L’archivio del tag «storia»

Il vero James Bond

È solo una storia curiosa. Ma allo stesso tempo è una storia vera.
Il 22 settembre l’archivio dell’Istituto della memoria nazionale della Polonia ha comunicato sulla propria pagina di Facebook un fatto curioso: a febbraio 1964 in Polonia era arrivato il 36-enne britannico di nome James Albert Bond. Lo aveva fatto per motivi di lavoro in quanto era il nuovo archivista dell’addetto militare alla ambasciata britannica. E, abbastanza velocemente, aveva attirato l’attenzione degli addetti al controspionaggio (che avevano poi seguito lui e la sua famiglia durante tutta la permanenza in Polonia).
Al momento dei fatti erano già usciti 11 dei 14 libri su James Bond e i primi 2 relativi film con Sean Connery.
The Telegraph, a sua volta, comunica che James Albert Bond è nato nel 1928 a Bideford da genitori impiegati nel settore agricolo. Nel 1954 si è sposato e aveva poi avuto un figlio. Ha lavorato nell’esercito britannico quasi fino ai 60 anni ed è morto nel 2005.

Il direttore dell’Istituto della memoria nazionale della Polonia Marzena Kruk sottolinea che James Albert Bond solo in parte ricordava il personaggio letterario: amava anche lui le donne, ma preferiva bere la birra.
Secondo i dati contenuti negli archivi polacchi, per almeno due volte James Albert Bond aveva tentato di infiltrarsi nelle basi militari controllate dall’URSS, ma non aveva stabilito dei contatti con la popolazione locale. Già nel 1965 aveva lasciato la Polonia a causa, pare, di una promozione.
Finché non vengano resi pubblici i relativi archivi britannici, possiamo solo ipotizzare i motivi per i quali James Albert Bond sia stato inviato proprio in uno Stato del Patto di Varsavia. Secondo me, poteva benissimo essere solo uno scherzo, un modo di prendere un po’ in giro i «colleghi» sovietici.


Il risolutore dei problemi

In autunno del 1933 nell’albergo berlinese Kaiserhof si incontrarono Adolf Hitler, Jacob Werlin e Ferdinand Porsche. Il primo dei tre diede un ordine preciso: creare una automobile nuova, affidabile e a basso costo per il popolo tedesco. L’automobile dovette essere prodotta da una fabbrica anche essa nuova. Quindi Hitler formulò i principi-base dell’idea, mentre Werlin (il rappresentante della Daimler-Benz) propose la candidatura dell’ingegnere-costruttore: Porsche.
Così nacque l’auto (wagen) popolare (volks). La fabbrica nuova dovette ancora essere costruita, ma, nel frattempo, sotto la guida di Porsche furono prodotti alcuni progetti tecnici e gli esemplari sperimentali. Il progetto sperimentale più fortunato nel secondo dopoguerra è diventato famoso con il nome di Volkswagen Käfer:

Ma non mancarono i problemi. Per esempio: cercando di risparmiare tempo e soldi, Ferdinand Porsche «si ispirò» all’auto ceca Tatra 97 (prodotta a partire dal 1936):

La Tatra fece una causa per i diritti intellettuali violati a Porsche, il quale, dopo un po’, giunse anche all’idea di dover pagare per avere utilizzato l’idea del design. Ma Hitler, a sua volta, disse a Porsche di non preoccuparsi: «Risolvo io il problema».
Il problema è stato risolto in primavera del 1939, quando l’esercito tedesco ha convinto i dirigenti della Tatra a cessare la produzione del modello 97 e a non insistere con la causa legale.
Quindi quella causa della Tatra è stata ripresa solo nel secondo dopoguerra e conclusa nel 1967 con il pagamento al produttore ceco di tre milioni di marchi.
Quindi il modo indicato di risolvere i conteziosi andrebbe un po’ perfezionato…


Artemide di Efeso

Il criminale greco antico Erostrato decise, un bel giorno, di diventare famoso incendiando il tempio di Artemide a Efeso. Stranamente, riuscì a raggiungere il pieno successo in entrambe le parti del suo piano: distrusse il tempio e ottenne la fama lunga oltre ventidue secoli.
Allo stesso tempo, oggi non tutti sanno che aspetto avesse avuto la statua di Artemide collocata in quel tempio. Ebbene, eccola, la statua più tettuta di sempre:

Simboleggiava la fecondità.
È veramente sorprendente il fatto che il 99,99% degli insegnanti scolastici insista a raccontare agli scolari esclusivamente le cose meno interessanti per un adolescente medio.


