Ieri, due settimane dopo l’arresto di Pavel Durov a Parigi, il Telegram ha aggiornato la propria politica di moderazione e ha permesso agli utenti di segnalare i contenuti illegali nelle chat: lo si legge nella nuova versione del FAQ sul sito del Telegram. Ma per ora non è chiaro come si farà a moderare le chat private.
Però la cosa più importante consiste nel fatto che la nuova regola del Telegram – palesemente nata in seguito alle «conversazioni» di Durov con le Autorità francesi – si inserisce perfettamente in una tendenza tristissima ma tipica degli ultimi decenni: quella di trasferire, in via di fatto obbligatoria, ai contribuenti le funzioni che uno normale Stato dovrebbe svolgere con le tasse raccolte. Ma le tasse finiscono non si capisce dove (ma si ipotizza dove: nel cosiddetto «Stato sociale»), dunque salta fuori il principio «siete cittadini/imprese responsabili, dovete fare voi». Per esempio, le banche, i broker, gli avvocati e gli agenti immobiliari sono stati obbligati a cercare da soli i criminali finanziari e gli evasori fiscali e a consegnarli alla polizia. Le persone che vivono nella stessa zona spesso sono costretti ad auto-organizzarsi (o pagare le aziende di sorveglianza private) per proteggersi da teppisti e piccoli criminali. L’assistenza medica gratuita nei Paesi sviluppati viene di fatto sostituita – se si vuole guarire – con un’assicurazione privata. In base alle proprie circostanze di vita, ognuno può ricordarsi altri numerosi esempi…
Mentre nel contesto dell’argomento del post odierno va ricordato che i social network e i messenger devono, secondo la logica dello Stato occidentale moderno, cercare i criminali vari e portarli alla polizia. In sostanza, assumere delle persone (moderatori) che facciano il lavoro della polizia (pagata con le tasse), la quale si prenderà poi pure tutto il merito.
Fino a poco fa il Telegram di Pavel Durov era fuori da questa tendenza, ma forse sta per essere costretto a inserirsi in essa. Devo precisare che non mi sembra un evento positivo?
L’archivio del tag «politica»
Nell’articolo/intervista del Corriere della Sera su/con il miliardario Alisher Usmanov (che sul giornale viene definito uzbeko, mentre in Russia è sempre stato percepito come un personaggio della scena economica e politica russa) si leggono, purtroppo, molte cose logiche e condivisibili su ciò che sta accadendo ora tra la Russia e gli Stati occidentali (da oltre due anni pure io scrivo molte di quelle cose; va solo precisato che i dati che mostrerebbero la crescita della economia russa sono attualmente dovuti esclusivamente alla spesa militare, compresi gli stipendi alti dati a chi va a combattere in Ucraina). Il «purtroppo» della frase precedente si riferisce solo al fatto che lo stesso Usmanov è un personaggio molto particolare, controverso in alcuni episodi della sua biografia più o meno recente e, sicuramente, fino a un certo momento storico molto utile alla affermazione del regime putiniano in Russia.
Non posso avanzare pubblicamente delle ipotesi sul perché quell’articolo sia comparso sul Corriere (come diceva Andreotti in questi casi? ahahaha), ma posso ripetere, per l’ennesima volta, una cosa che dice pure lui: le persone come Usmanov vanno «rubate» a Putin. Le persone come lui fanno capire, in tutti i modi disponibili e ritenuti da loro sicuri, all’Occidente che sarebbero ancora disposti a passare dalla parte della civiltà occidentale, ma devono essere aiutati. Aiutati, prima di tutto, con la creazione – da parte degli occidentali – di un meccanismo ben definito, comprensibile e funzionante che permetta a loro di liberarsi dal peso delle sanzioni in cambio di qualcosa e con la possibilità di utilizzare almeno una parte dei propri averi collocati fuori dalla Russia. Solo in quel modo si sentiranno al sicuro nell’Occidente e non saranno costretti a vedere la Russia putiniana come l’unico posto tranquillo e sicuro. Solo in quel modo non saranno spinti a utilizzare le proprie ricchezze e le proprie capacità imprenditoriali a favore di Putin e della sua guerra.
Ecco, ora potete rileggere quell’articolo sotto l’ottica da me proposta.
Tra i numerosi video sul noto scambio dei detenuti del 1° agosto che ho visto in questi giorni, in un modo particolare mi ha incuriosito questo:
Sembra una operazione speciale da film. Mentre in realtà è una dimostrazione visiva del fatto che un residente del Cremlino di Mosca e tanti suoi colleghi amano trasformare qualsiasi cosa in una operazione speciale di proporzioni gigantesche: un po’ perché si sono convinti di essere realmente dei grandi agenti delle strutture potentissime e un po’ perché hanno visto troppi film «fighi» sulle spie che sono stati girati su ordine di loro stessi.
