L’archivio del tag «kazakistan»

Il deficit del carburante

La Reuters scrive che la Russia ha chiesto al Kazakistan di essere pronta a fornirle 100.000 tonnellate di benzina in caso di carenza di carburante in seguito agli attacchi dei droni ucraini e alle interruzioni del lavoro delle raffinerie di petrolio.
Io non so ancora cosa e come risponderà il Kazakistan che politicamente è sempre più vicino alla Cina (la quale, a sua volta, preferisce avere i buoni rapporti con i mercati occidentali che con la Russia in guerra) che alla Russia. Quindi nel frattempo ammiro il grafico che illustra l’impatto degli attacchi ucraini alle raffinerie russe.

La parte scura del «barile» in basso a sinistra è la produzione del carburante russo (in milioni di tonnellate) dopo tutti gli attacchi ucraini, mentre la parte chiara è quella prima di tutti gli attacchi.
P.S.: ovviamente, capite che il carburante serve anche per condurre la guerra.


La lettura del sabato

La lettura consigliata per questo sabato è l’inchiesta congiunta di Important Stories, Der Spiegel e OCCRP dedicata al modo in cui la Russia aggira le sanzioni occidentali acquistando ogni mese droni e microelettronica per milioni di dollari attraverso il Kazakistan.
Per esempio, gli autori dell’inchiesta hanno scoperto che le importazioni di microelettronica del Kazakistan sono più che raddoppiate dopo l’inizio della guerra, passando da 35 a 75 milioni di dollari. Le esportazioni kazake di microchip verso la Russia sono aumentate di due ordini di grandezza in un colpo solo, da 245.000 dollari a 18 milioni di dollari…
Ma leggete tutta l’inchiesta: riguarda tanti aspetti dell’import militare russo effettuato attraverso il Kazakistan.


Le Yurte dell’Indistruttibilità

Intanto nelle città ucraine hanno iniziato a comparire le cosiddette «Yurte dell’Indistruttibilità»: la prima è stata aperta il 6 gennaio a Bucha, la seconda ieri nel Parco Shevchenko di Kiev. In entrambi i casi si tratta di una abitazione mobile – in sostanza una grossa tenda – usata da molti popoli nomadi asiatici: mongoli, kazaki e kirghisi etc. In Ucraina tali yurte vengono installate come luoghi in cui scaldarsi, bere tè e ricaricare i gadget in caso di interruzione della corrente elettrica in città. Le tende vengono costruite dai volontari della diaspora kazaka locale; ufficialmente, le yurte rimarranno aperte fino alla fine delle gelate invernali.

Sono ovviamente contento per l’impegno dei kazaki, ma l’aspetto ancora più curioso è la posizione ufficiale del governo russo in merito. Secondo la dichiarazione della portavoce del Ministero degli Esteri, infatti, si tratterebbe di un atto di inimicizia del Kazakistan nei confronti della Russia che metterebbe a rischio il rapporto tra i due Stati… Ed ecco che abbiamo avuto una nuova conferma del fatto che la guerra putiniana ha per l’obbiettivo principale la battaglia contro la popolazione civile ucraina.
Concludo con alcune altre immagini: Continuare la lettura di questo post »


Fidarsi del vicino

Alla fine della settimana scorsa una notizia è passata ingiustamente inosservata:

Il venerdì 27 agosto la Commissione per l’Industria della Difesa del Kazakistan ha approvato la proposta del Ministero dell’Industria e dello Sviluppo delle Infrastrutture di sospendere le esportazioni di armi fino alla fine di agosto 2023.

Non so voi, ma io non riesco a vedere questa decisione fuori dal contesto internazionale corrente. Il Kazakistan – come probabilmente avete sentito – ha un vicino un po’ aggressivo e allo stesso tempo sempre più bisognoso di armi e munizioni. E mi sembra di capire che il Kazakistan non sia tanto entusiasta di essere un suo potenziale «alleato» o complice. Tenete in mente anche questo segnale quando leggete o sentite parlare dei rapporti interstatali in quella zona.


