Nel 1384 Edvige, la figlia undicenne del re d’Ungheria Luigi I il Grande, fu proclamata re della Polonia. Infatti, in base alla legge la Polonia poté essere governata solo da un re, ma da nessuna parte fu scritto che il titolo del re possa appartenere solo a un maschio.
Facendo gli auguri a tutte le lettrici, vorrei ricordare che la libertà e la parità iniziano sempre nelle teste, compresa la propria.
L’archivio del tag «storia»
Non penso che ci sia il bisogno di presentare il protagonista del post di oggi. Quindi passo subito al pretesto che mi permette di scriverne.
Oggi Mikhail Gorbachev compie 90 anni.
Oltre a fare gli auguri (come se ci fosse anche una minima probabilità che egli se ne accorga), colgo l’occasione per ricordare quel falso mito che viene associato al nome di Gorbachev un po’ in tutto il mondo. Infatti, mi è capitato di sentire da molte persone – provenienti non solo dalla Russia o dall’Italia – delle frasi del tipo «Gorbachev ha fatto crollare l’URSS». Mah… se il lavoro di un anatomopatologo fosse sempre considerato la causa di morte, ci troveremmo oggi in un mondo abbastanza strano.
Il problema sta nel fatto che Gorbachev è stato un anatomopatologo che ha tentato di fare il lavoro di un rianimatore. Attraverso una serie di misure / riforme di vario genere (alcune sensate e alcune un po’ meno) Gorbachev ha tentato – con un grado di successo che ormai non ha più senso di commentare – di rianimare un grosso cadavere puzzolente e di colore viola, dimenticandosi (?) del problema principale: il corpo sul tavolo non aveva più alcuna ragione di vivere. Per un periodo abbastanza lungo, più o meno fino alla metà degli anni ’60, nell’URSS rimaneva ancora almeno una illusoria credibilità della ideologia statale. Di quella ideologia che era ancora capace di caricare molte persone di entusiasmo, di convincere che si stia costruendo un mondo migliore, «più giusto». Ma di fronte alla evidente realtà tutte le illusioni prima o poi svaniscono. Assieme a loro viene automaticamente meno anche la motivazione di mantenere in piedi ogni genere di entità che da quelle illusioni venivano motivate a funzionare e svilupparsi. Vale per le compagnie di amici, squadre sportive, aziende, Stati etc.
Mikhail Gorbachev non ha saputo, non ha voluto o non si è accorto di dover (sottolineate pure quella che preferite) rinnovare l’aspetto ideologico dell’URSS per proporre alle persone comuni e ai dirigenti locali qualche nuova (magari meno scadente, più attuale per quei tempi) motivazione alla futura vita comune. Di conseguenza, in occasione del tentato colpo di Stato nell’agosto del 1991 – quando alcuni vecchi gerarchi sovietici avevano tentato di difendere lo status quo a loro tanto conveniente – molte persone avevano capito: la scelta tra il passato noioso (da vomito) e il futuro nebbioso (ma forse migliore) va fatta ora. Il risultato è noto. Ma allo stesso tempo in molti preferiscono dimenticare che Mikhail Gorbachev aveva assistito al realizzarsi di quella scelta da prigioniero in una residenza in Crimea.
Mikhail Gorbachev è forse quel governante russo (nel senso largo del termine) degli ultimi trentacinque anni di storia, nei confronti del quale ho meno parole negative da dire o scrivere.
E quindi gli faccio serenamente gli auguri.
P.S.: per levare ogni dubbio, preciso: sono infinitamente felice che almeno l’URSS non esista più.
Ben 95 anni fa, il 21 dicembre 1925, fu proiettato per la prima volta nella storia il famoso film di Sergej Ejzenštejn «La corazzata Potëmkin» (la sede della proiezione fu il Teatro Bošloj).
