Lo Stato di Niue, nel Pacifico, ha emesso una moneta commemorativa d’argento da 5 dollari neozelandesi chiamata l’"Azovstal Warrior«.
Sulla moneta è presente il dipinto «Mariupol Azovstal» dell’artista Maxim Palenko che raffigura un soldato della guarnigione di Mariupol in armatura.
La moneta è stata cognata in 333 esemplari, il valore di mercato di un esemplare è di 279,9 euro.
L’archivio del tag «ucraina»
Abbastanza prevedibilmente, anche in Occidente in tanti hanno iniziato a discutere della ennesima «notizia»: il generale Aleksandr Lapin, già capo del Distretto militare centrale, è stato nominato capo dello Stato maggiore delle forze di terra delle Forze armate russe.
A questo punto ricordo che bisogna distinguere i due tipi del «perché» che nella maggioranza delle lingue occidentali suonano, purtroppo, allo stesso modo: 1) a quale scopo e 2) per quale motivo.
Se ci chiediamo «per quale motivo» è stato nominato Lapin, stiamo solo perdendo tempo. Le decisioni militari devono essere formalmente firmate da qualcuno, non importa molto da chi. Qualsiasi generale disposto a dimostrarsi inferocito contro l’Ucraina può andare bene per il Comandante supremo delle forze armate russe.
Se ci chiediamo invece «a quale scopo» è stato nominato Lapin, la domanda è già più interessante. Infatti, le persone più attente si ricordano che in precedenza il generale Aleksandr Lapin era stato fortemente criticato da alcune figure politiche russe (tipo Ramzan Kadyrov) per i risultati scarsi raggiunti durante la guerra in Ucraina. Ebbene, proprio l’essere l’oggetto della critica è uno degli scopi per i quali Lapin ha ricevuto una nuova nomina. In tale «missione» si è dimostrato molto «forte» e indispensabile.
Ogni altra analisi più elaborata e fantasiosa della nuova nomina mi sembra per ora assolutamente inutile.
Vladimir Putin ha ordinato – «seguendo l’appello» del patriarca Kirill – al Ministro della «Difesa» Sergey Shoigu di dichiarare un cessate il fuoco in Ucraina per 36 ore. In base all’ordine di Putin, le truppe russe dovrebbero cessare il fuoco nel giorno del Natale ortodosso, più precisamente dalle 12:00 del 6 gennaio alle 24:00 del 7 gennaio 2023 (l’ora di Mosca). Il cessate il fuoco deve essere in vigore «lungo l’intera linea di contatto» in Ucraina.
L’ufficio presidenziale ucraino ha definito l’appello del patriarca Kyrill «una cinica trappola e un elemento di propaganda». L’ordine di Putin, invece, è stato commentato dalla presidenza ucraina con le parole «Si tenga la sua ipocrisia».
Da una parte, capisco benissimo la diffidenza dei vertici ucraini: loro, come pure la maggioranza dei russi (e, presumo, degli abitanti del nostro pianeta), sanno bene quanto vale la parola di Putin. Dall’altra parte, non posso non ricordare almeno ai miei lettori che Putin è un perfetto mistico religioso. Lo è nel senso che è convinto – a giudicare dal suo comportamento ormai pluridecennale – che essere un credente significhi rispettare i rituali visivi religiosi. Nell’insieme di quei rituali rientrano le cose del tipo: stare in chiesa con una candela e uno sguardo «umile» durante una festività religiosa, fare qualche pellegrinaggio in qualche «luogo sacro», tenere qualche conversazione con «le persone di grande fede», toccare qualche «reliquia» e «chiederle» qualcosa, spaccarsi la fronte facendo gli inchini a qualche pezzo di legno colorato icona etc. etc. Ecco, per Putin l’essere credente consiste in quelle cose. E solo in quelle.
Di conseguenza, non sono ancora del tutto sicuro che nel suo ordine del cessare il fuoco ci sia l’ipocrisia: potrebbe essere realmente intenzionato a fare quella pausa di 36 ore.
Allo stesso tempo, sono abbastanza sicuro del fatto che l’esercito ucraino non sia disposto a fare delle pause nella liberazione dei territori occupati. E dubito che Putin sia una grande autorità per alcuni di quei personaggi che ha già mandato sul territorio ucraino.
Per «apprezzare» meglio il giudizio ufficioso russo «è stata colpa loro, hanno usato in massa i telefoni» in merito alla eliminazione di massa dei militari russi la notte di Capodanno a Makeevka, propongo ai lettori di eseguire i seguenti punti (sconnessi tra loro):
– provare a sostituire la notte di Capodanno con quella tra il 24 e il 25 dicembre;
– verificare se da qualche parte del mondo non esiste il concetto della «responsabilità del capo / dirigente / ufficiale / altro per le persone affidategli»;
– capire che la tradizione di mandare gli umani contro le tecnologie più evolute è modo di fare la guerra adottato in Russia da secoli, non verrà abbandonata oggi o domani.
