà di accesso alle aree occupate e al fronte.
Valentina Matvienko, intanto, parla della pace e della difesa dei civili a Ginevra.
Difficilmente qualcuno ne dubitava, ma Reuters ha avuto le conferme del fatto che era stato proprio Elon Musk a ordinare la disattivazione del servizio satellitare Starlink quando l’Ucraina aveva lanciato l’offensiva nel settembre del 2022.
Ovviamente non possiamo sapere come si sarebbe svolta quella offensiva e a quali risultati avrebbe portato, ma possiamo essere certi del fatto che la decisione di Musk aveva avuto una influenza negativo sull’andamento della operazione. Questa guerra è diventata una guerra praticamente di posizionamento lunga già più di tre anni anche grazie a Musk.
Ricordiamocelo. Anche la prossima volta che lui mostrerà la propria insoddisfazione per il prolungarsi eccessivo dei combattimenti.
Nonostante tre anni e mezzo di lettura quasi ininterrotta di notizie sulla guerra e sulla Ucraina, a quanto pare non comprendo ancora abbastanza bene alcuni dettagli della politica ucraina. Perché già da alcuni giorni mi chiedo: perché Zelensky si è sparato a un piede ha attaccato attaccando due Enti anticorruzione, e per di più in un momento così inopportuno?
Continuo ad approfondire la questione, e auguro a voi di fare lo stesso.
E mentre lo faccio, mi rallegro di due cose. In primo luogo, il fatto che in Ucraina ci siano cittadini che, anche in condizioni di guerra e con tutti i pericoli che questa comporta, sono pronti a partecipare attivamente alla vita politica. In secondo luogo, mi rallegro del fatto che Zelensky abbia reagito prontamente alle proteste e abbia iniziato a correggere la situazione che lui stesso ha creato (alcuni Capi di Stato delle zone geografiche confinanti con l’Ucraina non sono in grado di farlo).
L’Ucraina è viva, e che rimanga tale.
Il comandante in capo delle forze armate ucraine Alexander Syrsky, in una intervista rilasciata ieri a The Washington Post, ha invitato gli USA e l’Europa a fornire all’esercito ucraino missili a lungo raggio e a consentirne l’uso contro la Russia. L’obiettivo è quello di rallentare la produzione di armi russe, attaccando gli stabilimenti russi che producono missili e droni.
Non so cosa ne pensino gli esperti militari, ma dal punto di vista puramente logico la richiesta di Syrsky è perfettamente in linea con l’obiettivo globale di costringere Putin a negoziare a condizioni non tanto vantaggiose per lui. Per esclusione: se per vincere con mezzi militari sono necessari sforzi e investimenti finanziari troppo grandi e, allo stesso tempo, non è possibile privare completamente Putin dei soldi per la guerra (a breve termine è sicuramente impossibile, pure l’economia sovietica non era crollata in un solo anno), allora non resta che creargli problemi reali con le armi. Problemi tali che diverse persone gridino – come lo aveva fatto il capo di un gruppo militare da nome musicale – davanti alle telecamere: «Vladimir, dove sono i proiettili, ***** ***?»
Spero che si riesca a spiegarlo ai politici americani e europei.
Non mi stupisce proprio il fatto che la Direzione della Reggia di Caserta ha deciso l’annullamento del concerto sinfonico diretto da Valery Gergiev, previsto per il 27 luglio. Non so quale sia stato il motivo principale…
1) l’approvazione di fatto da parte di Gergiev (già sempre putiniano) della guerra in Ucraina,
2) le voci in base alle quali i pochissimi biglietti venduti erano stati comprati principalmente dalla diaspora ucraina che voleva protestare rumorosamente durante il concerto.
Non lo so e non mi sembra fondamentale. Per me l’importante è il risultato.
Quello che mi incuriosisce maggiormente è: perché a qualcuno è venuto in mente di invitare un personaggio del genere al quarto anno della guerra in corso? Perché proprio lui e non qualcuno di quegli russi (se proprio vogliamo scegliere anche in base alla nazionalità) che si sono dimostrati umani, oltre a professionalmente bravi? Avrei una ipotesi, ma potrebbe sembrare troppo banale…
P.S.: in realtà avrei anche altre domande, ma ormai le classifico come impossibili. Per esempio: perché un grande direttore d’orchestra che avrebbe potuto essere richiesto e applaudito meritatamente in tutto il mondo, ha preferito essere un servo e un compagno di cella del criminale chiamato Putin? (perché il territorio russo è già la loro cella anche se per ora spaziosa) E se ha pensato di testare la possibilità di scappare in Occidente solo ora, come ha fatto di non capire che la fuga deve iniziare da una giusta dichiarazione? Per ora non so ipotizzare delle risposte a queste domande.
La polizia armena si è rifiutata di estradare in Russia l’ex ufficiale russo Semyon Subbotin, che si è rifiutato di partecipare alla guerra russo-ucraina. Subbotin, 25 anni, ha prestato servizio come radio-telefonista nelle Forze missilistiche strategiche nella città di Teikovo, nella regione di Ivanovo. Ha lasciato la Russia nel settembre 2024 con l’aiuto dei volontari di un progetto che fornisce l’assistenza di vari tipi ai cittadini russi che vogliono sottrarsi all’obbligo formale di andare in guerra contro l’Ucraina.
Subbotin non è assolutamente il primo a scappare: solo il progetto di assistenza di cui sopra ha già aiutato, a partire dall’ottobre 2022, alcune decine di migliaia di persone (seguite il link se volete essere più informati).
Quello che mi piace particolarmente nella notizia citata è il fatto che l’Armenia continua dimostrare con una certa costanza l’allontanamento dalla Russia e, di conseguenza, l’avvicinamento al mondo sviluppato. È una strada difficile e pericolosa, ma bella e giusta. Spero che abbia un grande risultato alla fine. E spero che lo sforzo venga apprezzato (e alleggerito, perché chi si impegna va stimolato) da chi prende le decisioni riguardanti le relazioni tra gli Stati.
Non è assolutamente detto che alla «importante dichiarazione» di Trump fatta il 14 luglio segua qualche atto concreto, ma è comunque importante capire che i dazi del 100% sono in sostanza impossibili contro il commercio russo del petrolio. È vero che è già stato fatto notare molte volte il carattere globale del mercato del petrolio, ma leggere una spiegazione in più non fa mai male.
Insomma, avete già capito qual è l’argomento dell’articolo che segnalo questo sabato. Leggete il testo originale e non i miei tentativi di riassumerlo ahahaha