Penso che sia la settimana giusta per dedicare una nuova puntata della mia rubrica musicale all’inno statunitense: infatti, nessuno ha detto che i pretesti debbano essere sempre nettamente positivi.
Ebbene, più o meno tutti si ricordano l’inno degli USA (o almeno la sua parte iniziale). Si chiama «The Star-Spangled Banner», le sue parole sono tratte dal poema «Defence of Fort M’Henry» dell’avvocato e poeta americano Francis Scott Key (il quale compose il poema nel 1814), fu adottato in qualità dell’inno ufficiale solo il 3 marzo 1931.
Però bisogna ricordare anche l’autore della musica dell’inno! Ebbene, solo negli anni ’80 del XX secolo gli scienziati hanno scoperto che non si tratta di una musica popolare inglese: fu composta da una persona ben precisa. Si tratta dello storico della musica, compositore, organista e cantante britannico John Stafford Smith, il quale nel 1780 circa compose l’inno scherzoso della «Anacreontic Society» (un club di musicisti londinesi). Ora quell’inno scherzoso è noto come la canzone «To Anacreon in Heaven»:
Ora siete ancora più informati sulla cultura americana e sulla storia della musica. Io, di conseguenza, posso ritenere di non avere proprio sprecato questa giornata…
L’archivio del tag «usa»
Certo, prendere la maggioranza dei voti del popolo alle elezioni presidenziali statunitensi non è il sinonimo di vincere le elezioni presidenziali statunitensi (lo dovrebbero sapere / ricordare tutti). Certo, possiamo aggrapparci all’ultima speranza… Però sembra abbastanza ovvio che Trump sta per ridiventare il Presidente degli USA. Se non dovesse succedere qualcosa di straordinario.
Non posso dire con certezza (e in anticipo) in quale misura il ritorno di Trump si possa rivelare un fenomeno negativo. Naturalmente è negativo, ma non posso prevedere fino a quale punto… A giudicare dal suo primo mandato, Trump dice un sacco di stronzate, ma, allo stesso tempo, mi ricordo che a) ne realizza (o riesce a realizzarne) solo una parte e b) Biden si era prontamente preso il merito di alcune delle cose che proprio Trump aveva fatto. L’aspetto sicuramente negativo è il fatto che Trump è estremamente imprevedibile. Ma in alcune situazioni questo può essere anche un pregio, perché non se ne poteva più della totale impotenza dimostrata dalla amministrazione Biden (mentre Harris, in questo senso, nel corso della propria campagna elettorale aveva dimostrato di essere ancora peggio).
Insomma, per ora non posso dire che il mondo stia per crollare. Anzi, più precisamente: negli ultimi anni sta già rotolando in una brutta direzione, ma senza alcun merito di Trump. Possiamo solo osservare quanto ne riesce a contribuire in soli – per fortuna! – quattro anni che gli rimangono.
Molto più preoccupante – e potenzialmente pericoloso – della semplice elezione di Trump è il fatto che i repubblicani stanno per ottenere la maggioranza in entrambe le Camere: non per il fatto che sono repubblicani (in termini assoluti io stesso sarei molto più vicino al partito Repubblicano che quello Democratico), ma per il fatto che in questo modo aumenta il potere di Trump. Riuscirà a nominare con più facilità le «proprie» persone alle posizioni che gli interessano e quindi stravolgere l’intero sistema.
L’unica speranza bella a tecnicamente realizzabile, invece, consiste nel fatto che da oggi e fino al 20 gennaio 2025 Joe Biden è libero di fare tutto quello che vuole. Proprio tutto: liberate la vostra fantasia (anche servendovi delle sostanze che volete). Che ne so… Per esempio: finalmente fornire alla Ucraina tutti i mezzi necessari per moltiplicare per zero tutta l’infrastruttura militare russa… Non penso che il vecchietto abbia conservato abbastanza prontezza mentale per riuscire a scatenarsi in questi due mesi e mezzo, ma di consiglieri ne ha.
Boh, vedremo. Dobbiamo resistere per soli quattro anni. Al massimo.
Ebbene, ci siamo quasi. Stiamo per ottenere le risposte ad alcune interessanti domande sociologiche.
Per esempio: quante persone hanno paura di ammettere pubblicamente di voler votare Trump, ma poi esercitano il loro voto segreto?
Oppure: i discorsi (e spesso le urla) sulla parità dei generi, sulla parità raziale, lives matter etc. indicano un problema molto lontano da essere risolto?