Come ho promesso ieri (ma come avreste potuto immaginare anche da voi), oggi vi segnalo un bel articolo sullo scambio dei detenuti tra lo Stato russo e l’Occidente.
In particolare, l’articolo descrive come sono state condotte le trattative, chi sono i personaggi ottenuti dallo Stato russo e chi sono i prigionieri politici consegnati dallo Stato russo all’Occidente. Spero che ora molte cose vi diventino più chiare: anche perché vedo che i media italiani spesso scrivono delle cose superficiali o non del tutto corrispondenti alla realtà.
Come avrete letto o sentito, molto probabilmente anche più volte, c’è stato uno scambio di detenuti tra lo Stato russo da una parte e l’Occidente dall’altra. Lo Stato russo ha consegnato 16 persone, tra le quali detenuti politici russi (condannati a diversi anni di reclusione per la manifestazione della contrarietà alla guerra) e cittadini tedeschi e americani ritenuti e condannati come spie (utilizzo questa espressione per non farvi pensare che siano realmente delle spie). L’Occidente, invece, ha consegnato 8 persone (tutti cittadini russi), tra le quali un esponente dei servizi segreti russi condannato per l’assassinio di un oppositore ceceno a Berlino e sette spie e/o imbroglioni di livello medio-basso (il primo degli otto è quello che interessava a Putin più di tutti: tenete in mente questa cosa che ci sarà utile tra poco).
I testi più significatici che ho apprezzato io saranno segnalati nel post di domani. Oggi, invece, volevo precisare tre principi base.
1) Perché lo Stato russo ha scambiato alcuni russi per alcuni russi? Lo ha fatto per sbarazzarsi di oppositori e dissidenti politici che poteva anche uccidere senza alcun problema, ma ha avuto l’occasione di sfruttarli per la propria utilità del momento (riavere indietro le persone ideologicamente vicine). Inoltre, in tal modo ha privato – o ha tentato di privare – i politici di opposizione scambiati del loro peso politico interno. Nella inevitabile Russia post-putiniana avranno più peso politico – tra gli elettori e tra le élite – quelli che hanno lottato dentro e non quelli che hanno fatto delle dichiarazioni sui social stando al sicuro nell’UE o negli USA: sono due categorie di persone percepite in un modo molto diverso.
Certo, la legislazione russa in materia vieterebbe consegnare i cittadini russi agli altri Stati, ma Putin usa le leggi solo quando deve fare una determinata operazione in bagno.
2) Perché lo Stato russo ha scambiato alcuni non-russi per alcuni russi? Perché sa che, logicamente, gli Stati occidentali sono prima di tutto interessati al salvataggio dei propri cittadini. Gli ostaggi occidentali nelle carceri russe sono, di fatto, una valuta forte. Ogni occidentale che va in Russia ai tempi di Putin deve comprendere questo rischio: può essere arrestato con una qualsiasi accusa ridicola per diventare una «moneta» della valuta forte, una merce di scambio.
3) Perché Putin voleva tanto liberare l’agente dei servizi segreti Vadim Krasikov? No, non per riutilizzarlo in altre missioni. E non per permettere a quel personaggio di trasmettere agli altri le sue ipotetiche altissime capacità da spia. Evidentemente, voleva liberare Krasikov per dare un messaggio agli altri agenti: lavorate, fate quello che vi diciamo e se qualcosa dovesse andare male non parlate troppo, noi faremo di tutto per tirarvi fuori. Sparate i nostri nemici nei centri delle città europee, mettete il veleno sulle maniglie delle porte, piazzate le bombe, hackerate i database e fate tutto il resto con la massima tranquillità: se vi arrestano, noi organizziamo un altro scambio. Anche perché, effettivamente, nelle carceri russe rimangono centinaia di altri detenuti politici.
Ecco, i tre principi appena elencati non sono una semplice informazione per le persone che si interessano di ciò che succede nelle terre lontane. È un avvertimento.
È un avvertimento del fatto che ora gli agenti dei servizi segreti russi hanno avuto una conferma di quanto menzionato nel terzo principio: possono fare qualsiasi cosa senza preoccuparsi troppo dell’eventuale arresto.
Io sono molto contento per tutte le persone – russi e non – liberate dallo Stato russo nel corso dello scambio di ieri: il carcere russo è uno dei peggiori posti sul nostro pianeta, da non augurare nemmeno ai peggiori nemici. Ma la loro liberazione potrebbe costare la vita a diverse persone che vivono nell’UE o negli USA.