Le proteste in Kazakistan

In molti hanno già letto o sentito che in Kazakistan le proteste economiche si sono presto trasformate in quelle politiche. E, soprattutto, sono diventate abbastanza pesanti.
Di conseguenza, direi che in questo momento sono due gli aspetti da capire su quanto sta succedendo.
Inizierei dall’aspetto economico. Per tantissimi anni, praticamente dal momento della caduta dell’URSS, il Governo kazako conteneva i prezzi del gas in un modo puramente amministrativo: lo vendeva alla popolazione a un prezzo basso, sensibilmente più basso di quello di mercato. Nel 2021, però, si è reso conto di non poter più sostenere questa spesa e ha deciso di vendere il gas – a partire dal 1 gennaio 2022 – sul mercato. Di conseguenza, il prezzo del gas è volato verso l’alto sulle borse. La popolazione kazaka, da parte sua, si è sentita duramente colpita anche perché molte persone avevano trasformato le proprie auto in modo da alimentarle a gas. Inoltre, naturalmente, l’aumento dei costi di trasporto delle persone e delle merci incide sul portafogli anche di quelle persone che non hanno alcun mezzo motorizzato proprio.
In cosa consiste l’errore più grande del Governo? Probabilmente nel fatto di avere liberalizzato i prezzi «di colpo». Perché quel colpo unico è stato troppo sensibile.

E poi c’è da capire l’aspetto politico. Non posso prevedere quanto dureranno le proteste popolari e a quali risultati porteranno. Però posso osservare già ora che i successori politicamente fidati di Nursultan Nazarbaev (che ha governato il Kazakistan in prima persona dal 1990 al 2019) si sono approfittati della situazione creatasi per destituire la guida storica da quei pochi incarichi formali che Nazarbaev si era tenuto dopo avere lasciato – per motivi di età e salute – quelli principali. I cittadini kazaki ragionevolmente non fanno molta distinzione politica tra Nazarbaev e il presidente attuale Toqaev e, evidentemente, non vorrebbero limitarsi a far cadere solo la statua del primo. Però c’è uno grosso Stato vicino (si trova al nord rispetto al Kazakistan), dove al governo si trova una persona attualmente molto preoccupata. Preoccupata perché vede cosa succede quando il potere viene lasciato alle persone incapaci di controllare costantemente la situazione politica nel Paese: i problemi iniziano arrivare non solo dal popolo, ma anche dal fronte dei colleghi politici. In sostanza, Kazakistan sta dando un «brutto» esempio, quell’esempio andrebbe in qualche modo eliminato prima che diventi ancora più «brutto».
Di conseguenza, si smetta di preoccuparsi per la sorte della Ucraina: all’est sta nascendo un’altra situazione critica.
Io, nel frattempo, faccio i miei complimenti ai protestanti kazaki: hanno già dimostrato di fare parte di una società viva e politicamente attiva.


Un’altra vittoria attesa

Come avete probabilmente sentito da qualche parte, la domenica 9 giugno in Kazakistan si sono tenute le elezioni del nuovo Nazarbaeyev presidenziali. Kassym-Jomart Tokayev – il candidato sostenuto dall’ex presidente Nursultan Nazarbaeyev – ha vinto con appena il 70% dei voti. Si tratta del risultato peggiore di sempre per un presidente kazako: Nazarbaeyev in 30 anni di potere solo una volta era sceso sotto il 90%.
Il principale concorrente del vincitore, Amirjan Qosanov, ha preso il 16,02% dei voti ed è il miglior risultato di sempre per l’opposizione kazaka.
A questo punto devo precisare una cosa importante. Qualora vi dovesse capitare di leggere qualcosa sulle elezioni kazake, non credete a quei giornalisti occidentali che parlano di una catastrofe elettorale per il «clan» di Nazarbaeyev. Anzi, sappiate che il scrivente è un ignorante. Infatti, l’Asia, molto spesso, si misura non con i numeri ma con dei principi e tradizioni. Per esempio, non si può mostrare di avere più forza (fisica, morale, politica etc) del capo anziano. Di conseguenza, se Tokayev avesse realmente raccolto il 100% dei voti, si sarebbe resa necessaria una falsificazione per difetto. Il risultato migliore del suo padre politico Nazarbaeyev è stato del 97,7% (nel 2015).

P.S.: Lo stesso principio vale anche per i risultati elettorali di Putin e di altri dirigenti russi.


La festa senza il contenuto

Non so come, ma all’epoca mi ero perso la notizia: nel novembre del 2016 il Parlamento del Tagikistan escluse il 1° maggio dalla lista delle giornate festive non lavorative. Si tratta di un caso incredibile e unico nel quale tutto il mondo dovrebbe prendere l’esempio da uno Stato non particolarmente distinto per il benessere dei lavoratori (Tagikistan è una delle fonti principali della manodopera non qualificata a bassissimo costo per la Russia).
Secondo l’ideologia grazie alla diffusione della quale divenne possibile l’esistenza stessa della Festa del lavoro, è proprio nel lavoro che un essere umano si realizza, si forma, si guadagna il proprio posto nella comunità. È una visione della realtà parziale, ma condivisibile. Proprio per questo trovo assolutamente illogico privare le persone del lavoro esattamente nella data in cui esso si festeggia.
Il 1° maggio deve essere sempre e per tutti una giornata lavorativa. Anche quando cade di domenica. Per cazzeggiare (o sognare di poterlo fare) ci sono tutti gli altri giorni dell’anno.

