Con tutte le notizie gravi delle ultime settimane non possiamo certamente dimenticarci (almeno io) che la vera e grande guerra in Ucraina continua. Relativamente a essa, questo sabato vi posso segnalare un articolo dedicato a un argomento sul quale nemmeno a me è capitato di leggere molto negli ultimi due anni: la situazione con l’assistenza medica a chi è rimasto (o, per qualsiasi motivo, si trova) sui territori ucraini occupati dall’esercito russo.
In generale, si discute molto del destino degli ucraini che sono rimasti in quei territori: indipendentemente dai motivi per i quali non sono partiti e dalla loro attività professionale esercitata, rischiano di essere processati per tradimento e collaborazione con il nemico dopo il ritorno dello Stato ucraino entro i suoi confini legali. Ma questa è una questione del futuro poco (purtroppo) definito. La questione attuale oggi è come, chi e in quali condizioni esercita le professioni essenziali in quegli territori maggiormente colpiti dalla guerra.
Insomma, per me è stata una lettura interessante.
L’archivio del tag «medicina»
Qualcuno poteva avere letto, ieri, dell’annuncio di Putin: la Russia ha registrato il primo vaccino al mondo contro il Covid-19. Penso che sia evidente più o meno a tutte le persone mentalmente sane: si tratta solo di una auto-pubblicità politica, di un tentativo di mostrare la propria superiorità sull’Occidente ostile in un argomento molto risentito. Le persone poco informate della attuale stilistica politica russa lo possono capire almeno dalle tempistiche e dalla segretezza totale (sottolineata più volte dalla comunità scientifica mondiale) che hanno accompagnato la «creazione» del «vaccino» russo.
Evito le valutazioni del gesto di Putin.
Trovo invece molto più interessante e utile sottolineare alcuni principi universali che debbano essere necessariamente chiari più o meno a tutti gli umani mentalmente sani.
Prima di tutto bisogna ricordare che la creazione di un nuovo vaccino sicuro, efficace e accessibile a larghe fasce di popolazione richiede anni. Ripeto: anni. Non so da dove saltino fuori le leggende del tipo «il primo vaccino entro la fine del 2020» o «tra un anno». I medici con i quali mi capitato di parlare e gli scienziati i cui articoli mi è capitato di leggere negli ultimi mesi sostengono che nel migliore dei casi ci vorrebbero 5 anni. Con tantissima fortuna si potrebbe farcela anche in 3 anni, ma sembra poco realistico. Non penso che sia necessario rispiegare i motivi già ben noti a tutti: oltre alla ricerca della formula del vaccino, è necessario svolgere anche dei lunghi test e poi trovare il modo di produrre velocemente tanti dosi a un costo ragionevole.
In secondo luogo, potremmo chiederci se, considerati i tempi di cui sopra, il vaccino contro il Covid-19 sia realmente necessario. La risposta è affermativa. Perché? Perché tra 3 o 5 anni il Covid-19 – lo dobbiamo almeno sperare – non ci sarà più per dei motivi naturali, ma la base scientifica acquisita grazie alla ricerca del vaccino sarà molto utile alla umanità intera.
In terzo luogo, dobbiamo necessariamente diffidare di ogni vaccino creato in pochi mesi o anni. Infatti, nel peggiore dei casi un vaccino non testato attentamente può danneggiare la salute della persona. E nel migliore dei casi non farà alcun effetto medico, ma darà alla persona la pericolosa illusione della protezione dal coronavirus. La seconda opzione, al giorno d’oggi, speso vale anche per i guanti e le semplici mascherine. A questo punto, molto probabilmente, mi conviene sottolineare: io non sono un anivaccinista e non lo sono mai stato.
In quarto luogo, ricordiamoci di una cosa banalissima ma sempre vera: il vaccino non è una cura. Quindi è utile solo se fornita alla persona ancora sana ma desiderosa di prevenire la malattia. Alle persone già affette dal coronavirus servirebbero altri farmaci.
A questo punto dovrei scrivere una specie di conclusione, una frase risolutiva. Ma io non ce l’ho quella frase.
Quindi, semplicemente, vi invito a non dare troppa attenzione né alla gente isterica né agli ottimisti spensierati. La serenità ci aiuterà a superare tutte le prove.