Singerus finalmente pronto

Finalmente è successo! Ho finito e pubblicato uno strumento altamente tecnologico per gli amanti della antichità industriale: «Singerus».
In sostanza, è uno script che determina, in base al numero di serie, l’anno e il luogo di produzione di una antica macchina da cucire Singer. Per macchine antiche intendo quelle prodotte fino al 1963, per esempio simili a questa:

L’idea di creare uno strumento digitale del genere è nata nella mia testa molto tempo fa, verso la metà degli anni 2000, quando mi ero chiesto quanto fosse vecchia la Singer della mia nonna. Ma non potevo certo immaginare che l’idea si rivelasse tanto originale: pure oggi, come al momento della nascita dell’idea, l’internet ci propone di determinare l’anno e il luogo di produzione di una macchina consultando una lunga lista di intervalli dei numeri di serie. In sostanza, ci viene proposto di utilizzare l’internet come una enciclopedia cartacea: guidare il dito sulle celle di una tabella come se fossero dei dorsi dei tomi e tentare di calcolare in quale intervallo di numeri (come se fossero delle lettere dell’alfabeto) è collocata l’informazione che ci interessa.
No, – ho pensato io, – nel XXI secolo l’informazione non può essere servita in questo modo.
Appena trovato abbastanza tempo libero, ho dunque scritto un semplicissimo (e un po’ noioso) script in PHP che ora fa funzionare il mio Singerus. Spero che faciliti la vita a qualche amante dell’antiquariato…
Le informazioni un po’ più complete su «Singerus» sono consultabili sulla pagina apposita del sito.
Spero che gli utenti e i visitatori della mia «invenzione geniale» condividano con me tutte le eventuali idee circa il miglioramento dello strumento. Intendo i miglioramenti di carattere tecnico, informativo e visivo.


Immaginare il proprio futuro

Non è ancora passato un virus, ed ecco che ne arriva un altro: più pericoloso perché non curabile per via farmacologica.
Le grandi masse di persone in tutto il mondo hanno deciso – per l’ennesima volta – che fosse possibile rivalutare il passato secondo i criteri morali di oggi. E l’assurdità dei dettagli non è inferiore a quella dell’idea generale: a Milano il primo bersaglio è diventato Indro Montanelli (si vedano il tentativo 1 e il tentativo 2).
La storia di un qualsiasi Paese preso a caso è piena di guerre, commercio degli schiavi, genocidio e crimini di massa. L’Impero Roma, L’Impero mongolo, il Califfato, l’Impero ottomano, l’Inghilterra, la Francia, la Spagna, la Germania, la Cina, il Giappone, gli Stati Uniti, l’URSS e così via.
Pure l’Italia contemporanea è piena delle rappresentanze (ma anche monumenti e rapporti giuridici con) di uno micro-Stato che si basa su una ideologia che nel corso di lunghi secoli ha causato – e continua a causare tutt’oggi – milioni di morti in tutto il mondo: attraverso l’inquisizione, le crociate, le guerre e le persecuzioni scatenate per motivi religiosi.
Per la pace comune e la serenità interiore conviene capire presto due principi importantissimi. In primo luogo, il nostro mondo è una continua evoluzione. In secondo luogo, il principio di non retroattività non è solo un concetto giuridico: si applica anche ai valori morali.
Di conseguenza, le vie percorribili sono solamente due:
1. Demolire quasi tutti i monumenti ai grandi personaggi della storia. Ma in questo caso prepariamoci al fatto che un domani, in un’altra fase dello sviluppo della società, verremo «demoliti» pure noi. Perché? Per esempio, perché abbiamo «sfruttato» le donne delle pulizie latinoamericane o i conducenti dei tram arrivati dal Sud Italia. Oppure perché abbiamo «maltrattato» i figli bocciati, ammazzato delle zanzare, detto delle bugie, mangiato della carne etc.
2. Riconoscere che nella storia della nostra civiltà sono successe molte cose. Molte cose che oggi ci sembrano negative, ma che ormai appartengono al passato. Cerchiamo dunque di trarre delle giuste conclusioni e di fare in modo che non si ripetano più.
La seconda via è molto più lunga e difficile. Forse per questo motivo è anche poco popolare. Ma io spero che diventi presto di moda.


Due dita sono meglio di uno

Qualche anno fa mi ero chiesto della origine e della spiegazione «scientifica» di quel gesto minaccioso inglese che ha la forma opposta al gesto «victory». Sì, intendo quello che si fa con il polso rivolto verso interno:

Gli esperti più sereni della lingua inglese non hanno saputo spiegarmelo, quindi ho dovuto aspettare di scoprire tutto da me.
Ed ecco che relativamente poco tempo fa ho trovato una interessante leggenda. In un momento non precisamente definito della guerra dei cent’anni i francesi avrebbero deciso di tagliare quelle due dita ai famosi arcieri inglesi imprigionati. Si trattò di una specie di umiliazione attraverso la privazione delle persone dei loro principali «organi di lavoro». In risposta a tale comportamento, gli inglesi inventarono il gesto che, in sostanza, vorrebbe dire «sono ancora attrezzato per ammazzarti».
Potrebbe essere solo una leggenda, ma a me piace. Quindi aggiungo anche il link all’articolo della Wikipedia dove se ne parla.


