Nel 1988 Sting aveva pubblicato il mini-album «…Nada como el sol», composto da alcune sue (e non solo) canzoni in spagnolo e portoghese. Sentire la «Frágil» era un po’ strano…
Dopo quel mini-album non mi era mai capitato di sentire Sting in spagnolo. Ma qualche giorno fa mi è capitato, a sorpresa, sentire la «Por Su Amor» di Sting e il musicista spagnolo (?) Kurt. Direi che questa sembra molto più interessante…
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Però oggi è una domenica, non solo il primo giorno dell’anno: questo significa che dovrei rispettare la tradizione (che ho creato con le proprie mani, ahahaha) e pubblicare qualche video. Ma, considerata la particolarità della data, ho pensato che fosse opportuno fare una edizione speciale del video-post musicale.
Trovo logico postare la canzone «New Year’s Day» degli U2 (dall’album «War» del 1983):
In generale posso dire che questa è, secondo i miei gusti, una delle poche canzoni ascoltabili del gruppo.
Il brano strumentale «Cat’s Squirrel» è stato eseguito e registrato, nel corso degli anni, da diversi gruppi rock e blues-rock. Tutti quei gruppi hanno accompagnato il titolo del brano con una nota strana: «una canzone popolare inglese». Mentre in realtà, come ben sanno gli esperti del blues, il prototipo di tale brano è il «Mississippi Blues», registrato nel 1953 dal bluesman Charles Isaiah Ross (noto anche come Dr. Ross):
Il nuovo nome del brano, quello pseudo-popolare-inglese, è comparso per la prima volta sulla copertina dell’album dei Cream «Fresh Cream» del 1966. Ecco la loro interpretazione:
Nel 1968, poi, sono stati i Jethro Tull a includere il brano, sempre con il nome «Cat’s Squirrel», nel proprio album del debutto «This Was».
Poco dopo la pubblicazione del primo album, il gruppo è stato lasciato da uno dei fondatori: Mick Abrahams. Quest’ultimo ha fondato, nello stesso 1968, il gruppo Blodwyn Pig. Anche con questo secondo gruppo ha spesso suonato il brano «Cat’s Squirrel»:
Il brano è stato suonato anche da alcuni altri gruppi, ma non vorrei appesantire troppo il post musicale di oggi. Forse un’altra volta…
La carriera musicale autonoma del chitarrista e cantante statunitense John Hiatt è ufficialmente iniziata nel 1973, quando è uscito il suo primo album registrato in studio. Ma il post musicale di oggi – che esce proprio il giorno del settantesimo compleanno di John Hiatt – è dedicato al primo album dell’artista diventato largamente noto: il «Bring the Family» del 1987.
La prima canzone scelta da quell’album è la «Have a Little Faith in Me» (che successivamente è stata cantata, come è successo a diverse canzoni di John Hiatt, anche da molti altri artisti):
La seconda canzone dell’album scelta per oggi è la «Alone in the Dark»:
Molto probabilmente tornerò ancora a scrivere di John Hiatt perché egli ha collaborato, durante la propria carriera, con diversi artisti interessanti.
Il supergruppo The Traveling Wilburys era stato formato, nell’aprile del 1988, da Jeff Lynne e George Harrison; poco dopo ai due fondatori si erano uniti Bob Dylan, Roy Orbison e Tom Petty. L’intero gruppo si era unito in studio (quello di Bob Dylan) per registrare il B-side del singolo «This Is Love» di Harrison. La canzone scritta a tal fine era la «Handle with Care».