Non so se si sia trattato della prima volta nella storia – perché non sono così attento alla cronaca – ma il 2 dicembre 2022 è stato tentato il furto di una delle opere di Banksy.
Chi non ha il tempo e/o la curiosità di leggere il breve articolo sulla notizia, riassumo molto brevemente: un matematico trentaduenne di Kiev, assieme a uno scultore di Čerkasy, è andato nella città di Gostomel, ha staccato un pezzo di muro con una delle opere «ucraine» di Banksy (giustificandosi con il presunto fatto che «lo street art è di tutti, quindi è di ognuno») e dopo l’arresto ha detto che il suo obiettivo sarebbe stato quello di salvare l’opera vendendola all’asta Sotheby’s.
Meno male che in questo periodo, a volte, non solo i gerarchi russi riescono a farmi ridere…
P.S.: si trattava della seguente opera:
Bene… No: male, con l’anno nuovo riprendo a scrivere della stessa guerra. Inizio con qualcosa di «semplice».
Sulla immagine seguente vediamo due «versioni» dello stesso edificio: la sede di un istituto tecnico-professionale di Makeevka (nella regione di Doneck) ai tempi di pace e dopo il colpo dei Himars.
I generali russi «geniali» hanno collocato nel suddetto edificio – per la notte di Capodanno – fino a 600 russi da poco mobilitati dalla regione di Saratov. Per l’esercito ucraino un obiettivo del genere – non mascherato in alcun modo e facilmente individuabile – è stato un ottimo regalo. Non hanno potuto non prenderselo. Di conseguenza, ci deve interessare molto di più nell’ottica dello studio della propaganda russa.
Come è possibile sostenere la – e credere alla – tesi che in seguito a un colpo del genere siano morti appena 63 militari russi? L’unica cosa da precisare è il numero esatto, ma non l’ordine di grandezza.
Le persone che in questi giorni non sono ancora al lavoro (oppure sono costrette ad andare al lavoro pur non avendo molto da fare) possono provare a leggere un interessante rapporto giornalistico: «il 2022 russo in numeri». Ma il titolo non deve ingannarvi: molti dei numeri riportati riguardano anche l’Ucraina e l’UE. Perché, in effetti e purtroppo, il regime putiniano in qualche modo ha influito sulla vita di tutti.
Scrivere della guerra anche nei periodi festivi come quello di questi giorni è brutto, ma la guerra è ancora più brutta. Oltre a essere brutta, non va nemmeno in ferie, non si ferma per il Natale cattolico.
«In compenso», questo sabato vi segnalo – al posto del solito articolo – un grande reportage fotografico sulle condizioni nelle quali si trovano ora alcuni paesini ucraini attraversati da questa guerra. Le immagini sono del fotografo ucraino Yakiv Liashenko, spesso sono commentati con dei testi non particolarmente lunghi. Le informazioni su ogni singolo scatto si aprono con un click sulla «i» cerchiata.
Quando il giornale The New York Times pubblica i nomi – ovviamente solo alcuni, quelli che si è riuscito a scoprire – dei militari russi che hanno compiuto le violenze contro i civili a Bucha, dimostra di avere fatto un ottimo lavoro giornalistico. Tale lavoro avrà relativamente poche conseguenze nel periodo storico seguente alla conclusione della guerra (perché i processi penali saranno fatti ai rimasti in vita e inizieranno dagli ufficiali), ma potrebbe – spero – influire sull’andamento della guerra.
Infatti, oltre a scoprire e pubblicare i nomi, sarebbe molto utile informare i militari russi del fatto che tutte le loro «imprese» diventeranno note prima o poi. Questo potrebbe, almeno in alcuni casi, essere un bel deterrente contro i nuovi crimini di guerra o la partecipazione alla guerra stessa. Non so (ancora) come si possa fare, ma conviene provare: anche una vita ucraina salvata sarà già un risultato positivo.
La cosa più importante da sapere / capire della visita di Vladimir Zelensky negli USA è il fatto che si è trattato di una visita al Congresso e non a Biden. In molte occasioni abbiamo già visto che il presidente Biden capisce benissimo l’importanza degli aiuti militari all’Ucraina. Allo stesso tempo, mi ricordo benissimo che lo stesso Biden aveva avvisato Zelensky delle possibili difficoltà nel convincere il Congresso della necessità di nuovi aiuti qualora l’Ucraina non si dimostrasse «sufficientemente grata».
Di conseguenza, penso proprio che Biden abbia «invitato con insistenza» Zelensky a correre il rischio di fare questo viaggio. E non vedo alcunché di male in questa grande collaborazione tra i due.
Purtroppo, l’Ucraina ha pochissimi alleati attenti e disponibili come lo è Biden.