La moda sicura

Secondo la tradizione generalmente riconosciuta, l’inventore del parafulmine sarebbe il fisico americano Benjamin Franklin (che alla maggioranza dei nostri contemporanei è noto per l’impegno nelle attività un po’ lontane dalla fisica). Paradossalmente, però, il primo parafulmine fu installato non in America del Nord, ma in Europa: successe a Parigi il 10 maggio 1752. I pochi primi esemplari installati in Europa – per volontà dei proprietari delle case particolarmente entusiasti del progresso scientifico – furono inizialmente visti dalle masse con un forte sospetto, diffidenza, a volte anche ostilità. Vi furono addirittura delle cause civili avviate dai vicini contrari alla «pericolosa invenzione diabolica».
Ma, per fortuna, tutto passa. L’inversione della tendenza iniziò nelle grandi città, dove la concentrazione delle persone istruite è un po’ più alta. Così, per esempio, nel 1778 andavano già di moda a Parigi gli ombrelli e i cappelli con un parafulmine.

In provincia, invece, l’ignoranza medioevale continuò ancora per un certo periodo. Facciamo un esempio. Nel 1780 Charles-Dominique de Vissery de Bois-Valé, un anziano avvocato di Saint-Omer (una cittadina al nord di Francia), decise di aggiungere una parafulmini alla propria casa seguendo il progetto descritto da Franklin. Pensando però che il filo di metallo della messa a terra debba essere più lungo possibile (per motivi di efficienza), fece passare il suddetto filo anche sul muro della casa vicina. Ma quella casa fu abitata da una signora con la quale ebbe dei rapporti di vicinato – e di conseguenza anche quelli personali – un po’ tesi. La vicina convinse dunque altre signore della via e della città a denunciare il vicino per la costruzione di uno strumento che «potrebbe causare gli incendi, le perdite della gravidanza, il cancro» etc. In qualità dell’arma d’attacco fu utilizzato il marito della promotrice della causa: il balivo della città. La causa venne dunque presentata al consiglio cittadino.

N.B.: nella Francia pre-rivoluzionaria un balivo, in sostanza, fu un giudice locale con delle competenze che variavano da zona a zona. Fece parte di un sistema abbastanza complesso che non ha senso spiegare ora.

La difesa di de Vissery de Bois-Valé si basò sui lavori di Franklin nei quali il parafulmini fu in realtà definito «molto probabilmente sicuro» se realizzato in un determinato modo. La riserva di Franklin fu nascosta ai giudicanti, ma questi ultimi imposero comunque la rimozione dell’attrezzo entro le 24 ore per la violazione dell’ordine pubblico e la sicurezza della proprietà privata altrui.
L’anziano avvocato, però non si arrese, smontò solamente la parte del parafulmini visibile sul tetto e, ai fini del futuro ricorso, chiese il parere scientifico ad al cune Accademie delle Scienze francesi. Non tutte le Accademie mostrarono un dovuto entusiasmo e, di conseguenza, il nuovo avvocato dell’avvocato (non incasiniamoci ahahaha), un certo Maximilien François Marie Isidore de Robespierre, costruì il ricorso attorno ai precedenti storici positivi: dimostrò con degli esempi concreti che la presunta pericolosità dei parafulmini non fu mai provata dalle perizie mediche. All’entusiasta del progresso de Vissery de Bois-Valé fu dunque consentito di lasciare il parafulmini al suo posto.
De Vissery de Bois-Valé, deceduto nel 1784 – poco dopo questo trionfo – nominò il tanto amato parafulmini nel testamento, rendendolo una parte inseparabile della casa e obbligando dunque gli eredi a mantenerlo al suo posto e prendersene cura. Gli eredi, purtroppo, dovettero cercare e trovare un modo legale per rimuovere il parafulmini perché esso rese invendibile la casa: sempre per la colpa dei pregiudizi popolari.
Fortunatamente, i pregiudizi verso il progresso scientifico e tecnologico non superano la prova del tempo. Sfortunatamente, il tempo necessario può a volte diventare un po’ lungo.
Potrei anche fare delle analogie con le persone – presenti un po’ in tutti gli Stati del mondo – che ora hanno paura dei trasmettitori del 5G, ma non vorrei dilungarmi troppo. Gli ignoranti non meritano il nostro tempo prezioso: come possiamo vedere, sarà il normale corso del progresso a spazzarli via.
P.S.: aggiungo il link a un articolo in francese per gli approfondimenti.


