Domani, il 20 ottobre, poteva essere il giorno del 90-esimo compleanno di Eddie Harris, un musicista jazz interessante, ma oggi ingiustamente dimenticato (secondo la mia impressione) dalle grandi masse: non lo sento nominare tanto spesso quanto diversi suoi colleghi famosi. Eddie Harris è morto nel 1996 all’età neanche avanzata di 62 anni, dunque la situazione non è certo destinata a migliorare da sola, senza una attività divulgativa delle persone come me.
Nel corso della propria carriera musicale Eddie Harris aveva suonato molti strumenti diversi: non solo i «tradizionali» sassofono, tromba o sassofono tenore, ma anche, per esempio, il sassofono elettronico, vibrafono e gli strumenti di invenzione propria (tromba ad ancia, sassofono con bocchino da trombone o una combinazione di chitarra e organo). Aveva inoltre suonato in più di un genere preciso – jazz, jazz-funk, soul e hard bop –, anche se questo è un tipo di varietà un po’ meno raro rispetto alla molteplicità degli strumenti.
Ecco, non so quanto senso abbia tentare di rispecchiare tutta la varietà della musica di Eddie Harris in un solo post. Probabilmente, conviene fare diversi post tematici. E, dato che oggi scrivo solo il primo post della serie, lo dedico, banalmente, ai due dei brani più famosi di Eddie Harris.
Il primo brano scelto per oggi è il «Freedom Jazz Dance» (dall’album «The In Sound» del 1966), poi suonato e pubblicizzato da Miles Davis.
Il secondo brano di Eddie Harris scelto per oggi è il «Listen Here» (lo possiamo trovare, per esempio, nell’album «Mean Greens» del 1966, ma in realtà Eddie Harris aveva registrato diverse sue versioni caratterizzate dall’uso di strumenti musicali diversi: si potrebbe farne un post musicale a parte).
Per iniziare, potrebbe anche andare bene così…
L’archivio del tag «jazz»
È già la seconda volta nella storia della mia rubrica musicale che scrivo della stessa canzone (la prima era capitata nel 2019), ma la «protagonista» merita di essere ricordata… Anche perché di recente ho fatto una piccola scoperta in materia.
Quasi 60 anni fa – anche se i ventidue giorni di differenza ormai possono essere sacrificati con l’arrotondamento –, il 5 settembre 1964 The Animals raggiunsero il primo posto nelle classifiche statunitensi con la loro versione della canzone «The House of the Rising Sun». Ho scritto versione perché esistono molte versioni della canzone con trame completamente diverse. In tutte le versioni, il protagonista racconta la storia di come ha rovinato la propria vita nella casa del «Sol Levante». Il protagonista o, addirittura, la protagonista della canzone, come nella versione originale del folklore. La «Casa del Sol Levante» è intesa da alcuni come un bordello, da altri come una prigione, da altri ancora come un pub o una casa da gioco.
L’interpretazione più plausibile della suddetta espressione è quella di David Kenneth Ritz «Dave» Van Ronk (30 giugno 1936 – 10 febbraio 2002), un cantante folk americano e una grande autorità della scena newyorkese degli anni ’60:
Come tutti, pensavo che «casa» significasse bordello. Ma qualche tempo fa mi trovavo a New Orleans per un festival jazz. Mia moglie Andrea, Odette e io stavamo bevendo un drink in un pub quando si presentò un ragazzo con una pila di vecchie fotografie, istantanee della città di inizio secolo. Insieme al French Market, alla Lulu White’s Mahogany Hall, alla dogana e simili, c’era una foto dell’ingresso in pietra grezza, con un’immagine incisa del sole nascente al centro. Incuriosito, chiesi che tipo di edificio fosse. Si è scoperto che si trattava della prigione femminile di New Orleans. Quindi, a quanto pare, mi sono sempre sbagliato«.
Stando al testo, dunque, la canzone era originariamente cantata da una donna.
