Dicono che nel corso del dibattito di ieri Trump vs Harris la vice-presidente si è dimostrata inaspettatamente più convincente: lo spero perché lei mi sembra (per ora) l’opzione «meno peggiore» (ma non più di così) alle prossime elezioni. Ma di tutto il dibattito vorrei prendere in considerazione – oggi – solo uno dei tanti argomenti, quello che potete facilmente immaginare.
Kamala Harris ha affermato che se Donald Trump fosse ora il capo di Stato, Vladimir Putin avrebbe già conquistato l’Ucraina. Donald Trump, da parte sua, ha ripetuto la propria vecchia dichiarazione: se vincerà le elezioni presidenziali, porrà fine alla guerra russo-ucraina ancor prima di entrare ufficialmente in carica costringendo Putin e Zelensky a trattare.
Ecco, a questo punto direi che entrambi i candidati alla Presidenza statunitense hanno deciso – già tempo fa e, probabilmente, senza mettersi d’accordo tra loro – di adottare la stessa tattica elettorale. Kamala Harris sta facendo di tutto per nascondere al pubblico il proprio programma elettorale (si limita a dire che esiste e che «tra poco» verrà reso pubblico). Donald Trump, da parte sua, sta tenendo un comportamento simile sui singoli argomenti del proprio programma. Per esempio, non si capisce ancora se il suo «piano» per la fine della guerra in Ucraina sia costituito da più di un punto. Sentiamo da mesi che «farà incontrare Putin e Zelensky»… E poi? Cosa propone ai due? In quali condizioni mette ognuno dei due? Non lo dice.
Spero che almeno nella propria testa lo sappia…
Ma, conoscendolo, non ne sono sicurissimo.
L’archivio del tag «ucraina»
Il consigliere del capo dell’ufficio del presidente ucraino, Mykhaylo Podolyak, ha commentato le notizie secondo cui un drone russo «Shahed» è caduto sul territorio della Lettonia e un altro drone ha sorvolato il territorio della Romania (verso l’Ucraina) lo scorso fine settimana.
Nel suo canale Telegram ha scritto:
È noto (anche ai russi) dove si trovano oggi i confini geografici della NATO. Ma nessuno sa dove sia la… pazienza della NATO. Quando l’alleanza militare teoricamente più potente della storia sarà effettivamente pronta a difendere i propri confini? Queste informazioni di valore strategico sono state ottenute dai russi nel loro modo tradizionale: attraverso la cinica ricognizione e il combattimento.
Nel fine settimana, gli UAV russi hanno violato due volte lo spazio aereo della NATO durante attacchi sul territorio dell’Ucraina. Il primo, un drone da ricognizione, ha raggiunto la Lettonia attraverso la Bielorussia ed è precipitato vicino alla città di Rezekne. Il secondo, un drone d’attacco di tipo Shahed, è stato individuato dai caccia dell’aeronautica rumena sopra il loro confine, scortato attraverso lo spazio rumeno e ha seguito l’UAV mentre decollava per colpire un obiettivo in Ucraina.
L’esperimento è stato portato a termine e il risultato è stato chiaro. Ora il nemico lo sa: La NATO non risponderà alle violazioni dello spazio aereo da parte di veicoli aerei senza pilota e a un attacco sul suo territorio che non ha provocato vittime. È facile prevedere cosa accadrà in seguito: violazioni dei confini da parte di aerei e possibili «attacchi accidentali» con un numero ridotto di vittime.
I russi hanno sempre usato la primitiva «tattica del salame»: screditare la NATO con incidenti apparentemente minori. Stanno lentamente inasprendo il conflitto, cercando di evitare l’attivazione dell’articolo 5 della Carta di mutua difesa del blocco. L’obiettivo è scuotere la fiducia dei singoli membri dell’Alleanza, per indurli a pensare ad accordi separati con la Russia. E chi può dire che questo piano non stia funzionando?
L’osservazione «la NATO non risponderà alle violazioni dello spazio aereo» è logica, ma allo stesso tempo allarmistica. Sarebbe più corretto concludere che la NATO — come tutto l’Occidente collettivo — per tradizione rifletterà per diversi mesi, esprimerà preoccupazione e si farà coraggio, e solo dopo, come avviene ancora per le forniture di armi, deciderà di abbattere gli attrezzi militari russi sorvolano i territori degli Stati della NATO.
