I giornalisti de The Times hanno parlato con Volodymyr Pikuzo, l’ex capo del dipartimento marketing di Ukrspetseksport (il più grande esportatore di armi dell’Ucraina) e l’attuale capo dell’Agenzia per gli acquisti della difesa dell’Ucraina. Nella intervista Pikuzo racconta, con diversi esempi, che dall’’inizio della grande guerra in Ucraina il prezzo di alcuni tipi di armi e munizioni corrispondenti allo standard sovietico sul mercato mondiale è aumentato più volte e continua a crescere. Perché, appunto, quelle munizioni sono fortemente ricercate sia dall’esercito ucraino che da quello russo.
Tutti gli interessati saranno sicuramente capaci di leggere l’intera intervista (se non lo hanno ancora fatto), mentre sto ancora cercando una spiegazione a un suo passaggio.
Nel contesto dei prezzi aumentati grazie alla domanda alta, alla corruzione e agli schemi difficilmente classificabili, Pikuzo dice pure che alcuni produttori europei degli armamenti si rifiutano di avviare nuove linee di produzione, adducendo i costi elevati e la non-redditività. Ehm… in che senso? Hanno «paura» che la guerra duri poco? O che finiscano presto gli aiuti finanziari alla Ucraina? O che l’esercito ucraino passi interamente all’utilizzo degli armamenti della NATO? (vendere legalmente alla Russia non è possibile, quindi non la prendiamo in considerazione) Oppure sanno qualcosa che non so io?
So solo che in tutti i casi avrebbero potuto chiedere delle garanzie agli Stati europei per garantire, per esempio, i prezzi «bassi o bloccati» che permetterebbero risparmiare gli aiuti europei alla Ucraina…
Ah, no, mi dimenticavo: l’efficienza non è un vizio della burocrazia.
L’archivio del tag «guerra»
In queste cose non esiste il «troppo tardi»: questa settimana «Mediazona» ha finalmente pubblicato un’inchiesta sulla tanto sbandierata (da parte di sapete chi) «efficacia» della PMC Wagner. Utilizzando l’esempio concreto dello studio delle perdite subite durante i tentativi di conquistare il Bakhmut ucraino, l’articolo mostra ciò che prima si sapeva, in generale, solo da voci e dati sparsi: Prigozhin ha semplicemente (e secondo la vecchia tradizione russa) ammassato il fronte di carne da macello.
Come spesso accade in questi casi, la procedura di indagine in sé non è meno interessante del suo risultato.
Il canale televisivo britannico Sky News comunica che ieri un aereo militare ucraino ha per la prima volta colpito, in un modo mirato, un obiettivo in territorio russo. Secondo la fonte di Sky News, sarebbe stato colpito un posto di comando nella regione di Belgorod. Non è ancora chiaro che tipo di munizioni siano state utilizzate nell’attacco, né se si tratti di armi occidentali (l’uso delle quali è stato finalmente in parte autorizzato).
Ma, dato che l’analisi dei danni sarà eseguita dalle autorità russe – quelle capaci di trovare sul posto qualsiasi cosa, anche le impronte digitali di Zeus –, per noi sarà un po’ difficile sapere con certezza (per ora, solo per ora!) quali armi siano realmente usate. Di conseguenza, possiamo compiere un passaggio logico accessibile anche alla mente di un non-esperto militare. Possiamo constatare un effetto positivo inatteso della autorizzazione di colpire il territorio russo con le armi di produzione occidentali: l’esercito ucraino, evidentemente, si sente meno costretto a risparmiare «le altre» armi precedentemente utilizzate solo sul suo territorio. Perché, evidentemente, le armi sono a volte «interscambiabili».