La breve storia della parata

Oggi, il 9 maggio 2020, sulla Piazza Rossa non ci sarà la tradizionale – e largamente nota per la sua portata quantitativa – parata militare dedicata alla vittoria nella Seconda guerra mondiale. Non ripeto il racconto sul perché della data: volendo lo potete rileggere in qualsiasi momento. Io, invece, oggi mi concentro sul fenomeno della parata.
La prima parata militare dedicata alla vittoria sulla Germania nazista si svolse sulla Piazza Rossa nel 1945, ma il 24 giugno quando a Mosca arrivarono alcuni ufficiali sovietici per la partecipazione e alcune bandiere naziste da buttare simbolicamente sotto le mura del Cremlino.

Dopo quella occasione, per vent’anni non c’era stata alcuna parata per il Giorno della Vittoria. Iosif Stalin prima e Nikita Chruščëv dopo si ricordavano troppo bene di quanto era costata la vittoria del 1945 e di quanto era stata miracolosa la loro permanenza al potere dopo il ritorno delle truppe sovietiche dal fronte. In particolare, Stalin temeva – non senza ragione – che i militari, organizzati e ormai ben allenati, appena tornati dall’Europa libera potessero decidere far crollare anche il regime casalingo. Per la fortuna di Stalin non era successo, ma la gente comune aveva comunque i ricordi freschi di tutti i disastri della guerra, compresi quelli verificatisi per merito dello Stato proprio. Continuare la lettura di questo post »


I video restaurati

Ultimamente in internet capitano sempre più spesso dei video storici elaborati con l’aiuto delle reti neurali artificiali. In particolare, si fanno due cose. In primo luogo, viene aumentata la risoluzione («upscale»). In secondo luogo, la frequenza dei fotogrammi viene incrementata fino ai 60 fps (in sostanza, vengono aggiunti dei fotogrammi intermedi con lo spostamento calcolato dei pixel). I video «antichi» diventano dunque, più dettagliati, di dimensioni più grandi e con dei movimenti degli umani più scorrevoli (chi ha visto almeno una volta nella vita un filmato di cento anni fa, si ricorda bene dei movimenti comici saltellanti degli omini). E poi, spesso vengono aggiunti pure i colori.
L’ultima delle modifiche elencate mi sembra spesso di utilità discutibile perché la storicità dei colori non è sempre garantita. Ma si tratta comunque dei tentativi interessanti.
Oggi ho pensato di condividere con i lettori qualche bel esempio scoperto di recente.
Parigi negli ultimi anni ’90 del XIX secolo:

Gli operai inglesi nel 1901 (i ragazzi sono ragazzi in tutte le epoche ahahaha):

Mosca, via Tverskaya nel 1896 (a un certo punto c’è pure l’illusione di vedere un personaggio noto):

Visitando il relativo canale su YouTube potrete vedere anche alcuni altri video interessanti.


Lo hanno perso

Come se nel mondo odierno non fosse già troppa la tristezza, oggi abbiamo un anniversario particolarmente triste. Il 22 aprile 1870 – 150 anni fa – nacque Vladimir Lenin.
Se io fossi un po’ più convinto del ruolo del singolo nella storia, oggi avrei pubblicato un lungo testo su come Lenin sia stato uno di appena due personaggi che sono riusciti a cambiare il corso della storia nel XX secolo. Ma mi concedo il tempo per formulare meglio l’esposizione dell’idea: quando sarà realmente pronta, sarà interessante e utile pubblicarla anche senza il pretesto di una data storica concreta e/o numericamente bella.

Nel frattempo ribadisco un’altra mia idea della quale sono decisamente più convinto. La data storica realmente triste è quella in cui Uljanov-Lenin decise – se si possa parlare di una decisione presa in un momento determinabile – di dedicarsi più alla attività politica che alla professione forense. Quindi sfrutto l’occasione per ricordarvi il mio vecchio (e un po’ lungo) testo dedicato al fatto che Lenin ebbe delle buone possibilità di diventare un buon avvocato. In un modo o nell’altro, il progresso sociale nel mondo si sarebbe verificato anche senza di lui, per la normale evoluzione delle cose. Mentre i suoi contemporanei avrebbero guadagnato qualcosa in più.
Ma egli preferì soddisfare le proprie ambizioni in un ambito sbagliato.
Non posso ricordarlo con delle buone parole.