Podolyak, invece, vuole che il periodo di riflessione sia il più breve possibile. E posso capirlo.
Appena ho visto questo articolo, ho pensato che lo voglio per una delle «letture del sabato» più vicine.
Fortunatamente, la versione inglese del testo è stata pubblicata molto velocemente…
Ed ecco che posso consigliarvi la breve storia di quel pezzo del confine tra la Russia e l’Ucraina che oggi si trova tra la regione russa di Kursk e la regione ucraina di Sumy.
Chissà perché ho l’voluto segnalare proprio in questo periodo…
Probabilmente, tra i vari rischi derivanti dall’andamento della guerra in Ucraina, quello legato alla sicurezza della centrale nucleare di Zaporizhzhia è oggi ricordato meno di tanti altri: anche se non sarebbe tanto diverso, per esempio, dall’ipotetico uso della bomba atomica sul territorio ucraino.
Proprio per questo (per non farvi dimenticare di questo rischio) la «lettura del sabato» odierna è dedicata alla situazione attuale alla centrale nucleare di Zaporizhzhia.
Qualcuno è ancora interessato a giochi del tipo «indovina chi e in relazione a cosa ha detto questo»? Potete provare a indovinarlo, per esempio, per questa citazione di ieri:
Ma di che tipo di negoziati possiamo parlare con persone che prendono di mira indiscriminatamente i civili e le infrastrutture civili o cercano di minacciare gli impianti nucleari? Di cosa si può parlare con loro?
Naturalmente ho tolto queste parole dal contesto. Ma si può comunque facilmente intuire che è stato Continuare la lettura di questo post »
La domenica 4 agosto, quando l’Ucraina ha celebrato la Giornata delle Forze aeree dell’esercito, Vladimir Zelensky e i media ucraini hanno diffuso le immagini della cerimonia di ricezione dei primi – pare dieci – F-16. Io ne posto solo una:

Ora, come scrivono gli esperti, l’obiettivo principale dell’esercito ucraino è quello di assicurarsi che quegli aerei non vengano persi a terra. Lo si può fare in due modi: coprire il campo d’aviazione con massicce difese aeree o trasferire permanentemente gli aerei da un campo d’aviazione all’altro. La seconda opzione è però resa difficile dal fatto che non tutti i campi ucraini sono tecnicamente adatti per ospitare gli F-16.
Ed ecco che, finalmente, pure un tonto come me ha capito perché si scrive da mesi che gli F-16 consegnati alla Ucraina dovrebbero basarsi sui territori degli Stati vicini: per motivi tecnici e di sicurezza. Mentre gli altri tonti dovrebbero finalmente accettare il fatto che pure tecnicamente questa guerra non può rimanere «un conflitto tra la Russia e l’Ucraina».
L’agenzia Bloomberg – che in realtà negli ultimi tempi troppo spesso si inventa le notizie da clickbait – scrive che la prima partita dei caccia F-16 statunitensi è arrivata in Ucraina. Si tratterrebbe di una «quantità piccola» degli aerei, ma sarebbe stata rispettata la scadenza promessa di fine luglio.
Ora non sappiamo quanti piloti ucraini siano già pronti a guidare gli F-16 e quando (e quanti) arrivano gli altri aerei. Però possiamo logicamente presumere che l’arrivo (o, almeno, una nuova promessa concreta) di altri aerei rafforza la posizione ucraina anche nelle cosiddette trattative, delle quale parlano sempre più politici in giro per il mondo. Io, per esempio, ho sentito molti ucraini che anche nei discorsi pubblici hanno dichiarato: «in questa fase l’escalation ci conviene». Perché, in effetti, per loro l’«escalation» è una maggiore quantità e qualità degli aiuti che permettono di difendersi meglio e rendere la parte russa più disponibile a valutare le proprie possibilità di continuare questa guerra.
Il presidente finlandese Alexander Strubb in una intervista a Le Monde ha dichiarato che dopo la prima fase delle trattative sulla pace in Ucraina, si sta avvicinando la fase in cui dovrebbero iniziare i negoziati con la Russia. Allo stesso tempo, secondo il suo parere, il ritiro delle truppe russe dai territori ucraini non può essere considerato una precondizione per l’avvio dei suddetti negoziati.
