A volte sono le notizie più piccole a essere le più interessanti. Per esempio: nella città russa di Krasnojarsk un gruppo di truffatori ha sequestrato un residente locale di nome Viktor K., lo ha costretto con la forza a sposare una donna sconosciuta e poi, subito dopo, a firmare un contratto con il Ministero della «difesa» russo per andare in guerra con l’Ucraina. Il motivo economico della truffa consiste nel fatto che tutti i soldi – la somma per il fatto della firma del contratto (decine di migliaia di euro) e lo «stipendio» da combattente – vanno alla «moglie».
Ormai siamo alla fine di ottobre, quindi dalla data del sequestro del signore sono passati poco più di sette mesi. La sua sorte non mi è del tutto chiara (nel senso che non so nemmeno se sia ancora vivo), ma capisco che la truffa è di una efficacia altissima. Infatti, solo la vittima – la persona truffata – può legalmente presentare la denuncia e tentare l’annullamento del «matrimonio» e del contratto, ma fisicamente è impossibilitata di farlo: si trova al fronte e non verrà lasciata (come da prassi) ad andare a casa fino al «momento opportuno» (spesso significa «fino alla uccisione»).
Certo, qualcuno potrebbe chiedere perché il tipo ha messo tutte le firme richieste. Ma noi non sappiamo con certezza la quantità dei truffatori, la loro forma fisica e gli «argomenti» fisici e psicologici con i quali hanno «convinto» la vittima a fare quello che hanno chiesto di fare…
L’archivio del tag «guerra»
Gli economisti russi Sergey Aleksashenko, Vladislav Inozemtsev e Dmitry Nekrasov (politicamente giusti, lo garantisco io) hanno pubblicato la scorsa settimana un nuovo rapporto (quello dell’anno scorso, immagino, lo abbiate già letto). Questa volta si parla di cosa potrebbe succedere alla economia russa nei prossimi dieci anni, fino alla fine dell’attuale termine massimo del mandato presidenziale di Putin nel 2036.
Ora non pensiamo alla validità giuridica e/o alla probabile durata fisica di questo mandato, poiché di fatto Putin rimarrà sul trono finché vorrà / potrà. Ma è interessante e utile leggere l’ipotesi sullo stato della futura economia «putiniana». Ancora oggi incontro persone benintenzionate che fantasticano sul fatto che, dato che l’economia non va bene, Putin finirà presto i soldi per la guerra. In realtà, non è proprio così: il mondo, purtroppo, non funziona sempre come lo vorremmo noi.
Certo, a volte funziona, ma raramente.
Quindi il rapporto è una interessante variante di previsione. Leggetelo.
L’agenzia Reuters, citando un alto funzionario della Casa Bianca, scrive che l’incontro tra Trump e Putin a Budapest non è previsto «nel prossimo futuro». Trump sembra ritenere che entrambe le parti in guerra «non siano ancora pronte per i negoziati». In effetti, non si vede alcuna disponibilità: il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha dichiarato che gli appelli a un cessate il fuoco immediato in Ucraina sono in contrasto con gli accordi raggiunti in Alaska, come se in Alaska fosse stato raggiunto un accordo con l’Ucraina, la quale non era nemmeno rappresentata.
Nel frattempo, il ministro degli Esteri polacco Radosław Sikorski ha ammesso che se Putin volasse a Budapest attraverso la Polonia per incontrare Trump, il suo aereo potrebbe essere costretto ad atterrare e lui stesso (Putin) potrebbe essere arrestato su ordine della Corte penale internazionale: «Non possiamo garantire che il giudice indipendente non obbligherà il Governo a fermare tale aereo per consegnare l’indagato al tribunale dell’Aia». Ma Putin non sembra ancora scemo fino a quel punto: sicuramente non volerà sopra la Polonia, così come non volerà sopra altri Paesi dell’Europa orientale. Stranamente, non sorvolerà nemmeno la «fraterna Ucraina». Per esempio, Airlive ha mostrato quale potrebbe essere la rotta di volo di Putin per incontrare Trump in Ungheria:

In realtà, che Putin incontri Trump o meno, non fa alcuna differenza. Lo potete immaginar facilmente anche voi. Così come capite che Trump è in grado di cambiare idea sulla opportunità dell’incontro in qualsiasi momento e decidere di incontrare Putin anche il giorno dopo. E affinché qualcosa di positivo inizi ad accadere, deve succedere qualcosa di negativo all’aereo di almeno uno dei due. Nel caso ideale, all’aereo di una persona in particolare.