No, non ho deciso di dedicare tutto il mio blog a un unico argomento. È la vita che attuale che ha una fantasia un po’ scarsa. Quindi leggete pure…
Di colpo, le mascherine chirurgiche sono entrate a far parte dell’insieme dei beni di prima necessità. E, di conseguenza, gli sviluppatori delle nuove tecnologie si sono interessati anche a questi oggetti.
L’istituto tecnologico israeliano Technion ha creato il prototipo di una mascherina chirurgica che si autodisinfetta. Lo strato interno di questa mascherina è realizzato in fibra di carbonio. Quando la mascherina viene collegata, tramite un cavo USB, a una presa di corrente 5V 2A, la fibra si scalda fino ai 65–70°C. Si sostiene che questo sarebbe sufficiente per la eliminazione fisica dei microrganismi patogeni «residenti» sulla mascherina. Verrebbe dunque ucciso anche il COVID-19.
In questo modo la mascherina diventa dunque multiuso.
Attualmente si sta cercando il modo di avviare la produzione di massa di queste mascherine. E io spero tanto che la produzione parta presto: mi sono un po’ rott stancato di trattare con l’alcol le mie mascherine monouso ahahaha
P.S.: ancora più forte è la mia speranza di vedere ridurre – presto e fortemente – gli obblighi sull’utilizzo delle mascherine. Ma, purtroppo, il mondo è governato dalle persone che preferiscono i semplici effetti visivi agli interventi medico-sanitari seri e impegnativi.
Il post odierno ha ben due obiettivi: svelare un grande segreto e comunicare una cosa banalissima ai miei cari lettori.
Il grande segreto che nessuno vi avrebbe mai raccontato consiste nel fatto che a un normale essere umano che cammina con una mascherina chirurgica regolarmente indossata si appannano gli occhiali. Di conseguenza, se incontrate per strada una persona con gli occhiali che tiene la mascherina solo sulla bocca, non pensate che si tratti di un idiota. Probabilmente, quella persona vuole solo vedere dove sta andando.
Un avviso importante: non invito nessuno a indossare male la mascherina. Negli ambienti chiusi e nelle aree pubbliche affollate – qualora siano non evitabili – conviene calcolare bene il percorso prima di coprirsi con la mascherina e/o togliere gli occhiali. Questi ultimi, comunque, costituiscono un ulteriore strumento di protezione individuale.
La cosa banale promessa, invece, è quasi una confessione. Fino a qualche settimana fa non mi ero mai posto una semplicissima domanda: qual è il lato superiore di una mascherina chirurgica? Intendo: la parte azzurra (o verde) è rivolta verso l’esterno, ma qual è il lato lungo che deve trovarsi sotto gli occhi?
Ebbene, finalmente avevo scoperto che il lato superiore è quello con una striscia rigida. Quella striscia andrebbe schiacciata con una mano per prendere la forma del volto a cui deve aderire bene. Può essere fatta in uno dei due modi. Il primo è questo:
E il secondo è questo:
In ogni caso, penso che avrebbe senso stampare una freccia (o un altro tipo chiaro di indicatore) sulle mascherine. Tale misura utile non comporterebbe un aumento catastrofico dei costi di produzione.
Nei giorni scorsi ho letto di un semplice e curioso gioco destinato agli amanti dei romanzi «Le due torri» e «Il Silmarillion». Si tratta di 24 domande, ognuna delle quali chiede di stabilire se si tratti di un personaggio di J. R. R. Tolkien o di un antidepressivo.
Spero tanto che tra i miei lettori gli esperti dei farmaci siano in minoranza.
Il post di oggi è dedicato alla esperienza della recente quarantena italiana. Chi non ha più le forze morali per leggere ulteriori testi sull’argomento del COVID-19, salti pure questo testo. Non mi offendo. Vi capisco benissimo.
Io, intanto, elenco molto brevemente alcune mie considerazioni di basso contenuto intellettuale.
1. Sì, pure io sono curioso di vedere le statistiche delle separazioni nelle prossime settimane e delle nascite di dicembre 2020 / gennaio 2021. A marzo mi era già capitato di leggere della impennata delle separazioni in Cina. Per le nascite in Cina e per entrambi fenomeni in Italia le notizie interessanti mi sembrano inevitabili.
