Molto probabilmente sapete già che oggi in Russia sono iniziate le votazioni per la rinomina di Putin alla carica del Putin della Federazione russa. Per tradizione, tale evento si chiama «elezioni presidenziali»; per la prima volta nella storia russa (se non contiamo il cosiddetto «referendum costituzionale» del 2020) l’evento durerà tre giorni: fino alla domenica 17 marzo compresa.
Ovviamente, potremmo dirci già ora il nome del vincitore, ma non sappiamo ancora quale percentuale dei «voti» gli sarà assegnata. Quest’ultima indecisione si aggrava da almeno tre elementi:
1) non si sa cosa si fara alle schede elettorali nel corso delle due notti tra i giorni di votazione (quelle già utilizzate dagli aventi diritto verranno sostituite o, magicamente, aumenteranno in quantità?);
2) non si sa con quale intensità varrà manipolato il «voto elettronico» (quello via internet: incontrollabile dall’esterno, basato su meccanismi tecnici dubbi e di fatto obbligatorio per molti dipendenti pubblici);
3) sappiamo che questa volta ai seggi fisici – quelli tradizionali – non ci saranno gli osservatori indipendenti.
Di conseguenza, io non sono nemmeno sicuro che qualcuno degli addetti ai lavori vorrà sprecare il tempo e le forze per il conteggio dei voti realmente espressi. Secondo me non è da escludere che alla fine si limitino a scrivere direttamente la percentuale voluta dal (sì: dal) candidato. [E proprio in questo senso le «elezioni» presidenziali russe si differenziano da quelle parlamentari: il partito «Russia Unita» putiniano non può perdere, ma i parlamentari vanno «tenuti in forma» con una certa dose di indecisione sui risultati finali delle elezioni per i vari partiti rimanenti.]
So solo che la propaganda statale russa cercherà di trasmettere le immagini di una grande partecipazione popolare alle elezioni di Putin: per tentare di far credere che il personaggio e la sua politica sono, appunto, sostenuti dalla maggioranza della popolazione. Molto probabilmente tenteranno anche di far passare per il sostegno a Putin pure le immagini della iniziativa della opposizione di presentarsi in massa davanti ai seggi il mezzogiorno del 17 marzo: quella iniziativa che secondo l’idea di Alexey Navalny e di alcuni altri oppositori dovrebbe mostrare – in assenza di altri metodi – la quantità delle persone contrarie alla politica putiniana (secondo me valida almeno in qualità di una terapia psicologica: in ogni lotta è importante non sentirsi soli).
In questi giorni avrò il modo di verificare almeno una parte delle mie considerazioni.
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Perché scrivere sempre delle cose tristi? Oggi, per esempio, posso scrivere di una cosa allegra e, in una certa misura, filosofica.
Il portavoce di Putin, Dmitry Peskov, ha dichiarato ieri di non avere nulla da dire sulle decine di migliaia di persone che si sono recate (e continuano a farlo) sulla tomba di Alexey Navalny. Nonostante questa dichiarazione, possiamo presumere che Putin sia almeno informato almeno in generale su quanto sta accadendo. E se è informato, non può fare a meno di pensare a come si svolgerà, prima o poi, il suo funerale. Verrà la gente? Ma ha paura della folla…. I suoi complici pagheranno (come fanno per tutte le manifestazioni pro-governative) per la presenza di un giusto numero di impiegati pubblici e studenti? Ma non si può comprare un «lutto adeguato»…
In generale, sospetto che in questi giorni Putin abbia realmente pensato alla morte: finalmente aveva una ragione molto concreta per farlo. Pensandoci, ha cominciato a provare una paura non solo fisiologica, ma anche sociale. Ma ha cominciato anche – ne sono abbastanza sicuro – a provare un nuovo tipo di invidia nei confronti di un nemico personale che era (che sorpresa!) veramente amato e rispettato.
Se io fossi un personaggio mediatico famoso, lo aiuterei in queste riflessioni: ricorderei ad ampie fasce della popolazione la grande festa di oggi. Infatti, oggi è il 71-esimo anniversario della data della morte ufficiale di Stalin! È una festa non di liberazione da un grande, ma non ultimo mostro del Cremlino, ma anche una festa di speranza che si trasforma in certezza: morto quello, morirà anche questo. Gli ex complici festeggeranno sul suo cadavere, in parte si eliminano a vicenda, il più politicamente abile farà un discorso di denuncia e accusa… E il Paese inizierà a muoversi – anche se non rapidamente e non senza intoppi – verso una vita migliore.
In generale, per me oggi è una festa (o una delle feste) di liberazione e di speranza.
