Alcuni funzionari statali ucraini hanno dichiarato, ieri, che decine di componenti stranieri – soprattutto microelettronici – sono stati trovati nei missili che hanno colpito Kryvyj Rih e Odessa nei due giorni precedenti. Il presidente Zelensky, a sua volta, ha aggiunto che in uno di quei missili russi sono stati trovati circa 50 componenti prodotti in altri Stati, compresi gli Stati che sostengono la causa ucraina. Ovviamente, si conoscono anche i produttori di quelle componenti, i diplomatici dei rispettivi Stati sono stati avvisati dalla Ucraina.
Tutto questo non significa che tutti i produttori coinvolti sanno di essere dei fornitori dell’esercito russo. E, soprattutto, significa che non tutto può essere risolto con le semplici sanzioni quali, per esempio, il divieto di fornire determinati prodotti: è impossibile verificare le buone intenzioni di ognuno dei numerosi intermediari che formano una catena di fornitura alla Russia poco trasparente. Ne blocchi uno e ne compaiono dieci altri.
Qualcuno potrebbe ipotizzare che la situazione possa essere risolta con dei mezzi economici (lasciare lo Stato putiniano senza le risorse per l’acquisto della elettronica), ma, in realtà, per l’acquisto delle componenti elettroniche dei missili non ci vogliono delle somme tanto alte (in termini delle risorse di uno Stato).
Di conseguenza, la soluzione più semplice e più logica mi sembra sempre la stessa: fornire alla Ucraina più di quello che viene fornito alla Russia. E farlo velocemente.
L’archivio del tag «ucraina»
La mia più grande scoperta delle ultime 24 ore è stata: Putin è [ancora] capace di raccontare delle barzellette. Sceglie abbastanza male gli argomenti, ma almeno ci prova. L’ultima è stata raccontata ieri durante un incontro con i vincitori dei premi statali al Cremlino:
Perché, per dirla senza mezzi termini, il nemico colpisce le aree residenziali? Non c’è alcuna logica. Per cosa, perché, qual è lo scopo? E su obiettivi chiaramente umanitari: è incredibile. E non c’è alcun senso militare, è zero.
A questo punto conviene definire bene anche il contesto, se per qualche strano motivo fosse sfuggito a qualcuno. In base ai dati dell’ONU, al 15 maggio almeno 23.600 civili sono stati uccisi e feriti in Ucraina dall’inizio dell’invasione russa. L’Ufficio del Procuratore generale ucraino ha dichiarato che 487 bambini sono stati uccisi nel Paese a causa dell’aggressione armata della Russia.
L’esercito ucraino sostiene che i militari russi avrebbero fatto saltare una diga sul fiume Mokrye Yaly nella regione di Donetsk. Il fiume attraversa, tra le altre zone, anche il villaggio di Blagodatne, che l’esercito ucraino ha dichiarato di aver liberato l’11 giugno.
La tattica dell’esercito invasore russo è a questo punto sempre più evidente: ostacolare la controffensiva ucraina con delle «barriere naturali» e senza preoccuparsi delle conseguenze a lungo termine. È una tattica che non mi sorprende per nulla. Però c’è una cosa che preoccupa: non solo me, ma («anche»?) gli analisti che mi capita di leggere. Preoccupa il rischio delle esplosioni sulle altre numerose dighe sul fiume Dnepr che si trovano più a nord di quella di Kakhovka: i danni provocati dal danneggiamento di ogni diga avrebbero dovuto essere in parte limitati dal sistema delle dighe che si trovano più a sud. Ma a sud ora ce n’è già una in meno.
Ma immagino che lo avrete già letto decine di volte.
All’inizio pensavo di postare qualche video riassuntivo sulla alluvione terroristica in Ucraina, ma poi ho cambiato idea: molto probabilmente, avete già visto abbastanza immagini. E poi, la situazione cambia e si aggrava (in termini delle conseguenze) di continuo, quindi è quasi impossibile fare qualcosa di realmente riassuntivo.
E allora per ora metto un video dedicato a uno dei tanti aspetti…
L’argomento più grande e commentato di questa settimana è secondo me facile da individuare: l’atto terroristico alla diga della centrale idroelettrica di Kakhovka. Di conseguenza, scegliendo la lettura di questo fine settimana da proporvi avevo cercato di individuarne qualcuna che non avreste trovato (oppure trovato difficilmente) nei media occidentali.
Il suddetto criterio potrebbe essere soddisfatto dalla raccolta delle testimonianze dei residenti di Oleshki, uno dei centri abitati ucraini colpiti dalla inondazione. Molte delle cose testimoniate si ripropongono anche in molti altri punti della zona colpita.
All’inizio di giugno Ben Wallace – il segretario alla Difesa britannico (e uno dei candidati a diventare segretario generale della NATO) – ha dichiarato al Washington Post che l’Ucraina non sarà invitata nell’alleanza al vertice di luglio a Vilnius.
