La Commissione europea ha raccomandato al Consiglio dell’UE di avviare i negoziati con l’Ucraina e la Moldavia per la loro adesione all’UE a una serie di condizioni. Inoltre, la Commissione ha raccomandato al Consiglio dell’UE di concedere alla Georgia lo status di Paese-candidato «a condizione che il Governo del Paese compia importanti passi di riforma».
A questo punto bisogna fare una constatazione abbastanza triste. È vero che i negoziati per l’adesione possono durare diversi anni (nel caso dell’Ucraina tale durata sarà di fatto dovuta anche alla attesa della fine della guerra), è vero che lo status del Paese-candidato può durare anche decenni, ma le raccomandazioni della Commissione arrivano comunque in uno dei momenti più sbagliati di sempre. Infatti, proprio in queste settimane abbiamo visto con la massima chiarezza – spero che lo abbiate visto anche voi – il colossale fallimento delle grandi organizzazioni interstatali. Di quelle organizzazioni come l’ONU o l’UE le cui decisioni principali devono essere prese all’unanimità in base al principio che tutti gli Stati-membri abbiano lo stesso peso e gli stessi diritti. Ma sulla pratica vediamo che questo principio idealista non funziona come si sperava.
Da un lato, alcuni Stati sfruttano il suddetto principio per difendere i propri comportamenti aggressivi con il potere di veto (succede prima di tutto all’ONU). Dall’altro lato, diversi Stati altrettanto poco responsabili sfruttano lo stesso principio per prostituirsi: letteralmente vendono il proprio voto (e il proprio veto) a quegli Stati che sono disposti a pagare (succede sia all’ONU che all’UE). Si potrebbe dunque logicamente dedurre che proprio il principio di uguaglianza abbia portato alla impossibilità di quelle grandi organizzazioni di fare qualcosa contro le guerre che sono attualmente in corso; ma anche contro quelle future. Quelle organizzazioni andrebbero dunque fortemente riformate o sostituite con qualcosa di nuovo e più adatto alla vita reale.
La Commissione europea, invece, continua a fare finta che vada tutto bene e raccomanda i negoziati con gli Stati nuovi, alcuni dei quali molto probabilmente andranno a «prostituirsi» come ho scritto prima (intendo prima di tutto la Georgia attuale perché è governata dai personaggi filo-putiniani e non intenzionati a lasciare il potere in un modo democratico). Probabilmente si tratta solo di un naturale istinto di sopravvivenza burocratica, ma è comunque un fenomeno tristissimo.
L’archivio del tag «politica»
I rappresentanti democratici hanno bloccato al Senato degli Stati Uniti la proposta di legge repubblicana sugli aiuti di emergenza a Israele nella quale non è previsto l’aiuto anche per l’Ucraina: hanno giustamente osservato che l’aiuto all’Ucraina è ugualmente urgente e importante. Questa notizia non è tanto una notizia, avremmo potuto anche ignorarla in attesa del risultato finale nelle discussione sul provvedimento.
È invece curioso notare che nella richiesta di Joe Biden di approvare lo stanziamento dei 106 miliardi di dollari è contenuta anche la componente – una specie di una delle «sottorichieste» – di continuare a finanziare la costruzione del muro sul confine tra gli USA e il Messico. Un muro la cui costruzione è iniziata molto prima della Presidenza di Trump, continua ora, ma ha provocato tanto rumore solo ai tempi di Trump. Io ho dei forti dubbi sulla utilità di quel muro e non sono assolutamente un trumpista, ma allo stesso tempo sono fortemente divertito dalla capacità delle persone di scandalizzarsi per certe azioni solo quando esse vengono intraprese dai personaggi a loro antipatici.
Probabilmente alcuni di voi sanno che a marzo del 2024 in Ucraina avrebbero dovuto svolgersi le elezioni presidenziali; il presidente in carica Zelensky già in agosto 2023 aveva confermato la propria intenzione di candidarsi per il secondo mandato.
Ieri sera, però, nell’ormai tradizionale discorso serale alla nazione Zelensky ha detto:
We must realize that now is the time of defense, the time of the battle that determines the fate of the state and people, not the time of manipulations, which only Russia expects from Ukraine. I believe that now is not the right time for elections. And if we need to put an end to a political dispute and continue to work in unity, there are structures in the state that are capable of putting an end to it and giving society all the necessary answers. So that there is no room left for conflicts and someone else’s game against Ukraine.
[traduzione ufficiale dall’ucraino presa dal sito presidenziale]
Apparentemente Zelensky aveva la scelta tra due opzioni ugualmente peggiori: far svolgere le elezioni a marzo (quindi nel periodo regolare: in prossimità della scadenza del proprio mandato) ma solo su una parte del territorio ucraino (quello non occupato dall’esercito russo) oppure posticipare le elezioni ai tempi di pace (giustificandosi con lo stato di guerra vigente) ma rischiando di passare per dittatore in patria e all’estero.