Si tratta di un film molto apprezzato (almeno dalla critica, ahahaha) e studiato. Quasi nessuno, però, si rende conto del fatto che «La corazzata Potëmkin» è anche uno degli esempi più clamorosi della influenza di una opera d’arte sulla coscienza delle persone. Infatti, Ejzenštejn riuscì a convincere tutto il mondo che la nave «Knjaz Potëmkin Tavričeskij» (il nome completo) sarebbe stata veramente una corazzata. Mentre in realtà fu un cacciatorpediniere: un tipo di nave molto diverso. Le motivazioni artistiche che spinsero il regista a tale falsificazione tecnica sono ancora da scoprire (probabilmente, volle solo abbellire il titolo del film secondo qualche proprio criterio estetico?).
Intanto pure la Wikipedia ripropone l’errore in tutte le sue versioni linguistiche.
Il fotografo Leslie Jones (12/X 1886 – 8/XII 1967) non amava essere chiamato giornalista e si autodefiniva «camera man». Molto probabilmente si tratta di una modestia esagerata. Infatti, per 39 anni – dal 1917 al 1956 – aveva lavorato per il giornale Boston Herald-Traveler, immortalando in oltre 40 mila foto la vita quotidiana della propria città. Aveva fotografato non solo gli eventi ufficiali e di cronaca, ma anche tutte quelle cose che avremmo rischiato di perdere, dal punto di vista grafico, per sempre solo perché vengono puntualmente snobbate dai turisti e dai fotografi interessati solo alla loro concezione molto dubbia dell’arte fotografica.
Fortunatamente, all’inizio degli anni ’70 la famiglia di Leslie Jones aveva donato il suo archivio fotografico alla Boston Public Library. La quale, a sua volta, ha provveduto – appena è stato tecnicamente possibile – di pubblicare la maggioranza delle foto su internet. Quindi oggi tutti hanno la preziosa possibilità di vedere le immagini di quei quattro decenni di storia di almeno una città statunitense.
Studiando quell’archivio, ho scoperto che una delle sue sezioni più grandi è dedicata agli incidenti stradali. Incidenti avvenuti in una epoca caratterizzata da un grado di motorizzazione talmente basso che ci potrebbe oggi sembrare incredibile la quantità degli schianti avvenuti annualmente.
Ma le sezioni nelle quali è suddiviso l’archivio sono in realtà numerose e di contenuto molto vario: Continuare la lettura di questo post »
È solo una storia curiosa. Ma allo stesso tempo è una storia vera.
Il 22 settembre l’archivio dell’Istituto della memoria nazionale della Polonia ha comunicato sulla propria pagina di Facebook un fatto curioso: a febbraio 1964 in Polonia era arrivato il 36-enne britannico di nome James Albert Bond. Lo aveva fatto per motivi di lavoro in quanto era il nuovo archivista dell’addetto militare alla ambasciata britannica. E, abbastanza velocemente, aveva attirato l’attenzione degli addetti al controspionaggio (che avevano poi seguito lui e la sua famiglia durante tutta la permanenza in Polonia).
Al momento dei fatti erano già usciti 11 dei 14 libri su James Bond e i primi 2 relativi film con Sean Connery.
The Telegraph, a sua volta, comunica che James Albert Bond è nato nel 1928 a Bideford da genitori impiegati nel settore agricolo. Nel 1954 si è sposato e aveva poi avuto un figlio. Ha lavorato nell’esercito britannico quasi fino ai 60 anni ed è morto nel 2005.
Il direttore dell’Istituto della memoria nazionale della Polonia Marzena Kruk sottolinea che James Albert Bond solo in parte ricordava il personaggio letterario: amava anche lui le donne, ma preferiva bere la birra.
Secondo i dati contenuti negli archivi polacchi, per almeno due volte James Albert Bond aveva tentato di infiltrarsi nelle basi militari controllate dall’URSS, ma non aveva stabilito dei contatti con la popolazione locale. Già nel 1965 aveva lasciato la Polonia a causa, pare, di una promozione.