I lettori europei, molto probabilmente, non se ne sono ancora accorti (ed è normale, non hanno il bisogno «pratico» di accorgersi di certe cose), ma una delle principali somiglianze tra la Russia e la Bielorussia degli ultimi anni consiste nel fatto che la maggioranza delle cose che succedono in Bielorussia possono essere considerati un anticipo di quello che succederà nei prossimi mesi – rispetto all’evento originale – in Russia. Ogni atto repressivo, ogni riduzione dei diritti dei cittadini, ogni passo verso un maggior autoisolamento del Paese adottato in Bielorussia viene dopo qualche tempo imitato dagli abitanti del Cremlino di Mosca.
Una delle principali differenze (per ora) consiste nel fatto che il regime di Lukashenko può permettersi di essere più feroce. O, in alcune occasioni, cercare di sfruttare la propria reputazione negativa e fingere di essere feroce.
Per esempio: alla fine di giugno un tribunale bielorusso ha condannato a morte il cittadino tedesco Rico Krieger con l’accusa di aver commesso un atto terroristico. Secondo le indagini, Krieger avrebbe organizzato una esplosione alla stazione ferroviaria di Ozerische – alla periferia di Minsk – utilizzata dai militari. Nessuno è rimasto ferito nell’esplosione, mentre i danni ammontano a poco più di 500 dollari americani.
Ora il condannato e il Governo tedesco sono logicamente spaventati: perché non si rendono del tutto conto che si tratta non di una vera condanna, ma di un modo tipico locale di prendere un ostaggio occidentale per effettuare uno scambio sicuro con qualche personaggio utile a Lukashenko detenuto (per un reato reale) in Germania. In questo specifico caso si presume che sia utile un personaggio tanto caro a Putin (il principale sponsor di Lukashenko), ma si tratta delle voci che non posso commentare.
Lo Stato russo, per ora, non è ancora arrivato al punto di condannare a morte gli ostaggi occidentali (anche perché la pena di morte in Russia è sospesa dal 1997) e si limita a condannarli a tanti anni di reclusione. Ma nessuno può garantire che un giorno non segua l’esempio bielorusso.
Voi, intanto, seguite il link di cui sopra e leggete dell’ostaggio tedesco.
Il «Politico» scrive che la quantità delle donazioni da parte dei sostenitori del Partito Democratico statunitense sulla piattaforma ActBlue ha superato i 55 milioni di dollari dopo che Joe Biden si è ritirato dalle elezioni presidenziali e ha annunciato che avrebbe sostenuto la candidatura vicepresidente Kamala Harris.
Tale dato di cronaca mi fa pensare, ancora una volta, alle stranezze dei processi cognitivi che girano nelle teste degli elettori (in realtà non solo quelli americani).
Per esempio: il ritiro di Joe Biden ha reso Kamala Harris una candidata migliore di quanto sarebbe stata senza la decisione di Biden? Palesemente, è sempre la stessa persona un po’ strana, contraddittoria e politicamente poco visibile (nel senso che si è fatta notare relativamente poco).
Oppure: l’orecchio ferito di Donald Trump – è il fatto che quest’ultimo si sia salvato per il volere della bandiera-angelo miracolo – rende Trump un personaggio migliore di quanto lo era prima? Eppure, tra i repubblicani ora c’è più entusiasmo relativamente alla sua candidatura.
Boh, vedremo quale stranezza risulterà vincente. Anche se per ora mi sembra che quel proiettile abbia ferito mortalmente il candidato democratico.
Presumo che per il 101% di voi non è una notizia: Joe Biden ha trovato le forze morali per decidere di non ricandidarsi alla Presidenza degli USA. Lo ha reso noto attraverso un comunicato su X, l’ex Twitter e l’ex strumento di comunicazione preferito da Donald Trump: non so se si tratti dell’ultima battuta presidenziale… Se lo fosse, è una battuta realmente bella, spero di avere lo stesso livello di humor all’età di quasi ottantadue anni (ma spero di avere anche la capacità di scrivere direttamente sul social e non far postare lo screenshot di un pdf; boh, non importa).
Negli ultimi anni e soprattutto nelle ultime settimane ho letto diverse considerazioni più o meno negative su Joe Biden e su Kamala Harris. Avremo ancora abbastanza tempo, presumo, per leggere tutte le cose possibili sulla attuale vice-presidente (se, per esempio, è realmente «meglio che non parli»), mentre per ora voglio salutare bene Biden.
