Il chitarrista statunitense Chet Atkins era talmente forte che io, personalmente, non riesco nemmeno a classificarlo come un musicista country. E, in effetti, pure i critici musicali professionali hanno inventato appositamente il concetto del «Nashville sound»: i maggiori rappresentanti / fondatori di questo genere – o corrente? – sarebbero stati Chet Atkins e Owen Bradley, all’epoca legati dai contratti allo studio di registrazione RCA (basato proprio a Nashville). In sostanza, si tratta del «country ammorbidito» più gradevole alle masse.
Quindi per l’occasione del mio primo post musicale dedicato a Chet Atkins ho pensato di concentrarmi proprio sul periodo della affermazione della corrente musicale sopraindicata. Non a caso, tale periodo coincide con la fase della maggiore forma artistica di Chet Atkins, anche se egli fece delle cose interessantissime anche nei decenni successivi. Per oggi ho selezionato due brani dall’album «More of That Guitar Country» (del 1965) e, in realtà, ho fatto un po’ di fatica a compiere la scelta: mi piacciono quasi tutti i brani di quel disco.
Il primo brano di oggi è «Cloudy and Cool»:
Il secondo brano scelto per oggi è «Alone and Forsaken» (che in certi momenti metterei nel regime della riproduzione «a loop»):
Chet Atkins è uno di quei musicisti ai quali tornerò sicuramente ancora su questo blog.
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Perché postare la musica solo di sabato? Quando si trova qualcosa di molto, molto particolare, si potrebbe condividerlo con i cari lettori anche negli altri giorni. Ecco, per esempio, una interpretazione quasi classica della «Marcia alla turca» di Wolfgang Amadeus Mozart:
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Ieri era il 140-esimo anniversario dalla nascita di Igor Stravinskij, uno dei miei compositori preferiti. So che la cultura non ha bisogno dei pretesti formali per essere ricordata, studiata o semplicemente contemplata. Però alcuni pretesti vanno comunque sfruttati…
Della eredità musicale ricca e stilisticamente molto varia di Stravinskij ho scelto, per questa volta, l’opera-balletto da camera «L’Histoire du soldat» composta nel 1917. Il nome e il contenuto di questa composizione non c’entrano alcunché con gli avvenimenti di quest’anno o con quelli dell’anno di creazione. La composizione si basa interamente su alcune fiabe popolari russe. In breve, la trama è:
Un soldato povero vende la propria anima (rappresentata da un violino) al diavolo per un libro che permette di predire il futuro. Dopo avere insegnato al diavolo di usare il violino, il soldato torna nel proprio villaggio natale. La conversazione con il diavolo era però durata tre lunghi anni e ora nessuno degli abitanti del villaggio riconosce più il soldato: nemmeno la madre e la ex fidanzata (quest’ultima, nel frattempo, si è sposata). A questo punto il soldato inizia a sfruttare il libro ricevuto dal diavolo e diventa favolosamente ricco. Ricco, ma non felice, quindi si mette a giocare a carte con il diavolo: il denaro contro il violino. Il diavolo vince ma — felice per essersi arricchito — perde il violino. Il soldato si impossessa del violino, cura una principessa malata (promessa dal re a chi riuscirà a liberarla dalla malattia) e scappa con lei dal regno. Alla fine, però, finisce all’inferno per avere disobbedito al diavolo. L’opera termina con il trionfo del diavolo espresso in una sua marcia sarcastica.
Nonostante il genere formale di opera-balletto, «L’Histoire du soldat» è una composizione che non prevede le parti vocali. In più, negli anni successivi Stravinskij aveva scritto, sulla base di questa opera-balletto, due omonime suite:
1) quella del 1919 per pianoforte, clarinetto e violino…
2) e quella del 1920 per i sette strumenti della composizione originale: clarinetto, fagotto, cornetta, trombone, violino, contrabasso e percussioni (un mescuglio molto curioso):
Non sapendo quale delle due possa interessarvi di più, le ho messe entrambe, ahahaha
A volte mi capita: nel corso di diversi anni periodicamente sento – ogni volta casualmente – una canzone che per qualche suo dettaglio rimane nella memoria, ma puntualmente mi dimentico di cercare il suo autore. Ma, prima o poi, quella canzone «vagante» mi capita mentre sono davanti al computer: e allora mi approfitto della situazione e la copio, assieme a tutti i suoi dati, su questo blog. Prevalentemente allo scopo di creare un promemoria…
Ecco, oggi è la volta della canzone «Shape of You» di Ed Sheeran (dall’album «÷» del 2017):
In qualità della seconda canzone dello stesso autore metterei la «Blow» (dall’album «No.6 Collaborations Project» del 2019):
Ora anche alcuni di voi sono più informati di prima.
Il compositore ungherese Bela Bartok (1881–1945) è stato uno dei principali innovatori musicali della propria epoca, ma al giorno d’oggi è ricordato e amato prevalentemente per la seconda grande missione di tutta la sua vita: l’etnografia musicale. Di conseguenza, tra le composizioni di Bartok più eseguite prevalgono ora quelle basate sul folklore ungherese, romeno, bulgaro, slovacco, jugoslavo etc..
Ora riporto solo un esempio di quelle composizioni: le danze popolari romene preparate per una orchestra d’archi.
Ma trovo giusto ricordare anche (e soprattutto) qualche bella composizione originale di Bela Bartok, qualcuna che provenga più dalla sua testa che dai materiali raccolti durante i viaggi e poi rielaborati. Per esempio, potrei postare la «Musica per archi, percussioni e celesta» comporta nel 1936:
Ovviamente, non posso prevedere quale delle due «correnti di Bartok» sia più vicina alle preferenze di ogni singolo lettore/ascoltatore del presente post…
Il compositore e pianista statunitense Bob James mi piace per il suo jazz molto tranquillo e allo stesso tempo tecnicamente di alta qualità.