Boh, vedremo…
Il giovedì di questa settimana c’è stato uno degli anniversari più particolari legati alla guerra in Ucraina: il 6 giugno 2023, nella parte della regione di Kherson annessa dalla Russia è stata distrutta la diga della centrale idroelettrica di Kakhovskaya. Dopo il crollo della diga della centrale le acque impetuose del Dnepr hanno inondato circa 80 centri abitati nelle regioni di Kherson e Mykolaiv. Le parti ucraina e russa si sono accusate a vicenda del disastro ecologico e umanitario. La distruzione della diga ha provocato non solo l’inondazione di città e villaggi a valle della centrale di Kakhovskaya lungo il Dnepr, ma anche l’inondazione di luoghi a monte, nella regione di Zaporizhzhya. Poco prima del primo anniversario di tale evento, il fotografo ucraino Pavlo Korchagin si è recato nella regione di Zaporizhzhya per mostrarci come il suo paesaggio sia cambiato un anno dopo il disastro.
Sulla pagina con le foto in questione tutte le immagini sono cliccabili per essere meglio visibili. E lo meritano.
Nella intervista all’ABC News Joe Biden ha dichiarato che gli Stati Uniti non hanno autorizzato l’Ucraina a usare le armi statunitensi per colpire in profondità (oltre 200 miglia, cioè circa 320 chilometri) il territorio russo (e, in particolare, Mosca e il Cremlino).
Ovviamente, come è già successo con la fornitura tardiva dei vari tipi degli armamenti, si tratta solo di un limite che prima o poi verrà superato. Prevedo che il primo, dal punto di vista cronologico, limite superato sarà l’autorizzazione di colpire ogni tipo di obbiettivo militare sul territorio russo (per esempio, per ora non si potrebbe colpire i «parcheggi» degli aerei militari russi, ma prima o poi anche questo sarà autorizzato). Successivamente, quando lo Stato russo sarà costretto a portare le proprie basi – quelle impegnate nella fornitura del materiale bellico alla guerra in Ucraina – sempre più verso i territori interni (per salvarsi dall’uso «vicino» delle armi occidentali da parte della Ucraina), verrà aumentata la profondità massima autorizzata dell’utilizzo delle armi occidentali. Non so se si arriverà ad autorizzare i colpi su Mosca, ma per il resto la tendenza mi sembra ovvia.
La grande domanda numero uno: Putin se ne rende conto? (Non escludo la grande risposta negativa.)
La grande domanda numero due: qualcuno avrà il coraggio di dirlo a Putin? (Anche in questo caso non escludo la grande risposta negativa.)
È spesso bello leggere delle notizie complementari. Per esempio…
La notizia № 1. I caccia F-16 che le autorità olandesi stanno per trasferire in qualità dell’aiuto militare all’Ucraina, potranno essere utilizzati per colpire obiettivi sul territorio della Russia. Il ministro della Difesa olandese Kajsa Ollongren lo ha dichiarato in una intervista a «Politico» durante il vertice del «Dialogo di Shangri-La» a Singapore.
La notizia № 2. Il Ministero degli Esteri russo ha esortato gli Stati Uniti a non commettere «errori di calcolo che potrebbero avere conseguenze fatali»: in questo modo Sergey Ryabkov, il vicecapo del Ministero degli Esteri russo, ha commentato la decisione degli Stati Uniti di revocare il divieto per l’Ucraina di utilizzare le armi statunitensi per colpire il territorio russo.
Ovviamente, in entrambi i casi si tratta degli obbiettivi (sul territorio russo) di rilevanza bellica: anche o almeno perché l’Ucraina non ha (e non ha mai avuto) delle risorse da sprecare. Il Ministero degli Esteri russo, invece, ha da sprecare almeno una risorsa: le dichiarazioni pubbliche. Infatti, se l’esercito russo dovesse realmente avere la possibilità tecnica di rispondere in un modo particolare, più forte, all’uso delle armi esteri sul territorio russo, perché non l’ha mai utilizzata «in anticipo»: per condurre una guerra di conquista ancora più efficace?
Però si vede che, con una certa ragionevolezza, hanno paura di questa riduzione dei limiti nell’uso delle armi…
Io non posso invitare a compiere passo nella evoluzione della guerra, ma capisco benissimo la sua utilità e la sua logica.
Come probabilmente sapete, all’inizio di maggio l’esercito russo ha iniziato una nuova offensiva contro la regione di Kharkiv, i bombardamenti sulla regione si sono notevolmente intensificati. Nello stesso periodo, in due o tre occasioni, Vladimir Putin ha dichiarato di «non essere interessato» a conquistare la città di Kharkiv. Ma anche se supponiamo che per qualche strano motivo abbia detto la verità, non possiamo escludere che voglia semplicemente distruggere anche quella (questa volta grande e importante) città ucraina.