Voglio scrivere che invidio infinitamente uno Stato il cui presidente per molto tempo si è dimostrato molto attaccato al potere, ma alla fine ha trovato le forze per dire «me ne vado per il bene del Paese». Invidio anche perché penso a un altro personaggio che non avrà mai il coraggio e l’intelligenza per farlo. Quel personaggio, dopo l’incontro con il quale nel 2001 il presidente George W. Bush disse «L’ho guardato negli occhi e visto la sua anima: un uomo diretto, che ispira fiducia». Quel personaggio, dopo l’incontro con il quale il vice-presidente Biden ha detto «Anche io l’ho guardato negli occhi e non ho visto l’anima»: secondo la testimonianza di un psicologo e politologo russo, la frase è stata pronunciata a Mosca durante un incontro privato con alcuni politologi e giornalisti russi, dopo l’annessione della Crimea, ma molto prima dell’inizio della grande guerra sul territorio ucraino.
Ecco: nonostante tutte le stranezze, Biden è sempre stato una persona intelligente. L’età lo ha naturalmente reso poco reattivo in tutto, anche nelle decisioni fondamentali, ma non gli ha fatto perdere il cervello.
Di conseguenza, nonostante l’età è riuscito a prendere la decisione intelligente e andare via in un modo giusto.
Relativamente tra poco, a novembre, qualcuno dirà che lo ha fatto troppo tardi, che per permettere ai propri colleghi di partito di sconfiggere Trump avrebbe dovuto ritirarsi molto prima. Ma il fatto è che noi non lo sappiamo, il solo suo ritiro non è una garanzia della vittoria del candidato dei democratici.
Donald Trump, per esempio, sarebbe rimasto sempre Donald Trump, sarebbe stato comunque ferito all’orecchio etc.. E, soprattutto, non è un ragazzino nemmeno lui, quindi potrebbe non arrivare alla fine del secondo mandato ed essere sostituito da quel mostro di Vance.
Insomma, complimenti a Biden per la scelta giusta finalmente fatta.
C’è chi inventa le barzellette (sì, per forza nascono tutte nelle teste delle persone concrete), e c’è chi parla delle notizie lette. Presumo che molto spesso non è il primo che si diverte di più.
Per esempio: poco fa ho scoperto che già il 1° luglio il Ministero della Giustizia russo ha inserito il think tank Carnegie Endowment for International Peace nel registro delle «organizzazioni indesiderate» sul territorio russo.
A rarissime eccezioni, una barzelletta (anche una notizia-barzelletta) per essere divertente deve essere breve. Dunque, il presente post, per essere ottimale, avrebbe dovuto finire qui.
Solo per la cronaca aggiungo che la suddetta organizzazione non desiderata dallo attuale Stato russo era stata fondata nel 1910 ed è stata presente in Russia – con una rappresentanza a Mosca – dal 1994 al settembre del 2022. In primavera del 2023 l’organizzazione era già stata accusata dal Ministero della Giustizia russo dello «screditamento» dell’esercito russo e della diffusione dei «fake» sull’operato delle autorità russe.
Come quasi tutti gli altri giorni di un anno medio, pure ieri ho passato alcuni minuti (non scrivo decine di minuti, perché sicuramente erano meno di venti) a vedere cosa pubblica la gente su Facebook. Logicamente, ho visto diversi post sulla scarcerazione di Julian Assange. Quasi tutti quei post hanno dimostrato che ogni singolo utente di Facebook ha uno dei due problemi:
1) ha una memoria selettiva,
2) ha letto qualcosa su Assange solo più di dieci anni fa.
In tutti post non c’è una sola parola – nemmeno una – sulla storia dei documenti della campagna elettorale di Hillary Clinton rubati nel 2016 da squadre di hacker russi con il supporto diretto del GRU e consegnati per la distribuzione ad Assange, che all’epoca si trovava già nell’ambasciata ecuadoriana a Londra. Quindi semplicemente non c’è stato un momento in cui Assange è diventato l’esecutore diretto dell’incarico dei servizi segreti russi?
Allo stesso tempo, per qualche motivo nessuno ricorda che per una «strana» coincidenza le pubblicazioni di Wikileaks praticamente non riguardavano la Russia, dal 2012 il tono delle dichiarazioni di Wikileaks e di Assange (che ha iniziato a lavorare al canale televisivo di propaganda statale russa RT) coincideva con il punto di vista delle autorità russe (valutazione della situazione in Ucraina nel 2014, uscita del Regno Unito dall’UE, accuse alla NATO e agli Stati Uniti di violazioni dei diritti umani, critiche alla pubblicazione dei Panama Papers)…
Wikileaks ha delle «strane» coincidenze e gli utenti di Facebook hanno una strana memoria.