La Sonata № 20 in do minor di Franz Joseph Haydn è la sua prima composizione alla quale lo stesso Haydn definì «sonata». Composta nel 1771, è dedicata alle sorelle pianiste Katharina e Marianne Auenbrugger.
Ma il musicologo americano Howard Pollack sostiene che la Sonata n. 20 fu originariamente scritta per clavicordo. Se fosse vero, il primo movimento della sonata potrebbe suonare così:
Per ora non ho trovato su YouTube una versione completa e di qualità soddisfacente della Sonata n. 20 suonata con un clavicordo. Volendo, potete cercare anche voi.
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Per puro caso ho trovato una interpretazione live particolarissima della canzone «Black Night» dei Deep Purple. Il fatto è che sullo stesso palcoscenico si trovano Bruce Dickinson (Iron Maiden), Brian May (Queen), John Paul Jones (Led Zeppelin), Ian Paice (Deep Purple) e Brian Auger. Non potevo non condividerla:
In qualità del secondo video aggiungo la versione live «originale» dei Deep Purple (del 1972):
Le collaborazioni del genere a volte sono interessanti, quindi ci tornerò ancora sull’argomento.
La puntata precedente della mia rubrica musicale era dedicata a una canzone natalizia. Per logica — e, soprattutto, per la mia volontà personale — la puntata odierna deve invece essere dedicata a una canzone da Capodanno.
Conosco diverse canzoni più o meno interessanti che corrispondono al semplice principio appena formulato (e ne avevo già postata qualcuna negli anni passati), ma questa volta ho voluto postare due interpretazioni della «Bringing In A Brand New Year».
Inizio con la versione originale composta da Charles Brown (fa parte del suo album «Charles Brown Sings Christmas Songs» del 1961):
E poi aggiungo l’interpretazione di B. B. King, pubblicata nel 2001:
Bene, ora ho rispettato anche la festa invernale più importante per me ahahaha
La canzone di Mariah Carey «All I Want for Christmas is You», pubblicata per la prima volta il 1° novembre 1994, è una di quelle canzoni che è impossibile non conoscere anche per le persone totalmente indifferenti – come me – alla cantante che l’aveva interpretata per prima. È una di quelle canzoni con le quali ci torturano per almeno un mese ogni inverno (assieme a «Last Christmas» e «Jingle Bells» è uno degli strumenti di tortura sonora più utilizzati) in quasi tutti i luoghi pubblici. In trent’anni di storia la canzone ha prodotto circa cento milioni di dollari di guadagni derivanti dai diritti d’autore, ha venduto decine di milioni di copie… Insomma, per riuscire a condurre una vita economicamente decente – e, magari, rimanere pure famosa – a Mariah Carey sarebbe molto probabilmente stato sufficiente pubblicare solo questa canzone e non fare più un tubo per il resto dei suoi giorni.
Nel 2022 l’autore delle canzoni Andy Stone si è svegliato – 28 anni dopo l’uscita della canzone cantata da Mariah Carey – e ha intentato una causa per violazione dei diritti d’autore presso la Corte distrettuale degli Stati Uniti per il distretto orientale della Louisiana. Secondo la posizione di Stone, nel 1989 il suo gruppo Vince Vance and the Valiants aveva registrato una canzone con lo stesso titolo, che era stata trasmessa alla radio nel 1993; nello stesso periodo per quella canzone era stato realizzato un video musicale. Eccolo:
Sebbene le due canzoni suonino in modo diverso, Stone aveva chiesto 20 milioni di dollari di danni per l’utilizzo, senza il suo consenso, del nome della canzone da lui inventato. Poco dopo Stone aveva ritirato la causa… Ma il 1° novembre 2023 ha fatto nuovamente causa.
Io ho dei dubbi circa la ragionevolezza giuridica della battaglia di Andy Stone, ma umanamente lo capisco facilmente (il che non significa che mi sarei comportato allo stesso suo modo).
Bene, è giunto – da tutti i punti di vista – il momento di tornare alle «Quattro stagioni di Buenos Aires» del compositore argentino Ástor Piazzolla. Infatti, questa volta nella mia rubrica musicale è il «turno» dell’«Invierno Porteño» («Inverno a Buenos Aires») composto nel 1969.
Inizierei dalla versione live dell’autore stesso:
E poi aggiungo una sorprendente interpretazione sinfonica: quella della Nederlands Philharmonisch Orkest.
Qualsiasi musica può essere suonata bene con qualsiasi strumento (o insieme di strumenti). Non sono gli strumenti che dobbiamo ascoltare.