Oppure ancora: anche negli USA (perché dovrebbero essere molto diversi dal resto del mondo?) la maggioranza delle persone preferisce il male vecchio (già conosciuto) rispetto a quello nuovo?
E ancora: in quanti si rendono conto di dover scegliere il male minore, ma hanno paura di ammettere pubblicamente di voler votare Harris?
È inutile tentare di rispondere in anticipo a tutte queste domande: le risposte sono delle semplici informazioni che tra poco otterremo anche senza cercarle intensamente. Però è utile restare positivi. Se dovesse vincere Trump (un evento che mi sembra un po’ più probabile), durerà al massimo quattro anni e, come la volta scorsa, non farà in tempo a distruggere proprio tutto (anche se alimenterà una brutta tendenza). Se, invece, dovesse vincere Harris, sarà più controllabile dalle altre Istituzioni anche nelle sue fantasie peggiori.
E, soprattutto, la fine della indecisione sulla figura del nuovo Presidente è già è una cosa positiva.
La società statunitense Meta (la proprietaria di Facebook, Instagram e WhatsApp) ha bloccato – «dopo un’attenta considerazione» – gli account dei media di propaganda russa Russia Today, Rossiya Segodnya e altri media collegati. Il blocco è stato spiegato con tentativi di «interferenza straniera» rilevati.
In sostanza, Meta ci ha impiegato appena una decina di anni per accorgersi che l’acqua è umida RT è uno strumento di propaganda statale russa creata con lo scopo di destabilizzare, servendo gli interessi della politica estera putiniana, la situazione interna negli Stati occidentali. Non rido molto solo perché i vertici statunitensi ci hanno impiegato solo alcuni giorni in meno: il 13 settembre Anthony Blinken aveva annunciato che l’intelligence statunitense ha scoperto che il canale televisivo straniero RT (precedentemente noto come Russia Today), finanziato dal governo russo, non solo è impegnato nella propaganda, ma partecipa attivamente alle operazioni di intelligence russa in tutto il mondo. Di conseguenza, gli Stati Uniti intendono creare una coalizione di Paesi che si occuperà di smascherare RT e di indebolire l’influenza del canale televisivo di propaganda russo nel mondo.
Chissà quanti altri anni ci impiegano.
Formalmente avrei potuto pubblicare il video odierno anche nella rubrica musicale del sabato… Però vorrei che questa opera venga apprezzata da tutti i punti di vista e da più gente possibile. E allora lo pubblico oggi:
Bene, Trump ha contribuito alla creazione di almeno una cosa bella.
Donald Trump ha detto di essere molto offeso dal fatto che Vladimir Putin ha espresso il proprio sostegno alla candidatura di Kamala Harris alle elezioni presidenziali statunitensi.
Non so quanto la suddetta dichiarazione corrisponda alla realtà, ma so che costituisce un bel pretesto per fare due piccole precisazioni.
In primo luogo, non bisogna pensare (mai) che Putin dica la verità. A volte lo fa, ma per sbaglio.
In secondo luogo, Harris presidente conviene a Putin più o meno quanto Biden presidente. Infatti, entrambi non mostrano un atteggiamento particolarmente ostile nei confronti della politica putiniana nel mondo: anzi, sembra che facciano di tutto per minimizzare i propri sforzi in tal senso.
In terzo luogo, Trump – durante la prima presidenza del quale i rapporti tra gli USA e la Russia erano al minimo della positività – conviene a Putin quasi quanto Harris. Infatti, il «pregio» di Trump (secondo la logica di Putin) è quello di indebolire lo Stato americano da dentro.
Quindi Trump dovrebbe stare sereno: in realtà, Putin sostiene entrambi i principali candidati ahahaha
Ieri il Dipartimento del Tesoro statunitense ha imposto sanzioni contro il canale televisivo russo RT («Russia Today») a causa dei «tentativi di Mosca di influenzare le elezioni presidenziali» statunitensi. Le sanzioni riguardano 10 persone (manager di RT) e due organizzazioni. Le restrizioni sono state imposte al gruppo mediatico Rossiya Segodnya (il nome russo di «Russia Today») e a cinque delle sue filiali: RIA Novosti, RT, TV-Novosti, Ruptly e Sputnik. In una dichiarazione, il Dipartimento del Tesoro ha affermato che:
Russian state-sponsored actors have long used a variety of tools, such as generative artificial intelligence (AI) deep fakes and disinformation, in an attempt to undermine confidence in the United States’ election processes and institutions.