Lo svolgimento delle elezioni ora, ai tempi di guerra, mette a rischio quelle unità nazionale e concentrazione che servono per condurre con successo la guerra. Il posticipo delle elezioni potrebbe mettere a rischio gli aiuti provenienti dall’estero (soprattutto dagli USA) in quanto alcuni politici potrebbero – a partire dal marzo 2024 – considerare Zelensky un presidente non legittimo.
A favore della scelta di Zelensky annunciata ieri per ora c’è solo una cosa relativamente concreta: i risultati delle ricerche sociologiche. Infatti, in un sondaggio condotto dall’Istituto Internazionale di Sociologia di Kiev nell’ottobre di quest’anno, l’’81% degli ucraini intervistati ha affermato che le elezioni dovrebbero tenersi dopo la guerra, mentre il 16% si è espresso a favore dello svolgimento delle elezioni nonostante la guerra.
Di conseguenza, per ora posso dire solo una cosa: Zelensky si è inventato un nuovo compito diplomatico difficile. Oltre a chiedere le armi all’Occidente, ora deve anche difendere la propria scelta sulle elezioni di fronte allo stesso Occidente. Io non sono in grado di dire se abbia fatto bene o male a non rischiare di distruggere l’unità politica interna nel corso di una guerra difensiva.
Venerdì avevo scritto un post nel quale menzionavo la prank call fatta alla premier Giorgia Meloni. E poi ho pensato che forse dovrei mostrare anche il relativo video originale:
Direi che oltre al semplice fatto della telefonata potrebbe stupirci anche il livello di inglese di tutti i personaggi coinvolti…
Considerati gli eventi degli ultimi anni (se non decenni), non mi stupisco: il sabato 28 ottobre l’inutile (e spesso dannosa) banda chiamata ONU ha assicurato ancora una volta ad Hamas il proprio sostegno incondizionato: con 120 voti a favore ha adottato una risoluzione che chiede una tregua immediata in Medio Oriente; l’emendamento che condannava l’attacco terroristico di Hamas contro Israele è stato respinto. Quindi secondo l’ONU non c’è stato alcun attacco terroristico e nessun rapimento di ostaggi, l’esercito israeliano avrebbe semplicemente attaccato senza motivo il pacifico Hamas. Ora l’ONU chiede di fermare immediatamente l’operazione di risposta all’attacco terroristico e, immagino, di continuare a soddisfare tutte le solite pretese di Hamas.
Non so se un giorno potrò fare qualcosa contro i nemici dell’umanità, ma nel frattempo posso iniziare a ricordare i loro nomi. Ecco l’elenco degli Stati che hanno votato contro la risoluzione di condanna del massacro compiuto da Hamas il 7 ottobre 2023: Algeria, Bahrain, Bangladesh, Bielorussia, Repubblica Centrafricana, Bolivia, Ciad, Congo, Comore, Cina, Egitto, Gambia, Guinea, Guyana, Indonesia, Iran, Iraq, Kuwait, Kirghizistan, Libia, Libano, Malesia, Maldive, Mali, Mauritania, Kazakistan, Giordania, Marocco, Namibia, Nicaragua, Niger, Oman, Pakistan, Qatar, Federazione Russa, Arabia Saudita, Senegal, Somalia, Sudafrica, Sri Lanka, Sudan, Tagikistan, Siria, Tunisia, Turchia, Uganda, Emirati Arabi Uniti, Tanzania, Yemen, Zimbabwe.
Anche nella suddetta lista non trovo delle sorprese, ma questo è un altro argomento.
Per qualche strano motivo Putin e i suoi collaboratori ritengono ancora importante fare una specie di «campagna elettorale» per la elezione di Putin alla Presidenza russa nel 2024. In tutte le elezioni presidenziali precedenti avevano dimostrato di poter aggiungere al candidato giusto quella percentuale dei voti che ritenevano necessaria; dopo l’inizio della guerra in Ucraina hanno più volte fatto intendere di poter fare qualsiasi cosa in generale. Non si capisce dunque tanto bene perché sprechino il tempo e le forze per fare la pubblicità positiva sia del candidato destinato a vincere che del semplice fatto della votazione.
Però lo fanno. Lo fanno spesso in modi che a un europeo potrebbero sembrare un po’ strani (anche se io non sono capace di immaginare bene quale impressione facciano: io osservo più o meno attentamente la politica russa da oltre trent’anni e ho visto di tutto, mentre la maggioranza degli europei comuni no). Questa volta, per esempio, hanno inventato una particolare lotteria nazionale… Proprio a essa è dedicato l’articolo che consiglio per questo finesettimana.
Il mercoledì 25 ottobre il Consiglio Federale russo (la Camera alta del Parlamento) ha approvato la legge sul ritiro della ratifica del Trattato sulla messa al bando totale degli esperimenti nucleari. Ovviamente, a breve la legge verrà anche firmata da Putin. In relazione a questi due eventi avrei potuto ricordare diverse banalità largamente note (per esempio, che il Parlamento russo approva solo le leggi che servono a Putin o che il ritiro della ratifica non equivale alla uscita dal Trattato), ma vado oltre.