Nel 1961 era uscito il primo album in studio di Eddie Harris: il «Exodus to Jazz». Tra gli altri brani – ovviamente in stile jazz – quell’album conteneva anche il «Gone Home»:
Nel 1985, poi, era uscito il terzo album in studio dei Stevie Ray Vaughan and Double Trouble «Soul To Soul» (registrato ai tempi del consumo della cocaina in quantità industriali da parte di alcuni componenti del gruppo). Tra gli altri brani, questo album contiene anche l’interpretazione in stile blues della «Gone Home» di cui sopra:
Nonostante il debutto da una parte e la droga dall’altra, si tratta di due interpretazioni belle dello stesso brano. Secondo me è inutile tentare di stabilire quale delle due sia la migliore (a meno che voi non abbiate qualcosa contro uno dei due generi musicali rappresentati): ognuna di esse ha una sua bellezza.
Visto che quest’anno la festa milanese di Sant’Ambrogio capita di sabato, ho pensato di dedicare la coincidente puntata della mia rubrica musicale a qualche composizione particolarmente legata a Milano… Ma, allo stesso momento, scegliere qualcosa di non particolarmente noto e/o banale.
Non è stato un compito tanto facile, ma alla fine sono riuscito a trovare una cosa veramente rara: la musica a più voci di Giulio Cesare Ardemanio, pubblicata da Graziadio Ferioli nel 1628, che rappresenta la prima testimonianza superstite di musica per il teatro composta da un milanese, stampata a Milano e ivi rappresentata in una circostanza nota (la visita in città di san Carlo Borromeo nel periodo di carnevale del 1628).
Su YouTube sono riuscito a trovare, di Giulio Cesare Ardemanio, solo la breve canzon a quattro «La Inquieta»:
Ora bisogna capire chi e come motivare per cercare e caricare qualche altra composizione: per gli storici della musica dilettanti potrebbe essere una cosa molto utile e interessante.
Mentre per ora non ho la possibilità di aggiungere il tradizionale secondo video.
Qualche tempo fa ho per puro caso sentito la canzone di Tom Waits «November». In un primo momento ho pensato che fosse uno scherzo, un modo di prendere in giro qualcuno o qualcosa del genere… In parte questi miei dubbi sono dovuti anche al fatto che io non sono uno «ascoltatore» di Tom Waits (non so nemmeno dire il perché, è semplicemente capitato così).
Ma poi, un po’ meno per caso, ho scoperto che la suddetta canzone fa parte dell’album «The Black Rider» del 1993, il quale contiene le canzoni scritte per lo spettacolo teatrale omonimo, basato a sua volta sull’opera «The Magic Arrow». Di conseguenza, ora mi devo informare bene su queste due opere… Nel frattempo aggiungo un’altra canzone dallo stesso album: la «The Black Rider».
E non so ancora se recuperare quanto perso e studiare meglio pure il fenomeno di Tom Waits…
La mia scelta di oggi della composizione musicale da postare nella rubrica musicale deriva, come a volte succede, dalla osservazione di quello che succede nel mondo nel preciso momento storico.
Negli ultimi giorni (o settimane) ho la sensazione che sia stato raggiunto un nuovo livello di idiozia globale, quindi mi è venuta in mente una delle composizioni classiche più cupe e deprimenti che conosco: la «Apotheosis of this Earth» del compositore ceco/statunitense Karel Husa. Pubblicata nel 1970, questa composizione si riferisce a una catastrofe globale come l’uso dell’arma nucleare (una interpretazione purtroppo non obsoleta nemmeno oggi), nulla ci vieta di ascoltarla tenendo in mente anche alcuni altri sviluppi…
Oppure si può ascoltarla senza alcun legame con gli eventi – storici o potenziali – della vita reale.
Il chitarrista e cantante blues Albert King è talmente famoso e influente (sì, anche dopo la sua morte avvenuta nel 1992), che io non so nemmeno se ci sia il bisogno di scrivere qualcosa prima di inserire dei video con i suoi brani. Posso solo esprimere pubblicamente il proprio stupore per il fatto di non avergli mai dedicato un post musicale…
Ed ecco che ho deciso, finalmente, di condividere con voi due dei brani di Albert King particolarmente importanti per me.
Il primo brano è il «I’ll Play the Blues for You (parts 1 and 2), facente parte dell’album omonimo del 1972. Si tratta di una di quelle composizioni musicali che a volte utilizzo in qualità di un «metronomo mentale»: per impostare un ritmo particolare – quando serve – al cervello.
Il secondo brano di Albert King scelto per oggi è il «My Babe» (dall’album «Albert» del 1988): solo perché è bello.
Sicuramente tornerò ancora a scrivere di Albert King perché devo recuperare un po’ di pubblicazioni mancate.