Direi che si tratta di una «proposta» non più comprensibile di quella di Trump. Vuole che il ritiro completo dell’esercito russo sia il risultato delle trattative? Ma allora c’è il rischio che l’Ucraina non ottenga la riparazione russa dei danni causati dalla guerra (Putin potrebbe dire di avere già concesso tanto). Oppure, addirittura, vuole che si discuta dai quali territori ucraini si debba ritirare l’esercito russo e dai quali no? In questo caso si tratta dei negoziati sulla pesantezza della resa da parte della Ucraina (e gli ucraini, logicamente, si chiederanno per cosa hanno combattuto per tutto questo tempo). Oppure intendeva qualche altra opzione? Boh…
Insomma, se qualcuno dovesse avere un piano per i negoziati tra l’Ucraina e la Russia, sarebbe meglio che lo esponga per intero. Altrimenti fa la figura di una persona non particolarmente intelligente.
Il Financial Times ha pubblicato un articolo su come gli abitanti dell’Ucraina si stanno adattando ai regolari blackout dovuti agli attacchi russi alle infrastrutture energetiche del Paese. Tra le altre cose, il giornale racconta la storia di Oleksandr Bentsa, un imprenditore trentenne di Kiev che ha riorientato la propria attività nel contesto della crisi energetica. Per diversi anni Bentsa ha acquistato auto elettriche Tesla incidentale alle aste assicurative negli USA e le ha portate in Ucraina, dove i suoi meccanici le hanno restaurate e rivendute.
Dalla primavera del 2024, quando l’Ucraina ha iniziato a subire blackout regolari e prolungati, gli operai di Bentsa hanno fabbricato sistemi di alimentazione ricaricabili sulla base delle batterie Tesla. «Una vecchia Tesla, comprese le spese di spedizione, costerebbe quasi 10.000 dollari. È possibile trasformarla in 12 batterie ricaricabili e venderne i restanti pezzi di ricambio», ha dichiarato l’imprenditore.
Ogni sistema del tipo prodotto da Bentsa, con una capacità di cinque kilowatt, può mantenere in funzione le luci e gli elettrodomestici di un «tipico appartamento di Kiev» per un massimo di dieci ore. Bentsa vende alcuni di questi sistemi all’esercito ucraino al solo costo di produzione, ma la maggior parte dei suoi clienti sono civili. Negli ultimi mesi la domanda per questi sistemi di alimentazione è cresciuta «da quasi zero a un livello esorbitante» e l’imprenditore prevede che aumenterà ancora con l’avvicinarsi dell’inverno.
Ecco, di fronte a tutta questa notizia il mio primo pensiero è stato quello sulla imprenditoria nel corso di una guerra difensiva, ma per ora lo tengo per me. Mentre nel presente post volevo scrivere che mi sono piaciuti due aspetti della suddetta notizia. In primo luogo, apprezzo l’inventiva imprenditoriale e tecnica di Oleksandr Bentsa: effettivamente, ha trovato una buona soluzione al momento giusto. In secondo luogo, sono infinitamente contento (cioè rido come un matto) per il fatto che gli effetti distruttivi degli attacchi russi vengono affrontati con dei prodotti ricavati dai prodotti di quel Elon Musk che da parecchio tempo sostiene, di fatto, che l’Ucraina dovrebbe arrendersi alla Russia putiniana.
Oleksandr Bentsa ha trovato un bel modo di mandare Musk laddove quest’ultimo dovrebbe stare. E già per questo sarei portato di considerare Oleksandr Bentsa un mito!
Visto che questa rubrica serve per far comprendere meglio gli argomenti di importanza grande e durevole, la posso utilizzare anche per presentare delle persone importanti nei loro ambiti e, allo stesso tempo, in una parte considerevole del mondo.
Per esempio: chi è Andrij Jermak, il capo dell’Ufficio del Presidente dell’Ucraina, che in meno di cinque anni è riuscito a diventare il funzionario numero due (dopo il presidente Zelensky) in Ucraina. Durante il vertice di pace di giugno in Svizzera, tra l’altro, si è comportato come un membro a pieno titolo del tandem al potere…



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