La casa discografica che doveva pubblicare il singolo aveva però ritenuto che il brano registrato dai The Traveling Wilburys fosse troppo bello per essere una semplice canzone di supporto. Proprio a questo punto il supergruppo aveva accettato l’idea di registrare il proprio primo album. Bob Dylan doveva però andare a breve in tour, quindi l’album «Traveling Wilburys Vol. 1» era stato registrato in appena dieci giorni. La seconda canzone facente parte di quel disco che ho selezionato per oggi è la «Rattled»:
Il 6 dicembre 1988 era morto Roy Orbison, ma l’attività del gruppo non si era fermata subito: nel 1990 era uscito il secondo album «Traveling Wilburys Vol. 3» (chiamato in questo modo perché molte persone chiamano con il nome Vol. 2 l’album di Tom Petty «Full Moon Fever», alla registrazione del quale avevano partecipato Lynne, Garrison e Orbison). Il Vol. 3 aveva però ottenuto un successo notevolmente inferiore rispetto al primo: non so se sia stato questo il vero motivo per il quale il gruppo non ne aveva pubblicati altri.
Nel 1981 il duo soft-rock olandese Bolland & Bolland aveva pubblicato la propria canzone più famosa: «In the Army Now». Nel 1982 essa era rimasta al vertice della classifica olandese dei singoli più venduti per sei settimane consecutive. Era stata anche inclusa nell’album del duo «The Domino Theory».
La maggioranza delle persone che conoscono questa canzone ha però sentito solo la versione degli Status Quo (la quale fa parte del loro album «In the Army Now» del 1986). La popolarità di tale versione è stata di una portata più internazionale.
Proprio grazie alla popolarità della versione degli Status Quo, la canzone è stata ripresa anche da alcuni altri gruppi. Per esempio, il gruppo heavy-metal svedese Sabaton ha pubblicato la propria interpretazione della «In the Army Now» tra i bonus track all’album «Carolus Rex» del 2012.
Un altro esempio che posso riportare è un po’ strano: nel 2009 il gruppo francese Les Enfoirés (o, forse, è più corretto chiamarli «associazione di artisti vari»? boh…) ha preso la musica della «In the Army Now», ha aggiunto a essa un testo in francese che parla di un argomento diverso e ha pubblicato il risultato con il nome «Ici Les Enfoirés» (incluso nell’album «Les Enfoirés font leur cinéma»).
Penso che questo possa bastare per descrivere la triste storia della canzone «In the Army Now». Volendo, potete cercare voi le altre sue versioni.
Formalmente, il gruppo rock (strumentale) statunitense The Ventures è uno dei gruppi più longevi al mondo: è nato nel 1958, anche se nessun membro della gloriosa formazione originale è ancora in attività o addirittura in vita. Allo stesso tempo, è uno dei gruppi di maggior successo commerciale della storia.
In questa sede, però, ci interessa il fatto che The Ventures storici, avendo sperimentato tanto con il suono, hanno esercitato una certa influenza su tantissimi altri gruppi di epoche diverse e si sono guadagnati il titolo di «The Band that Launched a Thousand Bands».
Una delle manifestazioni più interessanti della influenza della loro musica è il brano «Surf Rider (Spudnik)», il quale era stato incluso – sotto due nomi diversi – negli album «Mashed Potatoes and Gravy» (1962) e «Surfing» (1963).
Già nel 1963 hanno iniziato a comparire sul mercato le prime (tra le numerose) cover di quel brano. Una delle prime è stata una versione allungata e velocizzata del gruppo californiano The Lively Ones (l’album che la contiene si chiama «Surf Rider!»):
Vi è sembrata già più famigliare? Giusto. Proprio questa cover si sente durante i titoli finali del film «Pulp Fiction» di Quentin Tarantino. Il problema è che più o meno tutti si sono dimenticati, ben prima del 1994, dell’originale de The Ventures.
Quindi a questo punto The Ventures hanno deciso di sfruttare la situazione e reinserire il proprio «Surf Rider» nel programma dei concerti. Ma lo hanno anche rielaborato un po’:
In questo modo è stato salvato dall’oblio, grazie alla loro influenza, uno dei brani del gruppo.
Probabilmente è arrivato il momento di fare un nuovo post musicale legato alla guerra in Ucraina.