Finalmente qualcosa di concreto! Perché tutti i precedenti discorsi sulla interferenza russa nelle elezioni americane erano talmente generici e privi di fondamento (e a volte pure basati su fake) che quasi mi offendevo per le ingiustizie subite dalla propaganda di Stato russa: secondo me – e secondo tutti i lettori attenti delle notizie – essa si impegna di più e funziona molto più efficacemente di qualsiasi servizio speciale russo. Ma solo nel 2024 i suoi sforzi sono stati notati e apprezzati come si deve.
Faccio, dunque, le mie congratulazioni – anche se di tipi diversi – sia al Dipartimento del Tesoro americano che alla redattrice capo di RT Margarita Simonyan.
Come avrete letto o sentito, molto probabilmente anche più volte, c’è stato uno scambio di detenuti tra lo Stato russo da una parte e l’Occidente dall’altra. Lo Stato russo ha consegnato 16 persone, tra le quali detenuti politici russi (condannati a diversi anni di reclusione per la manifestazione della contrarietà alla guerra) e cittadini tedeschi e americani ritenuti e condannati come spie (utilizzo questa espressione per non farvi pensare che siano realmente delle spie). L’Occidente, invece, ha consegnato 8 persone (tutti cittadini russi), tra le quali un esponente dei servizi segreti russi condannato per l’assassinio di un oppositore ceceno a Berlino e sette spie e/o imbroglioni di livello medio-basso (il primo degli otto è quello che interessava a Putin più di tutti: tenete in mente questa cosa che ci sarà utile tra poco).
I testi più significatici che ho apprezzato io saranno segnalati nel post di domani. Oggi, invece, volevo precisare tre principi base.
1) Perché lo Stato russo ha scambiato alcuni russi per alcuni russi? Lo ha fatto per sbarazzarsi di oppositori e dissidenti politici che poteva anche uccidere senza alcun problema, ma ha avuto l’occasione di sfruttarli per la propria utilità del momento (riavere indietro le persone ideologicamente vicine). Inoltre, in tal modo ha privato – o ha tentato di privare – i politici di opposizione scambiati del loro peso politico interno. Nella inevitabile Russia post-putiniana avranno più peso politico – tra gli elettori e tra le élite – quelli che hanno lottato dentro e non quelli che hanno fatto delle dichiarazioni sui social stando al sicuro nell’UE o negli USA: sono due categorie di persone percepite in un modo molto diverso.
Certo, la legislazione russa in materia vieterebbe consegnare i cittadini russi agli altri Stati, ma Putin usa le leggi solo quando deve fare una determinata operazione in bagno.
2) Perché lo Stato russo ha scambiato alcuni non-russi per alcuni russi? Perché sa che, logicamente, gli Stati occidentali sono prima di tutto interessati al salvataggio dei propri cittadini. Gli ostaggi occidentali nelle carceri russe sono, di fatto, una valuta forte. Ogni occidentale che va in Russia ai tempi di Putin deve comprendere questo rischio: può essere arrestato con una qualsiasi accusa ridicola per diventare una «moneta» della valuta forte, una merce di scambio.
3) Perché Putin voleva tanto liberare l’agente dei servizi segreti Vadim Krasikov? No, non per riutilizzarlo in altre missioni. E non per permettere a quel personaggio di trasmettere agli altri le sue ipotetiche altissime capacità da spia. Evidentemente, voleva liberare Krasikov per dare un messaggio agli altri agenti: lavorate, fate quello che vi diciamo e se qualcosa dovesse andare male non parlate troppo, noi faremo di tutto per tirarvi fuori. Sparate i nostri nemici nei centri delle città europee, mettete il veleno sulle maniglie delle porte, piazzate le bombe, hackerate i database e fate tutto il resto con la massima tranquillità: se vi arrestano, noi organizziamo un altro scambio. Anche perché, effettivamente, nelle carceri russe rimangono centinaia di altri detenuti politici.
Ecco, i tre principi appena elencati non sono una semplice informazione per le persone che si interessano di ciò che succede nelle terre lontane. È un avvertimento.
È un avvertimento del fatto che ora gli agenti dei servizi segreti russi hanno avuto una conferma di quanto menzionato nel terzo principio: possono fare qualsiasi cosa senza preoccuparsi troppo dell’eventuale arresto.