Finché non vengano resi pubblici i relativi archivi britannici, possiamo solo ipotizzare i motivi per i quali James Albert Bond sia stato inviato proprio in uno Stato del Patto di Varsavia. Secondo me, poteva benissimo essere solo uno scherzo, un modo di prendere un po’ in giro i «colleghi» sovietici.
In autunno del 1933 nell’albergo berlinese Kaiserhof si incontrarono Adolf Hitler, Jacob Werlin e Ferdinand Porsche. Il primo dei tre diede un ordine preciso: creare una automobile nuova, affidabile e a basso costo per il popolo tedesco. L’automobile dovette essere prodotta da una fabbrica anche essa nuova. Quindi Hitler formulò i principi-base dell’idea, mentre Werlin (il rappresentante della Daimler-Benz) propose la candidatura dell’ingegnere-costruttore: Porsche.
Così nacque l’auto (wagen) popolare (volks). La fabbrica nuova dovette ancora essere costruita, ma, nel frattempo, sotto la guida di Porsche furono prodotti alcuni progetti tecnici e gli esemplari sperimentali. Il progetto sperimentale più fortunato nel secondo dopoguerra è diventato famoso con il nome di Volkswagen Käfer:
Ma non mancarono i problemi. Per esempio: cercando di risparmiare tempo e soldi, Ferdinand Porsche «si ispirò» all’auto ceca Tatra 97 (prodotta a partire dal 1936):
La Tatra fece una causa per i diritti intellettuali violati a Porsche, il quale, dopo un po’, giunse anche all’idea di dover pagare per avere utilizzato l’idea del design. Ma Hitler, a sua volta, disse a Porsche di non preoccuparsi: «Risolvo io il problema».
Il problema è stato risolto in primavera del 1939, quando l’esercito tedesco ha convinto i dirigenti della Tatra a cessare la produzione del modello 97 e a non insistere con la causa legale.
Quindi quella causa della Tatra è stata ripresa solo nel secondo dopoguerra e conclusa nel 1967 con il pagamento al produttore ceco di tre milioni di marchi.
Quindi il modo indicato di risolvere i conteziosi andrebbe un po’ perfezionato…
Il criminale greco antico Erostrato decise, un bel giorno, di diventare famoso incendiando il tempio di Artemide a Efeso. Stranamente, riuscì a raggiungere il pieno successo in entrambe le parti del suo piano: distrusse il tempio e ottenne la fama lunga oltre ventidue secoli.
Allo stesso tempo, oggi non tutti sanno che aspetto avesse avuto la statua di Artemide collocata in quel tempio. Ebbene, eccola, la statua più tettuta di sempre:
Simboleggiava la fecondità.
È veramente sorprendente il fatto che il 99,99% degli insegnanti scolastici insista a raccontare agli scolari esclusivamente le cose meno interessanti per un adolescente medio.
Finalmente è successo! Ho finito e pubblicato uno strumento altamente tecnologico per gli amanti della antichità industriale: «Singerus».
In sostanza, è uno script che determina, in base al numero di serie, l’anno e il luogo di produzione di una antica macchina da cucire Singer. Per macchine antiche intendo quelle prodotte fino al 1963, per esempio simili a questa:
L’idea di creare uno strumento digitale del genere è nata nella mia testa molto tempo fa, verso la metà degli anni 2000, quando mi ero chiesto quanto fosse vecchia la Singer della mia nonna. Ma non potevo certo immaginare che l’idea si rivelasse tanto originale: pure oggi, come al momento della nascita dell’idea, l’internet ci propone di determinare l’anno e il luogo di produzione di una macchina consultando una lunga lista di intervalli dei numeri di serie. In sostanza, ci viene proposto di utilizzare l’internet come una enciclopedia cartacea: guidare il dito sulle celle di una tabella come se fossero dei dorsi dei tomi e tentare di calcolare in quale intervallo di numeri (come se fossero delle lettere dell’alfabeto) è collocata l’informazione che ci interessa.
No, – ho pensato io, – nel XXI secolo l’informazione non può essere servita in questo modo.