2. Le statistiche non di minore importanza, ma più veloci da ottenere sono quelle che riguardano i furti in casa. Vorrei vedere i valori di marzo/aprile 2020 e il loro confronto con i valori dei mesi e anni precedenti (per ora ho visto solo dei dati parziali e generici come questi). Perché mi sa tanto che una grossa quantità di «professionisti» era rimasta senza lavoro. Vorranno recuperare?
3. Altrettanto interessante sarebbe vedere una ricerca sociologica sulla quantità delle persone che fino alla fine di febbraio 2020 pianificavano di andare in pensione a breve, ma dopo la chiusura in quarantena hanno cambiato idea. Perché, effettivamente, si tratta di un trailer un po’ terrificante.
4. Dubito che una quantità consistente degli antivaccinisti convinti ritrovi la salute mentale. Certe persone non sono recuperabili. Ma spero di sbagliami.
5. Pare che almeno la prima puntata (stagionale) della emergenza stia per passare, ma io sto ancora cercando di minimizzare l’uso dei mezzi pubblici. Non perché sono allarmato/impaurito – non lo sono stato nemmeno nei momenti peggiori! – ma perché nel corso dei lunghi due mesi passati in quarantena sono visibilmente ingrassato. Oltre al fattore estetico negativo è anche una potenziale minaccia per la salute, quindi sto cercando di camminare ancora più del solito. Invito i miei lettori a fare lo stesso.
6. La prossima volta (spero che non ci sia!) che ci capita di finire in quarantena, ricordiamoci che quelle del cibo non sono le uniche scorte necessarie. A differenza di alcuni miei amici e conoscenti, io ho imparato già anni fa a leggere i libri in formato digitale e ho dunque evitato almeno uno dei tanti problemi. Però, per esempio, la chiusura della Brico e negozi simili mi ha impedito di vivere la quarantena con l’utilità ancora più grande. Ne vanno tratte le giuste conclusioni.
7. Probabilmente avrebbe senso ragionare sulla opportunità di introdurre nelle scuole una materia obbligatoria che potremmo chiamare «Le basi medico-sanitari». Sicuramente scriverò un post a parte sull’argomento, mentre ora mi limito a precisare che l’educazione sessuale non è l’unico tema che debba essere affrontato nella suddetta materia. Dovrebbero essere approfondite e conservate nelle teste degli umani tutte quelle nozioni che molte persone hanno dovuto imparare un po’ in fretta nel corso dell’ultima epidemia. La materia sarà utile anche per scacciare dalle teste certe conoscenze mediche false che ho letto e sentito in abbondanza negli ultimi due mesi e mezzo. Si riuscirebbe a minimizzare non solo i danni delle epidemie, ma pure il fastidiosissimo panico tra la popolazione.
Ho scoperto un progetto bello, che a qualcuno potrebbe sembrare angosciante. La mappa della diffusione mondiale del coronavirus cinese, aggiornata in tempo reale: https://gisanddata.maps.arcgis.com/apps/opsdashboard/index.html?fbclid=IwAR02yFNGbySDIzfdZ-MDrgoRRuT5nJFl_c6Muocm9G2x5Zzrv3ukSgvqnhQ#/bda7594740fd40299423467b48e9ecf6
Possono essere visualizzate la mappa e le varie tipologie di dati.
Il sito non respira, quindi aprite con serenità.
Tutti sanno dell’effetto placebo: si verifica quando consumando, per esempio, una pillola vuota la persona si sente meglio solo perché è convinta che quella pillola faccia bene alla salute. L’effetto placebo è sfruttato da due industrie potentissime: quella omeopatica e quella degli integratori alimentari.
Nella fase dei test di una nuova medicina alla metà dei pazienti viene data la medicina testata e all’altra metà il placebo. Se la medicina testata dimostra un risultato migliore, può essere considerata efficiente. Allo stesso tempo l’effetto placebo funziona su circa il 20% dei pazienti partecipanti al test: tantissimi.
Non tutti sanno che esiste anche l’affetto nocebo. Esso è l’opposto di placebo e ha la stessa natura: l’autosuggestione. Le persone si sentono peggio anche se nella «medicina» che hanno preso non è contenuto alcunché di dannoso. Semplicemente si aspettavano di sentirsi male.
Nella vita quotidiana vedo tantissime persone convinte di essere intolleranti a qualcosa, non solo alle sostanze farmacologiche. E non solo alle sostanze.