A questo punto, posso fare due cose. Prima di tutto, posto ancora una volta la famosa versione della canzone cantata dai The Animals:
E poi, trovo logico postare qualche interpretazione femminile della «The House of the Rising Sun». Per esempio, quella di Jodi Miller (facente parte del suo album «The House of the Rising Sun» del 1973):
Oppure la versione del gruppo Continuare la lettura di questo post »
Nel 1930 due amici universitari della Indiana University Bloomington – anche se ormai laureati da un po’ – Hoagy Carmichael e Stuart Gorrell scrissero la famosa canzone «Georgia on My Mind». Carmichael suonò, a una festa dove entrambi furono presenti, la melodia da poco composta, mentre Gorrell decise a quel punto di scriverne le parole. Dopo una notte di lavoro congiunto, la canzone fu pronta. Per Carmichael si trattò solo di una delle tante canzoni jazz famose composte nel corso della carriera musicale; per Gorrell, invece, si trattò dell’unico testo di una canzone scritto (o, per lo meno, reso pubblico) nella vita (divenne un banchiere impegnato solo nel proprio ambito professionale originale).
Quell’unica canzone nata dalla collaborazione dei due amici – la «Georgia on My Mind», appunto, – non solo divenne famosa, ma ha anche conservato la propria popolarità nel corso dei decenni. Il nome Georgia può essere interpretato in due modi diversi – come il nome dello Stato americano e come un nome femminile –, ma il 24 aprile 1979 la canzone è diventata pure l’inno ufficiale dello Stato americano di Georgia…
Però nel contesto di questo post musicale sono principalmente interessato a mostrare in quali modi la canzone è stata interpretata dai vari musicisti bravi e famosi. Ovviamente, non posto tutte le interpretazioni esistenti (sono diverse decine), ma solo quelle che mi hanno incuriosito maggiormente in questo momento storico (si tratta dunque di una scelta dettata dall’umore e dal momento).
Inizierei dalla interpretazione della «Georgia on My Mind» registrata dall’autore stesso – Hoagy Carmichael con la sua Orchestra – e pubblicata il 6 gennaio 1931:
E ora passiamo alle interpretazioni registrate dagli altri musicisti nei decenni seguenti. Poco più di un mese fa mi era già capitato di postare quella più famosa di tutte, registrata da Ray Charles nel 1960, dunque ora metto l’interpretazione di un altro grande del jazz: Louis Armstrong (registrata nel 1957):
Una interpretazione interessante, non esattamente in stile jazz ma di un altro grande cantante: James Brown (pubblicata nel 1970):
Ma la «Georgia on My Mind» è stata cantata anche dalle donne. Ecco l’interpretazione di una grande voce jazz femminile: Ella Fitzgerald (pubblicata nel 1962):
In qualità del Bonus Track (perché il post sta diventando un po’ lungo per i miei standard) aggiungo una interpretazione Continuare la lettura di questo post »
Per qualche strano motivo non posto da un sacco di tempo le canzoni di Louis Armstrong… Il fatto che sia un genio è già sufficiente per farlo ascoltare, ma per pura, piccola e non tanto strana coincidenza è anche l’artista dalla musica del quale ho iniziato – quasi trent’anni fa – a scoprire il jazz. Quindi per me è un musicista speciale per più di un motivo.
Il primo brano che ho scelto per oggi è «When The Saints Go Marching In»
E poi aggiungo «You’ll Never Walk Alone»
Anche se è sempre difficile scegliere solo due esempi tra una infinità di quelli possibili.
Nella edizione odierna della rubrica musicale ho pensato di ricordare uno dei dischi più noti di Quincy Jones: il «Back on the Block» del 1989. Alla creazione dell’album parteciparono tanti musicisti e cantanti bravi e famosi, ma io – da tradizione che ho creato da solo – seleziono solo due brani.