Ed ecco che, nell’ambito della mia ormai tradizionale rubrica «la lettura del sabato», vi segnalo l’articolo composto dalle testimonianze dirette di tre abitanti di Kharkiv che raccontano come si vive ora in quella città. Le testimonianze delle persone comuni spesso sono più interessanti e dettagliate delle notizie prodotte dai giornalisti vaganti…
Oleksandr Syrsky, il comandante in capo dell’esercito ucraino, dopo un incontro online con il ministro della Difesa francese Sébastien Lecornu ha annunciato che la Francia invierà i suoi istruttori in Ucraina per addestrare i militari ucraini. Per fortuna o purtroppo, questa mi sembra l’unica realizzazione possibile delle parole di Macron di fine febbraio (quando aveva ammesso la possibilità di inviare truppe europee in Ucraina). «Per fortuna» perché è meglio di niente; «purtroppo» perché tale invio non aggiunge molto a quello che l’Ucraina ha già…
A meno che quegli istruttori francesi non accompagnino delle nuove tecnologie fornite, senza alcun comunicato pubblico, alla Ucraina.
Quello che mi sembra ovvio, per ora, è che per schiacciare l’esercito russo con la massa umana (una tattica militare apparentemente non tanto moderna) sul fronte ucraino, servirebbero diverse centinaia di migliaia di militari occidentali. Mi sembra di capire che nemmeno Macron abbia inteso una cosa del genere. Di conseguenza, non so ancora perché ci sia tanta ostilità nei confronti della sua idea di febbraio.
Il New York Times scrive, citando le «fonti nell’intelligence statunitense», che negli ultimi tempi i servizi di sicurezza russi sono sempre più attivi nel compiere delle operazioni di sabotaggio su piccola scala in Europa, come incendi dolosi o tentativi di incendio doloso. In qualità degli esempi vengono proposti l’incendio di un magazzino nel Regno Unito, di una fabbrica di vernici in Polonia, di un edificio in Lettonia e di un negozio IKEA in Lituania. Sebbene tali incidenti sembrino casuali, sono finalizzati a creare l’apparenza di un presunto crescente malcontento in Europa nei confronti del sostegno all’Ucraina e mirano a creare ostacoli alla fornitura di armi all’esercito ucraino (sostiene sempre il New York Times).
Se dovesse essere vero, non riesco proprio a capire quale effetto mediatico si conta di raggiungere con un comportamento così rischioso e costoso. Certo, i servizi russi da anni (se non decenni) cercano di giustificare i finanziamenti statali crescenti ricevuti imitando una attività super efficace, ma totalmente inutile dal punto di vista pratico. Questo potrebbe essere l’unico motivo reale degli episodi di sabotaggio menzionati.
Dall’altra parte, seguendo la stampa e i social italiani (e non solo quelli italiani) vedo che il malcontento europeo manipolato dall’esterno viene creato con molto più successo ed efficacia dalla propaganda russa e dal finanziamento dei movimenti politici di estrema destra (in realtà, secondo me, l’estrema sinistra segue molto più facilmente le stronzate della propaganda russa, ma lo Stato russo, per fortuna, non se ne rende conto). A questo punto non vedo perché si debba ricorrere al sabotaggio e, poi, intensificarlo.
Di conseguenza, la tesi propostaci dal New York Times dovrebbe essere studiata profondamente prima di essere accettata.
Oggi posto un video che mostra alcuni dei recenti attacchi con i droni ucraini alle raffinerie di petrolio russe. Il video in sé non sembra particolarmente originale: molto probabilmente avete già visto delle immagini del genere. La cosa interessante è che le autorità russe hanno definito alcune delle esplosioni filmate come dei risultati dei «giochi dei dipendenti con i petardi».
Per voi è una interpretazione credibile?
P.S.: avete abbastanza fantasia per immaginare un dipendente di una raffineria che gioca con i petardi sul posto di lavoro?