Non voglio certo disturbare i lettori insistendo con un argomento che a un lettore europeo medio potrebbe sembrare – a prima vista – non di importanza primaria… Ma sento spesso dire o chiedere perché la popolazione russa non protesti contro il regime politico esistente e/o quanti siano realmente i russi contrari alla politica putiniana in generale e contro la guerra in particolare. Ogni volta mi trovo a rispondere che quelle persone sono tante, ma senza poter rafforzare la mia risposta con dei dati scientifici completi: le elezioni sono falsate non immaginate nemmeno come, i sondaggi sociologici non rispecchiano del tutto la realtà perché la gente non si fida degli sconosciuti che fanno le domande difficili sulla politica e la partecipazione alle manifestazioni pubbliche rappresenta un rischio accettato solo dai più coraggiosi (e, spesso, residenti nelle grandi città).
Di conseguenza, siamo costretti a tentare di interpretare quegli eventi che in un contesto normale sarebbero stati del tutto (o quasi) fuori dalla politica, ma che in Russia la gente comune utilizza per esprimere il proprio punto di vista politico con una specie del linguaggio esopico.
Per esempio: la croce temporanea installata il venerdì 1 marzo sulla tomba di Alexey Navalny è delle dimensioni standard, alta circa 1,70 metri (a causa delle particolarità climatiche, in Russia una lapide permanente con l’eventuale monumento viene messa almeno un anno dopo la sepoltura: la terra si deve prima assestare).
Il pomeriggio della domenica 3 marzo quella croce non si vedeva più per nulla:
Mentre la fila delle persone con fiori non finiva…
Ecco, questo è uno dei «sondaggi» che si stanno verificando solo a Mosca (certo, è la città russa più popolata e più attiva politicamente) e solo tra le persone che hanno avuto la possibilità di fare la lunga fila verso il cimitero. Ma è una delle risposte alle domande sulla posizione politica della società russa.
I collaboratori di Alexei Navalny hanno nuovamente invitato i russi a recarsi ai seggi elettorali a mezzogiorno del 17 marzo (la data delle elezioni di Putin per un nuovo mandato presidenziale) – come aveva voluto lo stesso Navalny all’inizio di febbraio – ma ora anche come manifestazione di lutto e non solo come azione politica (inventata da Navalny per manifestare legalmente in massa contro Putin e la sua guerra in Ucraina). Allo stesso tempo, i collaboratori di Navalny hanno riferito di non riuscire a trovare una sede per l’addio popolare di Navalny.
Ecco, non escludo che sia un tentativo – anche se molto velato – di ricattare i complici di Putin: se non ci permettete l’addio pubblico nella città X, organizzeremo con una forza maggiore una manifestazione di massa in tutto il Paese. Anche se entrambe le opzioni saranno in qualche modo pericolose peri potenziali semplici partecipanti: saranno tutti filmati e, in molti casi, schedati (come è già successo in molte occasioni durante le manifestazioni spontanee dopo le prime notizie sulla uccisione di Navalny).
Allo stesso tempo, non posso escludere (e, ovviamente, non posso per ora sapere) se si stia facendo qualcosa per organizzare il [primo] funerale di Navalny all’estero. Questo permetterebbe ai collaboratori di Navalny di garantire una perizia obiettiva sul corpo, mentre ai complici di Putin permetterebbe di evitare le manifestazioni in casa. Vedremo, se hanno più paura delle notizie credibili sulle cause della morte di Navalny (e della trasformazione del suo funerale in una cerimonia di Stato, con tanti politici occidentali presenti), o, appunto, delle manifestazioni popolari in casa. Sono veramente curioso di scoprirlo!
Maria Pevchikh, una delle collaboratrici di Alexey Navalny e la presidente della sua Fondazione anticorruzione, ha dichiarato ieri che Navalny avrebbe dovuto essere scambiato con Vadim Krasikov (un presunto ufficiale dell’FSB condannato all’ergastolo in Germania per l’omicidio dell’ex comandante ceceno Zelimkhan Khangoshvili a Berlino nell’agosto 2019), che la trattativa sarebbe arrivata alla sua fase finale e che Putin avrebbe deciso di uccidere Navalny perché non voleva vederlo libero.
Mi sembra abbastanza scontato il fatto che i collaboratori e i colleghi di Alexey Navalny abbiano fatto tutto il possibile, durante i tre anni della sua incarcerazione, per promuovere l’idea di uno scambio e per coinvolgere nei negoziati il maggior numero possibile di influenti politici europei e americani. Come dice ora Maria Pevchikh, «noi, il suo team, non potevamo fare a meno di lavorarci, e lo abbiamo fatto». E io vorrei tanto avere delle fondamenta per poter credere che questi sforzi si stavano gradualmente avviando verso il successo.