L’ex segretario generale della NATO Anders Rasmussen, da parte sua, ha dichiarato al The Guardian che alcuni Stati-membri dell’Alleanza potrebbero dispiegare le proprie truppe in Ucraina se a Kiev non dovessero venire fornite garanzie di sicurezza allo stesso vertice di Vilnius di luglio. In particolare, Rasmussen non ha escluso che la Polonia e gli Stati baltici possano compiere tali passi.
Il terzo personaggio di rilievo (?.. ahahahaha) da citare sono io: non essendo un diplomatico e/o un aspirante segretario generale della NATO, posso tradurre le dichiarazioni riportate sopra in un linguaggio più comprensibile agli umani. In sostanza, gli Stati geograficamente più vicini alla Ucraina e alla Russia si sentono – non senza ragione – in grande pericolo da oltre un anno, dunque si sono rotti qualcosa e hanno deciso di fare qualcosa di ancora più concreto per la fine della esistenza del pazzo aggressivo pericoloso.
È abbastanza difficile dire che sbaglino.
Dunque ci spero.
Non ho raccolto delle statistiche – ho di meglio da fare – e quindi non so in quanti in Europa si siano accorti di quella bellissima norma adottata dal Governo russo il 30 maggio 2023, esattamente 7 giorni prima della distruzione della diga di Kakhovka. Intendo il Decreto del Governo della Federazione Russa n. 873 del 30.05.2023 «Sulle peculiarità dell’applicazione nei territori della Repubblica Popolare di Donetsk, della Repubblica Popolare di Luhansk, della regione di Zaporozhye e della regione di Kherson delle disposizioni della legislazione della Federazione Russa nel campo della sicurezza industriale degli impianti di produzione pericolosi e della sicurezza delle strutture idrauliche». Chi legge in russo (e non ha paura del linguaggio giuridico/burocratico), può andare a vederlo. A tutti gli altri traduco direttamente (e letteralmente) il comma 10 della seconda sezione:
Fino al 1° gennaio 2028 le indagini tecniche degli incidenti alla strutture industriali pericolose e degli incidenti alle strutture idrauliche avvenuti in seguito alle azioni militari, sabotaggi e atti terroristici non vengono condotte.
Ecco, vi ho tradotto questa norma bellissima non per confermare – per l’ennesima volta – che «a pensare male si fa peccato, ma spesso ci si indovina». L’ho tradotta per avvertirvi: se, per caso, sentite parlare di una norma analoga dedicata alle centrali nucleari, sappiate di avere circa 7 giorni per prepararvi.
E speriamo che non siano meno di 7…
L’esercito putiniano ha fatto saltare la diga della centrale idroelettrica di Kakhovka. Delle 28 campate 11 sono state distrutte, ottanta centri abitati sono a rischio di inondazione. L’Ucraina accusa la Russia di terrorismo e di ecocidio…
Mentre noi possiamo constatare che una «soluzione» di questo tipo dei propri insuccessi militari testimonia la reale esistenza di un totale disinteresse per i territori occupati. I territori – e la relativa popolazione – ritenuti come propri non si trattano in questo modo: non vengono distrutti con l’artiglieria, non vengono messi a rischio minando una centrale nucleare, non vengono inondati facendo saltare una diga…
E non intendo solo le zone dell’est ucraino. Guardate, per esempio, la mappa della fornitura dell’acqua potabile alla Crimea, proclamata da Putin come un territorio «storicamente russo»:
P.S.: l’accaduto ricorda molto l’analoga distruzione della diga idroelettrica del Dnepr nel 1941 che fu attribuita ai tedeschi. A seguito dell’esplosione della diga, i soldati sovietici in ritirata dal territorio ucraino che in quel momento stavano attraversando la diga furono uccisi; Zaporozhye – all’epoca ancora occupata dalle truppe sovietiche – fu inondata, gran parte delle truppe sovietiche che si trovavano a valle furono sommerse o circondate dall’acqua e costrette ad arrendersi ai tedeschi. Il numero di civili uccisi rimane ovviamente sconosciuto.
Il bombardamento della cittadina russa Shebekino (a 6 chilometri dal confine con l’Ucraina) del 1 giugno è una delle dimostrazioni del fatto che se «apri» il confine con la guerra, lo apri in entrambe le direzioni.
E sì, indipendentemente da chi, perché e su ordine di chi lo abbia fatto, dico che nella situazione corrente gli ucraini lo possono fare.
L’articolo segnalato questo sabato è la testimonianza della fotografa Nicole Tung che ha passato diversi mesi – a partire dai primi giorni – a fotografare la guerra in Ucraina. Esistono tante interviste ai fotografi di questa guerra, in quella consigliata oggi è particolarmente interessante l’aspetto della abitudine alla guerra, della integrazione della guerra nella vita quotidiana.