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La velocità della reazione

Il Comitato esecutivo del Comitato olimpico internazionale ha annunciato la sospensione del Comitato olimpico russo fino a nuovo avviso. In particolare, ha dichiarato che il comitato russo ha violato la Carta olimpica quando ha incluso organizzazioni sportive delle regioni di Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhya che sono sotto la giurisdizione del Comitato Olimpico Nazionale dell’Ucraina.
Evito di ripetere per l’ennesima volta quanto poco mi interessano lo sport e le Olimpiadi. Ma trovo utile e interessante mettere in evidenza la velocità dei riflessi mentali dei membri del Comitato olimpico internazionale. In sostanza, potremmo sentirci [più] autorizzati a fare tutte le battute possibili sulle capacità «intellettuali» delle persone facenti parte del mondo dello sport: come ai vecchi tempi pre-" politically correct".


Un’altra cretina

Nel corso della conferenza stampa dedicata all’annuncio dei vincitori del premio Nobel per la chimica, al Segretario generale dell’Accademia delle Scienze reale svedese Hans Ellegren è stato chiesto: cosa ha guidato l’Accademia delle Scienze nell’assegnare il premio a uno scienziato russo: in particolare, vista la guerra in corso in Ucraina.
Hans Ellegren, considerate la sua professione e la situazione in cui è stata posta la domanda, non poteva certo chiedere alla giornalista cosa la abbia guidato nel fare le domande cretine. Io, invece, ho la grande fortuna di poterlo chiedere. Ho pure la fortuna di poter rispondere alle proprie domande.
Posso dunque ricordare che le scoperte scientifiche – come pure tutti i risultati intermedi delle ricerche e i rami abbandonati delle singole ricerche – contribuiscono allo sviluppo del pianeta intero. Non importa da chi siano stati fatti: indipendentemente dalla cittadinanza, luogo di nascita e/o di residenza, il colore dei capelli, il numero delle scarpe, le preferenze politiche etc. etc., i risultati scientifici «funzionano» sempre allo stesso modo.
In particolare, Alexei Ekimov – il fisico russo premiato ieri con il Nobel per la chimica – dal 1999 vive e lavora negli USA, non ha condotto le proprie ricerche appositamente per lo Stato russo, non si è espresso a favore della guerra in Ucraina. Di conseguenza, non si capisce perché il suo contributo al bene globale debba essere ignorato solo a causa del suo luogo di nascita. Vale anche per altre migliaia di scienziati russi che negli ultimi mesi stanno avendo dei problemi burocratici per colpa delle persone che il quoziente di intelligenza negativo come il giornalista di cui sopra.


Poteva impegnarsi in altro

Elon Musk sta facendo tutto il possibile per convincermi di essere scemo. Ieri, per esempio, ha pubblicato questo tweet (oppure ora si chiamano iksate?):

(pubblico lo screenshot perché le pubblicazioni online spesso spariscono, soprattutto  da Twitter  da X)
Secondo me potrebbe smettere di sprecare le forze. Mi sono convinto. O quasi…


Una reazione interessante

Lo avete già letto: il 20 settembre, cinque (pare) «peacekeepers» russi sono stati uccisi in Nagorno-Karabakh: il loro veicolo è finito sotto il fuoco di armi leggere azere. Non voglio ipotizzare che tipo di «peacekeepers» fossero: la prassi insegna che i militari russi possono solo tentare di condurre delle guerre di conquista (vedi l’Ucraina) o non fare nulla (vedi il Nagorno-Karabakh), ma non li ho ancora visti garantire o imporre la pace. Però in questi giorni ho visto una reazione interessante alla loro morte.
Sembra che il presidente azero Ilham Aliyev si sia scusato al telefono con Putin; il portavoce Peskov ha detto che «non conosciamo ancora tutti i dettagli di questa vicenda, ma almeno è in corso un’indagine»; non ci sono notizie sulla reazione di Putin stesso a quanto accaduto. Tutto ciò significa che Putin ha semplicemente accettato silenziosamente la notizia della uccisione dei militari russi: perché la sua formidabile e intransigente reazione ci sarebbe stata certamente riferita, anche in formato video (e ci ricordiamo benissimo che nel 2008 una situazione molto simile era stata un pretesto sufficiente per la guerra contro la Georgia). Ma Putin sa benissimo che tutte le sue forze militari sono ora impegnate in Ucraina, quindi non ci sono le risorse per affrontare l’Azerbaigian e il suo sponsor Turchia. Così se ne sta lì, con la paura di scoreggiare, da far vedere che sia successo qualcosa di degno di nota.
Un grande e terribile Putin…


L’operazione funebre speciale

La lettura che propongo questo sabato mi aiuta, tra l’altro, a procedere verso la chiusura di un argomento al quale ho già dedicato troppa attenzione: quella della morte e del funerale di Evgeny Prigozhin. L’articolo, in particolare, racconta come è stato organizzato e gestito in termini dell’"ordine pubblico" il funerale semi-segreto di Prigozhin.
Non so quale morale si possa individuare in questa storia: probabilmente, oltre ad avere un semplice valore storico, ci ricorda – banalmente – che lo Stato russo ha ancora paura dei propri cittadini riuniti in grandi folle a causa di un unico motivo. Anche se, al giorno d’oggi, lo stesso Stato appare pronto a utilizzare qualsiasi forma della forza anche contro i propri cittadini.