Inizierei con i Pink Floyd che nell’ambito del grande progetto internazionale «Stand Up for Ukraine» hanno pubblicato la loro prima canzone nuova dal 1994: «Hey Hey Rise Up». Nella composizione viene utilizzato un frammento vocale cantato dal musicista ucraino Andriy Hlyvnyuk (del gruppo ucraino Boombox) in Piazza Sofia a Kiev. In questo ultimo caso si tratta della canzone «Oy u luzi chervona kalyna». Il titolo della canzone dei Pink Floyd si riferisce al verso della suddetta canzone «A mi našu slavnu Ukrajinu, gej, gej, rozveselimo!».
La seconda canzone del post odierno è la vecchia (del 1985) e ben nota «Russians» di Sting. L’autore ha recentemente dichiarato che non avrebbe mai immaginato che questo brano potesse tornare a essere attuale. E, invece, ora riprende a cantarlo… Ma io pubblico una sua vecchia (e classica) interpretazione:
Ecco, per oggi è così…
Il lunedì scorso – l’1 di aprile – è uscito il tanto atteso nuovo album dei Red Hot Chili Peppers: «Unlimited Love». Considerata la data della pubblicazione preannunciata da tempo, in tanti hanno temuto che si trattasse di uno scherzo… Però album è uscito veramente, ed è il primo dal 2016. Inoltre, i fan del gruppo possono essere contenti anche per l’ennesimo ritorno dello storico chitarrista John Frusciante (il co-autore delle canzoni del gruppo più famose).
Quindi per il post musicale odierno ho pensato di selezionare due canzoni che rappresentano non solo il nuovo album, ma anche la formazione «d’oro» riunitasi.
La prima canzone di oggi è la «Black Summer» (dal nuovo album «Unlimited Love», 2022):
La seconda canzone di oggi è datata, ma anche apprezzata da tanti: «Californication» (dall’omonimo album del 1999):
I membri del gruppo non sono più giovanissimi (soprattutto per il genere musicale che suonano), ma io spero comunque che riescano a produrre tanta altra buona musica.
Nell’autunno del 1862 l’etnografo, folclorista e poeta ucraino Pavlo Čubynskyj scrisse la poesia patriottica «Non è ancora morta l’Ucraina» («Ще не вмерла Україна»). All’inzio del 1863 la poesia venne pubblicata sulla rivista «Meta» di Leopoli e divenne quasi subito molto popolare. Nel periodo tra il 1862 e il 1864, poi, il compositore e sacerdote ucraino Mykhailo Verbytsky scrisse la musica per trasformare la suddetta poesia in una canzone. Non si conosce un periodo più preciso della composizione della musica, ma si ritiene che la prima esecuzione pubblica della canzone fosse avvenuta il 10 marzo 1865 durante un concerto dedicato alla memoria del poeta-simbolo ucraino Taras Ševčenko (morto il 10 marzo 1861). La canzone divenne in Ucraina ancora più popolare della poesia, tanto popolare da essere ritenuta da molti — in un periodo iniziale — di origini popolari.
Nel 1917, con la caduta dell’Impero russo e il sorgere della illusione di una imminente indipendenza dell’Ucraina, la canzone «Non è ancora morta l’Ucraina» divenne uno dei potenziali inni ucraini. Con la nascita e l’affermazione dell’URSS, però, l’adozione di una canzone patriottica del genere in qualità dell’inno divenne nuovamente impossibile. Solo il 15 gennaio 1992 il Parlamento della Ucraina finalmente indipendente adottò ufficialmente la musica di Mykhailo Verbytsky. E solo il 6 marzo 2003 in qualità dell’inno fu adottato pure il testo di Pavlo Čubynskyj.
Questa è la lunga storia del giovane inno ucraino ufficiale. Eccolo:
Esiste pure la versione rock dell’inno: è stata arrangiata dal musicista Mikita Rubčenko:
Spero tanto che questo inno torni presto a suonare nelle occasioni positive.