Ma oggi, purtroppo, devo constatare che non sapevamo nulla prima, e non sappiamo ancora oggi nulla di quale fosse la posizione di Putin e dei suoi collaboratori sui tentativi di scambiare il politico Navalny con l’assassino Krasikov. Prima o poi conosceremo i dettagli di queste trattative da parte «occidentale» (molto probabilmente dalla parte della Germania, la quale era la detentrice del principale «capitale di scambio» in questa situazione). Ma non possiamo sapere cosa fosse accaduto dalla parte del regime di Putin. Putin è sicuramente un maniaco e un assassino e non c’è alcun motivo di credere che in questo caso si sia discostato dal suo solito schema di torturare e uccidere le persone che considera propri nemici o che semplicemente vede come un pericolo. Ma, allo stesso tempo, possiamo logicamente presumere che Navalny vivo fosse stato per Putin una merce di scambio di massimo valore, da utilizzare pin qualche situazione «estrema»: da utilizzare per liberare qualcuno di importante o ottenere qualcosa di importante.
Di conseguenza, sono portato a considerare le parole di Maria Pevchikh serie e commentabili solo a metà.
Ieri il presidente ucraino Vladimir Zelensky ha tenuto una conferenza stampa sui risultati di due anni di guerra e per la prima volta ha pronunciato il numero delle perdite ucraine (degli uccisi) sul fronte: 31 mila. In questo momento non ha senso cercare di interpretare quella dichiarazione o tentare di capire quanto sia precisa: finché la guerra è in corso, non possiamo sperare di avere da Zelensky i dati statistici precisi al posto della propaganda difensiva (ed è normale).
La cosa che mi incuriosito di più di tutta la conferenza è invece il fatto che Zelensky continui a non capire – o fare finta di non capire – la realtà quotidiana che vige sul territorio dello Stato-nemico. Dice che i cittadini russi non protestano contro l’uccisione dell’oppositore principale di Putin, che i cittadini russi andranno alle «elezioni» di Putin a marzo e che si conosce già il risultato di quelle «elezioni». Come se non avesse ancora capito – negli ultimi 25 anni o almeno durante i due anni della guerra – che non tutti i russi sognano di essere picchiati ed essere mandati per qualche anno in carcere, che in ogni Stato esiste una porzione degli ignoranti indifferenti a tutto, che l’affluenza alle «elezioni» russe è in un continuo calo e che i risultati ufficiali di quelle «elezioni» non dipendono in alcun modo da quello che i votanti fanno con le proprie schede elettorali.
Capisco che Zelensky si sente stanco, arrabbiato (anche più di arrabbiato) e sempre più solo. Ma nella politica continua a scegliere i nemici sbagliati. A volte include nell’insieme dei propri nemici anche dei vasti gruppi delle persone che in realtà fanno il possibile di sostenerlo nonostante tutti i pericoli derivanti dal governo del proprio Stato.
Alcune persone particolarmente ingenue si chiedono: dov’è la tanto (e da tanto tempo) promessa «terribile risposta» dell’Occidente alla morte di Alexei Navalny «finalmente» avvenuta? È vero: l’ho sentita anche con le mie orecchie.
E la risposta desiderata non c’è e non può esserci: perché anche il Capo di Stato o di governo occidentale più determinato ha sempre lo stesso parlamento, gli stessi problemi politici interni e le stesse prospettive elettorali di prima (ricordiamo, per esempio, Biden, che aveva minacciato punizioni già anni fa). Così, il capo della diplomazia europea Josep Borrell ha dichiarato che, come passo simbolico, Bruxelles rinominerà il regime di sanzioni imposte per le violazioni dei diritti umani in onore di Alexei Navalny; gli Stati Uniti hanno annunciato un «importante pacchetto di sanzioni» contro la Russia in relazione all’omicidio di Navalny e al biennio della guerra in Ucraina; il Regno Unito ha imposto sanzioni contro sei dipendenti del carcere IK-3 «Polar Wolf» di Kharp (quello dove è stato ucciso Navalny)… Che paura per Putin!