Conviene apparire assassino

La mattina di ieri, il 29 agosto, Dmitry Peskov – il portavoce di Putin – ha dichiarato che «la presenza del presidente al funerale di Prigozhin non è prevista».
Sempre ieri, di pomeriggio, si è svolto l’"evento" ufficialmente definito «funerale di Prigozhin»: senza Putin e senza il pubblico, senza gli onori militari dovuti per legge a una persona avente lo status di «Eroe della Russia», «segreto» secondo la formula ufficiosa.
La suddetta dichiarazione e la suddetta assenza di Putin insieme fanno una buona occasione per sottolineare un aspetto logico interessante: indipendentemente da quello che è realmente successo a Evgeny Prigozhin (abbattuto, fatto esplodere in aria, arrestato di nascosto sul secondo aereo, lasciato scappare all’estero etc., etc.), a Putin conviene far credere a una determinata categoria dei russi che sia stato proprio lui a ordinare l’eliminazione di Prigozhin. Tale ordine e la sua esecuzione in una data quasi simbolica (due mesi esatti dalla «rivolta») dimostrerebbero – nella sua logica mafiosa – una grande forza e la capacità di eliminare i nemici. Di conseguenza, i collaboratori più stretti e/o potenti dovrebbero spaventarsi e non pensare più ai tentativi di destituire Putin.
Il problema sta nel fatto che il trucco funzionerà fino alla prossima situazione di pericolo più o meno reale, quando Putin apparirà nuovamente in televisione impaurito e incapace di dire alcunché di preciso.
Ma per ora gli conviene far credere che sia stato lui a eliminare Prigozhin. In tale missione sarà sicuramente aiutato dai vari propagandisti ufficiali e non.


Non tutto si compra

Non tento nemmeno di riassumere l’articolo del «New Yorker» su come le autorità americane abbiano cercato di organizzare la consegna (e il seguente funzionamento) ininterrotta dei sistemi Starlink all’esercito ucraino, mentre Elon Musk (il proprietario di Starlink), nello stesso periodo, aveva e spesso manifestava ogni sorta di dubbio e parlava periodicamente con Putin di non si capisce bene cosa. Se volete, potete leggere da soli questa storia, che in un certo senso ha dell’incredibile.
Il punto principale che meritevole di essere notato è: Elon Musk ha ammesso di aver comunicato ripetutamente con Putin dopo l’inizio della guerra in Ucraina.
Le voci o le notizie su questo aspetto circolavano già da molto tempo. E mi ricordo bene come all’inizio in tanti scherzavano: per quale somma lo Stato russo è riuscito a comprare Musk? Ma ora non solo tutto è stato confermato. Negli ultimi mesi abbiamo anche avuto l’opportunità di osservare cosa sta facendo Musk con il Twitter acquistato… Tra parentesi: (l’idea stessa di acquistare un social network con un concetto-base un po’ stupido e un potenziale di sviluppo tecnico/concettuale poco chiaro è già piuttosto folle)… Comunque: ora sappiamo che Musk non è stato comprato; ora sappiamo che il successo e i soldi gli hanno fatto saltare la testa, freni e tutto il resto. È assolutamente convinto di poter fare qualsiasi cosa, in tutti i sensi.
Quanto è semplice e banale tutto in questo mondo…