Nel pomeriggio dello stesso giorno – il 25 ottobre – sul sito ufficiale del Presidente della Russia è comparso il comunicato secondo il quale Vladimir Putin avrebbe condotto l’addestramento delle forze di deterrenza nucleare. Come parte dell’addestramento, dal cosmodromo di Plesetsk è stato lanciato verso il sito di test in Kamchatka il razzo Intercontinentale Yars, mentre il razzo Sineva è stato lanciato dal mare di Barents dal sottomarino nucleare Tula. Inoltre, gli aerei a lungo raggio Tu-95MS hanno eseguito lanci di missili dall’aria.
La seconda notizia in certo senso conferma quella ipotesi che viene in mente già in relazione alla prima: Putin non ha alcun bisogno e/o intenzione di testare delle «nuove» armi nucleari perché tutto quello che c’era da testare è già stato testato decenni fa. Si sa già come funzionano le armi nucleari. Però Putin non se il sistema delle armi nucleari che ha a disposizione dai tempi sovietici funzioni ancora. Sarà tutto rovinato dal tempo? Parzialmente venduto dai vertici militari corrotti? Tutta la catena degli ufficiali è disposta a fare la propria parte del lavoro se Putin dovesse premere il famoso buttone rosso? Purtroppo per lui e fortunatamente per noi, Putin non è sicuro di poter rispondere positivamente a tutte le domande elencate. Dunque spera di testare – con «l’autorizzazione del Parlamento» – il funzionamento del sistema e non delle armi.
Secondo il mio autorevolissimo parere, vuole testare il sistema non per bombardare i nemici, ma per sapere se ha ancora uno strumento per terrorizzare il mondo. Ci aveva provato con il «secondo esercito del mondo», ma ha fallito: guardate quanto sono piccoli i successi militari in Ucraina. Poi aveva provato a «far congelare l’Europa» senza il gas russo, ma già l’inverno scorso è stato superato dall’Europa con molta tranquillità. Ora gli resta la minaccia della bomba atomica e vuole essere sicuro di avere i mezzi.
Vedremo.
Ilham Aliev – il presidente dell’Azerbaigian – ha visitato, la domenica 15 ottobre, Stepanakert (la città principale di Nagorno Karabakh, un territorio recentemente preso sotto controllo da Azerbaigian in seguito a una azione militare). Come testimoniano le riprese video ufficiali, nella città dalla quale sono scappati quasi tutti i residenti armeni Aliev, tra le altre cose, ha camminato con gli scarponi militari sopra la bandiera della ormai ex Repubblica di Nagorno Karabakh e ha alzato la bandiera dell’Azerbaigian.
Ognuno fa il figo come può.
Il Comitato esecutivo del Comitato olimpico internazionale ha annunciato la sospensione del Comitato olimpico russo fino a nuovo avviso. In particolare, ha dichiarato che il comitato russo ha violato la Carta olimpica quando ha incluso organizzazioni sportive delle regioni di Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhya che sono sotto la giurisdizione del Comitato Olimpico Nazionale dell’Ucraina.
Evito di ripetere per l’ennesima volta quanto poco mi interessano lo sport e le Olimpiadi. Ma trovo utile e interessante mettere in evidenza la velocità dei riflessi mentali dei membri del Comitato olimpico internazionale. In sostanza, potremmo sentirci [più] autorizzati a fare tutte le battute possibili sulle capacità «intellettuali» delle persone facenti parte del mondo dello sport: come ai vecchi tempi pre-" politically correct".
Nel corso della conferenza stampa dedicata all’annuncio dei vincitori del premio Nobel per la chimica, al Segretario generale dell’Accademia delle Scienze reale svedese Hans Ellegren è stato chiesto: cosa ha guidato l’Accademia delle Scienze nell’assegnare il premio a uno scienziato russo: in particolare, vista la guerra in corso in Ucraina.
Hans Ellegren, considerate la sua professione e la situazione in cui è stata posta la domanda, non poteva certo chiedere alla giornalista cosa la abbia guidato nel fare le domande cretine. Io, invece, ho la grande fortuna di poterlo chiedere. Ho pure la fortuna di poter rispondere alle proprie domande.
Posso dunque ricordare che le scoperte scientifiche – come pure tutti i risultati intermedi delle ricerche e i rami abbandonati delle singole ricerche – contribuiscono allo sviluppo del pianeta intero. Non importa da chi siano stati fatti: indipendentemente dalla cittadinanza, luogo di nascita e/o di residenza, il colore dei capelli, il numero delle scarpe, le preferenze politiche etc. etc., i risultati scientifici «funzionano» sempre allo stesso modo.
In particolare, Alexei Ekimov – il fisico russo premiato ieri con il Nobel per la chimica – dal 1999 vive e lavora negli USA, non ha condotto le proprie ricerche appositamente per lo Stato russo, non si è espresso a favore della guerra in Ucraina. Di conseguenza, non si capisce perché il suo contributo al bene globale debba essere ignorato solo a causa del suo luogo di nascita. Vale anche per altre migliaia di scienziati russi che negli ultimi mesi stanno avendo dei problemi burocratici per colpa delle persone che il quoziente di intelligenza negativo come il giornalista di cui sopra.