La sua composizione «Angela» è largamente nota…
Ma non tutti conoscono, per esempio, questa sua interpretazione (ne ha fatte anche altre con musicisti diversi) del brano «Feel Like Making Love»:
In generale, la musica suonata da Bob James si adatta a molte situazioni della vita.
La tarda sera del 17 maggio è morto – a causa delle conseguenze del Covid-19 – il compositore greco Vangelis (il nome reale è Evangelos Odysseas Papathanassiou), noto per essere stato uno dei fondatori del gruppo Aphrodite’s Child (assieme a Demis Roussos) e uno dei pionieri della musica elettronica.
Il genere di musica suonata dal gruppo non era tra i miei preferiti, quindi preferisco non postarla e non commentarla. La musica elettronica di Vangelis, invece, mi è ben nota dalla metà degli anni ’90: dal momento in cui qualcuno mi aveva regalato due raccolte del compositore in CD… E posso assicurarvi che si trattava di una cosa stranissima: un ottimo sonnifero capace di provocare anche degli incubi un po’ particolari e quasi divertenti.
Quindi ho pensato di postare, nel post musicale di questo sabato, due esempi della musica elettronica di Vangelis utilizzata nei film relativamente noti.
La prima composizione è quella utilizzata nel film «Chariots of Fire» del 1981 (Vangelis era stato premiato con un Oscar e un Grammy):
La seconda composizione è una di quelle utilizzate nel film «Blade Runners» sempre del 1981:
Ora, molto probabilmente, vi siete accorti di conoscere già da tempo la musica di Evangelos Odysseas Papathanassiou.
Gordon L. Goodwin è uno dei più noti e apprezzati musicisti jazz dei giorni nostri. Diversi miei lettori potevano avere sentito – molto probabilmente senza accorgersene – la musica di Goodwin in almeno uno dei numerosi film nei quali è stata utilizzata.
Io oggi provo a pubblicizzare questo bravo artista pubblicando due brani dall’album «XXL» (del 2003) del gruppo Gordon Goodwin’s Big Phat Band.
Il primo brano scelto per oggi è «High Maintenance»:
E il secondo brano di oggi è «Hunting Wabbits»:
Secondo me al giorno d’oggi l’intero jazz andrebbe pubblicizzato, soprattutto tra gli ascoltatori relativamente giovani, quindi sono particolarmente contento di farlo con l’"aiuto" di un grande. Anche se capisco che a qualcuno potrebbe sembrare un genere musicale un po’ difficile…
Il pianista e compositore austriaco Carl Czerny era considerato a Vienna, nella prima metà del XIX secolo, uno dei migliori insegnanti di pianoforte. E, infatti, è stato un leggendario metodista, famoso per avere scritto una altissima quantità di studi per il pianoforte. C’è chi sostiene che è impossibile trovare, in tutto il mondo, un pianista degli ultimi duecento anni che non abbia durante la propria vita suonato almeno una composizione di Carl Czerny.
Fino al 1815 Carl Czerny fu un concertista apprezzato sia dai compositori che dal pubblico: Ludwig van Beethoven gli affidò l’esecuzione del suo Terzo Concerto per pianoforte e orchestra. Nel 1815, però, Czerny smise di suonare il pianoforte e si concentrò sulla pedagogia e la composizione.
Per oggi la mia intenzione abbastanza ovvia è stata quella di selezionare due composizioni «normali» (e non degli studi) di Carl Czerny. Il risultato è il seguente.
La prima composizione selezionata è la sonata per due pianoforti in do maggiore, op. 119 («sonata militaire et brillante»):
Mentre la seconda composizione selezionata è la sonata per due pianoforti in sol maggiore, op. 120 («sonata sentimentale»):
Secondo me la tendenza alla pedagogia si percepisce comunque…
Formalmente, il gruppo rock (strumentale) statunitense The Ventures è uno dei gruppi più longevi al mondo: è nato nel 1958, anche se nessun membro della gloriosa formazione originale è ancora in attività o addirittura in vita. Allo stesso tempo, è uno dei gruppi di maggior successo commerciale della storia.
In questa sede, però, ci interessa il fatto che The Ventures storici, avendo sperimentato tanto con il suono, hanno esercitato una certa influenza su tantissimi altri gruppi di epoche diverse e si sono guadagnati il titolo di «The Band that Launched a Thousand Bands».
Una delle manifestazioni più interessanti della influenza della loro musica è il brano «Surf Rider (Spudnik)», il quale era stato incluso – sotto due nomi diversi – negli album «Mashed Potatoes and Gravy» (1962) e «Surfing» (1963).
Già nel 1963 hanno iniziato a comparire sul mercato le prime (tra le numerose) cover di quel brano. Una delle prime è stata una versione allungata e velocizzata del gruppo californiano The Lively Ones (l’album che la contiene si chiama «Surf Rider!»):
Vi è sembrata già più famigliare? Giusto. Proprio questa cover si sente durante i titoli finali del film «Pulp Fiction» di Quentin Tarantino. Il problema è che più o meno tutti si sono dimenticati, ben prima del 1994, dell’originale de The Ventures.
Quindi a questo punto The Ventures hanno deciso di sfruttare la situazione e reinserire il proprio «Surf Rider» nel programma dei concerti. Ma lo hanno anche rielaborato un po’:
In questo modo è stato salvato dall’oblio, grazie alla loro influenza, uno dei brani del gruppo.