Il primo brano di oggi è il «The Secret Garden (Sweet Seduction Suite)», al quale parteciparono Al B. Sure!, James Ingram, El DeBarge e Barry White:
E il secondo brano di oggi, sempre dallo stesso album, è il «Birdland»:
Oggi mi andava così.
Nel tentativo di selezionare qualcosa di leggero, ma allo stesso tempo anche di buona qualità, ho pensato che per il post musicale di questo sabato possa andare bene la collaborazione dei due classici del jazz: il chitarrista George Benson e il compositore-pianista Joe Sample.
Prima di tutto metto il brano «Deeper Than You Think»:
E poi aggiungo il brano «Lately»:
Spero che abbiano portato un po’ di serenità anche a voi.
Il musicista e compositore jazz statunitense Pee Wee Ellis è diventato noto per la sua partecipazione, negli anni ’60, della James Brown’ band. Ma pure negli oltre quarant’anni della propria carriera musicale successiva ha composto, suonato e registrato tanta musica interessante. È certamente impossibile farne un riassunto valido in un solo post, quindi tento di fornire solo due esempi belli.
Il primo brano scelto per oggi è lo strumentale «The Chicken», pubblicato nel 1969 sul lato B del singolo «The popcorn» di James Brown:
Il secondo brano di oggi è «Bon Bonn» (dall’album «Tenoration» del 2011), pubblicato ormai verso la fine della carriera musicale di Pee Wee Ellis:
È uno dei musicisti ai quali, molto probabilmente, tornerò ancora e più di una volta.
Il compositore e pianista statunitense Bob James mi piace per il suo jazz molto tranquillo e allo stesso tempo tecnicamente di alta qualità.
La sua composizione «Angela» è largamente nota…
Ma non tutti conoscono, per esempio, questa sua interpretazione (ne ha fatte anche altre con musicisti diversi) del brano «Feel Like Making Love»:
In generale, la musica suonata da Bob James si adatta a molte situazioni della vita.
Gordon L. Goodwin è uno dei più noti e apprezzati musicisti jazz dei giorni nostri. Diversi miei lettori potevano avere sentito – molto probabilmente senza accorgersene – la musica di Goodwin in almeno uno dei numerosi film nei quali è stata utilizzata.
Io oggi provo a pubblicizzare questo bravo artista pubblicando due brani dall’album «XXL» (del 2003) del gruppo Gordon Goodwin’s Big Phat Band.
Il primo brano scelto per oggi è «High Maintenance»:
E il secondo brano di oggi è «Hunting Wabbits»:
Secondo me al giorno d’oggi l’intero jazz andrebbe pubblicizzato, soprattutto tra gli ascoltatori relativamente giovani, quindi sono particolarmente contento di farlo con l’"aiuto" di un grande. Anche se capisco che a qualcuno potrebbe sembrare un genere musicale un po’ difficile…
«Help!», una delle canzoni più note de The Beatles, è stata pubblicata per la prima volta il 19 luglio del 1965 negli USA e il 23 luglio 1965 in UK. John Lennon avrebbe scritto il suo testo per dare uno sfogo allo stress accumulato «per colpa» di una crescita troppo veloce della popolarità del gruppo.
Come tutte le canzoni famose, anche la «Help!» è stata successivamente interpretata da diversi gruppi e artisti. Per esempio, è particolarmente strano sentirla nella interpretazione dei Deep Purple (che l’hanno inclusa nell’album «Shades of Deep Purple» del 1968). Rispetto all’originale, questa versione della canzone è più lenta. E solo nella seconda metà si riconoscono veramente i Deep Purple.
Tra le altre versioni più o meno anomale della «Help!» io sceglierei quella strumentale in stele jazz della orchestra di Count Basie (inclusa nell’album «Basie’s Beatle Bag»). Bella, anche se per molti poco abituale…
E poi esistono tante altre versioni che sarete capaci, volendo, di trovare anche da soli.