Appena trovato abbastanza tempo libero, ho dunque scritto un semplicissimo (e un po’ noioso) script in PHP che ora fa funzionare il mio Singerus. Spero che faciliti la vita a qualche amante dell’antiquariato…
Le informazioni un po’ più complete su «Singerus» sono consultabili sulla pagina apposita del sito.
Spero che gli utenti e i visitatori della mia «invenzione geniale» condividano con me tutte le eventuali idee circa il miglioramento dello strumento. Intendo i miglioramenti di carattere tecnico, informativo e visivo.
Non è ancora passato un virus, ed ecco che ne arriva un altro: più pericoloso perché non curabile per via farmacologica.
Le grandi masse di persone in tutto il mondo hanno deciso – per l’ennesima volta – che fosse possibile rivalutare il passato secondo i criteri morali di oggi. E l’assurdità dei dettagli non è inferiore a quella dell’idea generale: a Milano il primo bersaglio è diventato Indro Montanelli (si vedano il tentativo 1 e il tentativo 2).
La storia di un qualsiasi Paese preso a caso è piena di guerre, commercio degli schiavi, genocidio e crimini di massa. L’Impero Roma, L’Impero mongolo, il Califfato, l’Impero ottomano, l’Inghilterra, la Francia, la Spagna, la Germania, la Cina, il Giappone, gli Stati Uniti, l’URSS e così via.
Pure l’Italia contemporanea è piena delle rappresentanze (ma anche monumenti e rapporti giuridici con) di uno micro-Stato che si basa su una ideologia che nel corso di lunghi secoli ha causato – e continua a causare tutt’oggi – milioni di morti in tutto il mondo: attraverso l’inquisizione, le crociate, le guerre e le persecuzioni scatenate per motivi religiosi.
Per la pace comune e la serenità interiore conviene capire presto due principi importantissimi. In primo luogo, il nostro mondo è una continua evoluzione. In secondo luogo, il principio di non retroattività non è solo un concetto giuridico: si applica anche ai valori morali.
Di conseguenza, le vie percorribili sono solamente due:
1. Demolire quasi tutti i monumenti ai grandi personaggi della storia. Ma in questo caso prepariamoci al fatto che un domani, in un’altra fase dello sviluppo della società, verremo «demoliti» pure noi. Perché? Per esempio, perché abbiamo «sfruttato» le donne delle pulizie latinoamericane o i conducenti dei tram arrivati dal Sud Italia. Oppure perché abbiamo «maltrattato» i figli bocciati, ammazzato delle zanzare, detto delle bugie, mangiato della carne etc.
2. Riconoscere che nella storia della nostra civiltà sono successe molte cose. Molte cose che oggi ci sembrano negative, ma che ormai appartengono al passato. Cerchiamo dunque di trarre delle giuste conclusioni e di fare in modo che non si ripetano più.
La seconda via è molto più lunga e difficile. Forse per questo motivo è anche poco popolare. Ma io spero che diventi presto di moda.
Qualche anno fa mi ero chiesto della origine e della spiegazione «scientifica» di quel gesto minaccioso inglese che ha la forma opposta al gesto «victory». Sì, intendo quello che si fa con il polso rivolto verso interno:
Gli esperti più sereni della lingua inglese non hanno saputo spiegarmelo, quindi ho dovuto aspettare di scoprire tutto da me.
Ed ecco che relativamente poco tempo fa ho trovato una interessante leggenda. In un momento non precisamente definito della guerra dei cent’anni i francesi avrebbero deciso di tagliare quelle due dita ai famosi arcieri inglesi imprigionati. Si trattò di una specie di umiliazione attraverso la privazione delle persone dei loro principali «organi di lavoro». In risposta a tale comportamento, gli inglesi inventarono il gesto che, in sostanza, vorrebbe dire «sono ancora attrezzato per ammazzarti».
Potrebbe essere solo una leggenda, ma a me piace. Quindi aggiungo anche il link all’articolo della Wikipedia dove se ne parla.