Quindi, se c’è una speranza per un rapido cambio di regime in Russia, io per ora la vedo solo in tre opzioni, due delle quali sono mega-banali e, di fatto, possono essere buttate subito in discarica:
1) stare con il culo per terra e aspettare che Putin muoia da solo (e questo evento non garantisce dei cambiamenti automatici in meglio);
2) stare con il culo per terra e aspettare che Putin venga fatto fuori da un colpo di Stato interno, cioè uno di quegli fenomeni che nella storiografia russa si chiamano «rivoluzioni di palazzo» (anche questo evento non garantisce assolutamente dei cambiamenti automatici in meglio);
3) sperare che l’opposizione russa si unisca nell’unica azione ragionevole: iniziare non a raccontare ai russi per la miliardesima volta quanto sia brutto il regime attuale (noi sappiamo già da tempo che è pessimo), ma a bombardare i cervelli dei rappresentanti del regime stesso, raccontando il duro destino di chi non farà fuori Putin velocemente. Bombardare con l’aiuto di metodi di distribuzione pubblica delle informazioni già noti da tempo: hai fatto questo e quello, otterrai questo e quello come punizione. La gente continua ad accumulare informazioni, mentre i complici di Putin continuano ad accumulare un tormento interno. Con un simile comportamento, si può almeno sperare che qualcuno vicino al bunker decida un po’ prima di organizzare la vera e propria «rivoluzione di palazzo».
Deve iniziare a farlo l’opposizione russa, mentre gli altri, volendo, possono contribuire…
Io non posso credere alla versione ufficiale della propaganda statale russa secondo la quale Alexey Navalny sarebbe morto durante una passeggiata nel cortile del carcere. Non posso crederci per due motivi: uno logico e uno scientifico.
Dal punto di vista logico, è solo il secondo – e questa volta purtroppo riuscito – tentativo di eliminare un nemico personale di Putin. Lo hanno eliminato quando era indifeso nelle loro mani e quando loro stessi hanno perso totalmente la voglia di apparire almeno in parte normali. Non sappiamo ancora come è avvenuta tecnicamente l’uccisione di Navalny, ma già il semplice fatto della sua permanenza ormai pluriennale nelle condizioni non adatte alla vita è un tentativo di uccidere. Gli assassini sono dunque Putin e tutti i suoi collaboratori di vario rango.
Dal punto di vista scientifico, invece, preferisco consigliarvi il parere di un medico che commenta, professionalmente, la versione ufficiale della morte di Navalny. Per ora quel commento costituisce la nostra unica conoscenza concreta e credibile su quanto è accaduto. Lo spoiler: quella versione ufficiale è una minchiata stratosferica.
Sicuramente un giorno scopriremo tutta la verità. Proprio Alexey Navalny ci insegnava a cercarla senza arrendersi.
UPD: con alcune precisazioni che non cambiano il senso generale di quanto è scritto nell’articolo consigliato, quel commento è confermato dal medico con il quale ho già avuto il modo di parlare dell’argomento.
Le elezioni presidenziali finlandesi sono state vinte – con il 51,6% dei voti – dall’ex premier Alexander Stubb. La figura del Presidente non è di importanza primaria tra le Istituzioni finlandesi, ma si tratta comunque di una personalità dello Stato importante.
Di conseguenza, sono stato contento di leggere alcune prime dichiarazioni del presidente eletto di un nuovo Stato-membro della NATO sulle questioni internazionali attuali. Per esempio, ha detto di non vedere una possibilità del «dialogo politico» con Putin mentre continua la guerra in Ucraina: «Tutti vogliamo trovare una via per la pace, ma mi sembra che al momento questa via passi solo attraverso il campo di battaglia».
I politici europei capaci di valutare realisticamente la situazione corrente sono, purtroppo, pochissimi (ma più di quelli capaci di prendere anche delle decisioni sensate), dunque non posso non esprimere la mia gioia di fronte alla comparsa di qualche nuovo (almeno per me) personaggio.
Anche se devo riconoscere che, a causa della vicinanza geografica alla Russia e ai tristi precedenti storici, i politici finlandesi sono molto più portati alla realisticità rispetto a un europeo medio.
L’articolo che vi segnalo questo sabato formalmente parla del partito di estrema destra Alternativa per la Germania, i cui deputati hanno coordinato i testi dei loro discorsi con i responsabili della FSB e, su ordine di questi ultimi, hanno «fatto causa» al Governo per fermare gli aiuti militari all’Ucraina.
Dal punto di vista sostanziale, però, l’argomento dell’articolo è ancora più interessante. Infatti, il suddetto testo ci mostra che i membri della FSB – anche quelli che dovrebbero essere specializzati nel reclutamento di agenti o utili idioti nell’Occidente – in realtà sono convinti che tutto, qualsiasi cosa di questo mondo, può essere ottenuto con i soldi. Sono convinti di poter comprare anche delle cose tecnicamente impossibili (per esempio, a causa delle procedure adottate negli Stati europei). Mentre gli intermediari europei della FSB stessa utilizzano l’organizzazione per riuscire a fare un po’ di bella vita.
Insomma, per chi conosce poco i modi di fare della FSB potrebbe essere un articolo molto prezioso.
Ah, sì: si tratta di un articolo un po’ più esteso di quello analogo che è stato pubblicato da alcune fonti europee.