L’alleato

Solo ieri sera e quasi per caso ho scoperto che il 14 agosto il Ministro della «Difesa» russo Sergey Shoigu ha raggiunto un nuovo livello della vita alternativa in cui vive. Anzi: vivono, dato che certe decisioni non le prende certo lui.
Il fatto è che Sergei Shoigu e Tin Kung San (il suo omologo del Myanmar) hanno inaugurato — presso il «Viale degli Alleati» nel territorio del complesso museale e templare del Ministero della «Difesa» russo — il monumento ai Combattenti del Myanmar, dedicato alla partecipazione del Myanmar alla Seconda Guerra Mondiale. Durante la cerimonia Shoigu ha dichiarato: «Più di 70 anni fa, i patrioti combattenti hanno difeso l’integrità territoriale della Birmania e il suo patrimonio culturale nella lotta contro il regime di occupazione del Giappone». E poi ha aggiunto che preservare la verità storica sul contributo dei due Paesi alla sconfitta del nazismo è un dovere sacro.
Ma anche le persone poco esperte nella storia dell’Asia hanno la possibilità di scoprire — facilmente — che il Myanmar (ai tempi ancora Birmania) aveva partecipato alla Seconda guerra mondiale dalla parte di Hitler. Aveva combattuto contro la Gran Bretagna. E solo alla fine del marzo 1945 aveva dichiarato guerra al Giappone, mentre i giapponesi si stavano già ritirando sotto l’assalto delle truppe britanniche. Mentre tutta la «guerra d’indipendenza» si era limitata nel fatto che il Giappone stesso aveva dato l’indipendenza alla Birmania.
Shoigu può dire qualsiasi cosa, ma noi vediamo che ha indovinato perfettamente l’alleato dello Stato russo contemporaneo.


Un nuovo fuggitivo

Scrivono che Denis Sharonov, l’ex Ministro dell’Agricoltura e del Mercato del Consumo della regione russa Komi, dopo aver «iniziato a ricevere dei segnali» che non era sicuro per lui rimanere in Russia a causa del conflitto in corso con le autorità della Regione, è fuggito negli Stati Uniti, ha già trovato lavoro come camionista e ha chiesto asilo politico.
Se mi ricordo bene, fino a oggi non sapevo alcunché di quest’uomo, non avevo nemmeno sentito il suo nome. Non so che tipo di funzionario fosse stato: efficiente o meno, onesto o corrotto (non è il momento per le logiche risate!). Ma dal momento in cui ho letto la notizia, sto facendo il tifo per lui: perché se dovesse riuscire a ottenere l’asilo (cioè se le autorità statunitensi dovessero trovare la possibilità tecnica e la saggezza per aiutarlo), gli altri funzionari russi vedranno che la fuga da Putin è ancora possibile. Certo: a quasi diciotto mesi dall’inizio della guerra per alcuni è ormai un po’ tardi tentare la fuga, ma per la maggioranza è meglio tardi che mai.
C’è ancora la possibilità di lasciare Putin in una triste (per lui) solitudine, o almeno di aumentare i dubbi utili (per noi) nella sua cerchia.


Le notizie della “cultura Z”

Per il giovedì 17 agosto in Russia è programmata l’uscita di un nuovo film…
Una giorno un piccolo propagandista anonimo russo ha visto il film «Il pianista» di Roman Polanski. Quello che parla delle «sfortune» di un musicista nella Varsavia in rovina. Wow! Una Palma d’oro! Tre Oscar! Adrien Brody!
Ma facciamo un film simile, ha pensato il piccolo propagandista russo. Però lo facciamo sulla gente del Donbass. E lo chiamiamo «Il testimone». No, non possiamo farlo un pianista: sarebbe uno sgammo clamoroso… Allora, quali strumenti musicali esistono?.. Corno alpino… Arpa… No, arpa non ce l’abbiamo nel magazzino, prendiamo un tamburello… No, quello non ispira… Ah! Violino! Quello va bene: piccolo, compatto, facile da trasportare e da inquadrare. E poi dobbiamo trovare un attore tipo Brody: con un naso notevole… E che abbia le somiglianze di un ebreo: farà più scena e nessuno avrà il coraggio di accusarci del nazismo! Al protagonista diamo il cognome Cohen…
Basta, non ho più la voglia di «scherzare». Ho visto il trailer di quel film di merda, ho pure letto la descrizione ufficiale:

Daniel Cohen, un virtuoso del violino proveniente dal Belgio, si considera un cittadino del mondo, crede nel bene e nella giustizia. Alla fine di febbraio del 2022, si reca a Kiev in tournée e quel viaggio cambia per sempre la sua vita. Gli eventi dell’Operazione militare speciale portano il musicista nel villaggio ucraino di Semidveri, dove è testimone di crimini disumani e provocazioni sanguinose [commessi dagli ucraini – E.G.]. Ora il suo obiettivo principale non è solo sopravvivere, ma portare la verità al mondo intero. Dopo tutto, la verità è più forte della paura.

Io provo un certo livello di cringe solo a leggere quelle cose. E mi chiedo: i creatori del film (compresi il regista, gli attori etc.) si immaginano che dopo la fine della guerra dovranno convivere con il ricordo quanto fatto per un bel po’ di anni? Boh…
Voi, intanto, potete vedere il trailer: non voglio privarvi di questo «piacere».

Per me sarà un po’ difficile riprendere a scrivere della cultura (anche quella russa) dopo la fine della guerra: non so se e quando riuscirò a farlo.