P.S.: in Kazakistan a partire dal 1996 ogni 1° maggio si festeggia non la Festa del lavoro, ma la Festa della unità del popolo di Kazakistan. Il nome della nuova festa è una pesantissima presa in giro politico-sociale, ma ne parlerò, prima o poi, in un testo apposito.


Aggiorniamo le mappe

La vita politica kazaka scorre regolarmente anche dopo l’evento epocale di ieri.
Oggi il Parlamento del Kazakistan ha approvato all’unanimità la rinomina della capitale Astana. Il nuovo nome della città è — sorpresa! — Nursultan.
Colgo l’occasione per ricordare ai miei lettori fantasiosi che in Russia esiste già una città di nome Vladimir: si trova a 176 km a est di Mosca, ha circa 357 mila abitanti e oltre mille anni di storia.
Ma, come spesso capita, c’è sempre una speranza per tutti. La dimostrazione geografica di questa tesi è semplice: in Russia esiste già la città Velikij Novgorod (il nome si traduce come «Novgorod la grande»), ma non esiste ancora un Velikij Vladimir.

P.S.: avrei voluto aggiungere anche le indicazioni stradali verso qualche toponimo italiano di questo tipo, ma non ne ho trovati. Avrò cercato male…


Non preoccupiamoci per Nazarbaeyev

Le dimissioni del presidente kazako Nursultan Nazarbaeyev è un evento di portata simile a quella del pensionamento di un Papa… No, peggio: della inversione del movimento del Sole… No, ancora peggio: della sconfitta alle elezioni di Vladimir Putin… Insomma, la rappresentazione umana di uno Stato asiatico come il Kazakistan non può diventare un semplice (ma nemmeno speciale) pensionato.

Ma in realtà non dobbiamo preoccuparci. Dopo ben 30 anni alla presidenza Nazarbaeyev diventerà il dirigente a vita del Consiglio di Sicurezza del proprio Stato. Si è semplicemente stancato di giocare alla democrazia e si è scelto un posto sicuro, non soggetto agli intrighi invisibili al pubblico, e adatto all’esercizio effettivo del potere fino alla fine dei suoi giorni (ora ha 79 anni).
Ecco, è tutto qui. La eventuale analisi più profonda, discorsiva e piena di parole intelligenti verrà fatta nei prossimi giorni.


Un accordo buono

Come avete già molto probabilmente letto, ieri i cinque Stati che hanno l’accesso al Mar Caspio (Russia, Kazakistan, Azerbaijan, Iran e Turkmenistan) hanno firmato, dopo 22 anni di tentativi, un accordo sul suo status legale. Infatti, dal 1996 si discuteva su due questioni ritenute fondamentali da tutte le parti: i limiti delle acque territoriali e il passaggio dei gasdotti.
Il risultato dell’accordo è una convenzione che mi sembra sorprendentemente ben fatta. Se non dovesse essere tradotta in italiano entro la fine di settembre, proverò a occuparmene io (tanto non è lunga). Intanto comunico che è stato trovato il modo di stabilire la profondità delle acque territoriali (15 miglia) e le regole chiare sull’utilizzo del resto delle acque.
L’aspetto più curioso di questa storia è però un altro: dopo avere studiato la notizia, per ben due motivi ho pensato subito alla Cina. In primo luogo, la Russia ha dimostrato di poter essere più flessibile (e quindi più «producente») dal punto di vista diplomatico: la Cina non riesce a risolvere da decenni la questione del Mar Cinese Meridionale solo a causa della propria l’avidità (ma un po’ anche per quella posizione di forza che le Russia non ha nei confronti dell’Iran). In secondo luogo, è evidente che la Russia stringe gli accordi territoriali veri solo con gli Stati che non può occupare militarmente (conosciamo degli esempi) o che non può proclamare in via unilaterale come dei propri alleati anti-occidentali (di fatto regalando dei ampi territori e costruendo dei oleodotti convenienti solo per la controparte: entrambe le cose sono successe nei rapporti russo-cinesi).
Qual è la conclusione che potremmo trarre dal capoverso precedente? C’è uno Stato molto esteso che è molto bravo solo in qualità di un attore locale.