Io sono molto contento per tutte le persone – russi e non – liberate dallo Stato russo nel corso dello scambio di ieri: il carcere russo è uno dei peggiori posti sul nostro pianeta, da non augurare nemmeno ai peggiori nemici. Ma la loro liberazione potrebbe costare la vita a diverse persone che vivono nell’UE o negli USA.
Il «Politico» scrive che la quantità delle donazioni da parte dei sostenitori del Partito Democratico statunitense sulla piattaforma ActBlue ha superato i 55 milioni di dollari dopo che Joe Biden si è ritirato dalle elezioni presidenziali e ha annunciato che avrebbe sostenuto la candidatura vicepresidente Kamala Harris.
Tale dato di cronaca mi fa pensare, ancora una volta, alle stranezze dei processi cognitivi che girano nelle teste degli elettori (in realtà non solo quelli americani).
Per esempio: il ritiro di Joe Biden ha reso Kamala Harris una candidata migliore di quanto sarebbe stata senza la decisione di Biden? Palesemente, è sempre la stessa persona un po’ strana, contraddittoria e politicamente poco visibile (nel senso che si è fatta notare relativamente poco).
Oppure: l’orecchio ferito di Donald Trump – è il fatto che quest’ultimo si sia salvato per il volere della bandiera-angelo miracolo – rende Trump un personaggio migliore di quanto lo era prima? Eppure, tra i repubblicani ora c’è più entusiasmo relativamente alla sua candidatura.
Boh, vedremo quale stranezza risulterà vincente. Anche se per ora mi sembra che quel proiettile abbia ferito mortalmente il candidato democratico.
Presumo che per il 101% di voi non è una notizia: Joe Biden ha trovato le forze morali per decidere di non ricandidarsi alla Presidenza degli USA. Lo ha reso noto attraverso un comunicato su X, l’ex Twitter e l’ex strumento di comunicazione preferito da Donald Trump: non so se si tratti dell’ultima battuta presidenziale… Se lo fosse, è una battuta realmente bella, spero di avere lo stesso livello di humor all’età di quasi ottantadue anni (ma spero di avere anche la capacità di scrivere direttamente sul social e non far postare lo screenshot di un pdf; boh, non importa).
Negli ultimi anni e soprattutto nelle ultime settimane ho letto diverse considerazioni più o meno negative su Joe Biden e su Kamala Harris. Avremo ancora abbastanza tempo, presumo, per leggere tutte le cose possibili sulla attuale vice-presidente (se, per esempio, è realmente «meglio che non parli»), mentre per ora voglio salutare bene Biden.
Voglio scrivere che invidio infinitamente uno Stato il cui presidente per molto tempo si è dimostrato molto attaccato al potere, ma alla fine ha trovato le forze per dire «me ne vado per il bene del Paese». Invidio anche perché penso a un altro personaggio che non avrà mai il coraggio e l’intelligenza per farlo. Quel personaggio, dopo l’incontro con il quale nel 2001 il presidente George W. Bush disse «L’ho guardato negli occhi e visto la sua anima: un uomo diretto, che ispira fiducia». Quel personaggio, dopo l’incontro con il quale il vice-presidente Biden ha detto «Anche io l’ho guardato negli occhi e non ho visto l’anima»: secondo la testimonianza di un psicologo e politologo russo, la frase è stata pronunciata a Mosca durante un incontro privato con alcuni politologi e giornalisti russi, dopo l’annessione della Crimea, ma molto prima dell’inizio della grande guerra sul territorio ucraino.
Ecco: nonostante tutte le stranezze, Biden è sempre stato una persona intelligente. L’età lo ha naturalmente reso poco reattivo in tutto, anche nelle decisioni fondamentali, ma non gli ha fatto perdere il cervello.
Di conseguenza, nonostante l’età è riuscito a prendere la decisione intelligente e andare via in un modo giusto.
Relativamente tra poco, a novembre, qualcuno dirà che lo ha fatto troppo tardi, che per permettere ai propri colleghi di partito di sconfiggere Trump avrebbe dovuto ritirarsi molto prima. Ma il fatto è che noi non lo sappiamo, il solo suo ritiro non è una garanzia della vittoria del candidato dei democratici.
Donald Trump, per esempio, sarebbe rimasto sempre Donald Trump, sarebbe stato comunque ferito all’orecchio etc.. E, soprattutto, non è un ragazzino nemmeno lui, quindi potrebbe non arrivare alla fine del secondo mandato ed essere sostituito da quel mostro di Vance.
Insomma, complimenti a Biden per la scelta giusta finalmente fatta.