The Financial Times scrive che venerdì, durante l’incontro a porte chiuse alla Casa Bianca, Trump ha «rimproverato» Zelensky con urla e parolacce: lo ha avvertito che Putin, se lo volesse, potrebbe «distruggere» l’Ucraina e ha insistito che Zelensky cedesse il Donbass alla Russia. Secondo un funzionario europeo a conoscenza dei dettagli dell’incontro, la retorica di Trump ha in gran parte ripreso le tesi ben note di Putin.
Già da questa breve sintesi della notizia possiamo capire definitivamente che Trump non sa assolutamente nulla della guerra in Ucraina alla quale vuole tanto porre fine (ovviamente entro 24 ore, le quali inizieranno dopo le ennesime due settimane). Perché se sapesse qualcosa di questa guerra, si renderebbe conto dell’assurdità dell’affermazione secondo cui «Putin, se lo volesse, distruggerebbe l’Ucraina». Putin vuole distruggere l’Ucraina (e non solo essa), ma il suo esercito impiega mesi (e talvolta anni) di tempo, oltre a enormi risorse umane e materiali, per conquistare un singolo villaggio ucraino o una singola piccola città.
Trump potrebbe distruggere l’esercito di Putin semplicemente fornendo armi alle forze armate ucraine e dando un magico calcio motivazionale alla NATO, ma per qualche strano motivo non vuole farlo. Invece di diventare il vincitore dell’attuale male mondiale, preferisce essere un consumatore costante di tutta quella merda che Putin gli rifila nelle conversazioni telefoniche e personali. Ormai alla età avanzata che ha, ha fatto una scelta di vita assurda.
La ricetta geniale del Segretario Generale della NATO Mark Rutte: per mostrare la propria forza, bisogna lasciare il più grande delinquente internazionale di oggi a fare tutto quello che vuole.
Voi ci sareste mai arrivati a una idea del genere?
Certo che no, non ci è arrivato nemmeno Trump!
Su «Important stories» è uscito un interessante articolo su come la guerra militare speciale in Ucraina «curi» la mente dei personaggi che hanno volontariamente firmato un contratto con il Ministero della «Difesa» russo e sono andati a combattere. E su come, una volta «guariti», disertano dal fronte, a volte anche due volte.
L’articolo è interessante non solo come parte della cronaca di questa guerra cretina, ma anche perché mostra che l’espressione «meglio tardi che mai» a volte assume forme realmente estreme.
The Washington Post, citando i dati delle dogane cinesi, scrive che durante l’estate del 2025 le forniture alla Russia di cavi in fibra ottica e batterie agli ioni di litio, nonché di altri componenti per l’assemblaggio di droni provenienti dalla Cina, sono aumentate notevolmente. Così, per esempio, i volumi delle forniture di cavi in fibra ottica hanno raggiunto livelli record prima a maggio (la lunghezza totale dei cavi era di circa 191 mila chilometri), poi a giugno (circa 209 mila chilometri) e ad agosto questa cifra è salita a 528 mila chilometri. In Ucraina, invece, secondo gli ultimi dati disponibili, ad agosto sono stati venduti solo 116 chilometri di cavi.
Un lettore poco attento potrebbe chiedersi se la Cina non ha paura delle sanzioni internazionali per il proprio contributo alla aggressione militare o, almeno, della scontentezza ancora più forte di Trump. In realtà, però, non è una domanda da fare. In primo luogo, perché è abbastanza inutile temere Trump: introduce e disdice le sue famose «tariffe» senza una particolare logica e indipendentemente dal comportamento dello Stato colpito. In secondo luogo, a fornire il suddetto materiale alla Russia sicuramente sono delle aziende finte: aperte appositamente per l’occasione e facilmente sostituibili in qualsiasi momento da altre aziende altrettanto finte. Quindi la Cina, per ora, ragionevolmente (purtroppo) non vede alcun motivo a non guadagnare qualcosa pure la guerra di Putin in Ucraina.
Ieri il Parlamento europeo ha invitato – con una risoluzione, quindi in via informale – i Paesi-membri dell’UE ad abbattere le minacce aeree che violano illegalmente i loro confini. Con quella espressione abbastanza particolare si intendono prima di tutto i droni russi che volano in un modo provocatoria sopra l’Europa.
Significa che ormai non solo la Presidente, ma pure il Parlamento si è avvicinato notevolmente alla comprensione del fatto di essere in guerra, che quella guerra è contro l’Europa. Ma è stato necessario vedere appena qualcosa con i propri occhi.
Ma ora aumenta il rischio di vedere realizzarsi proprio quello che Putin voleva ottenere con l’invio dei droni: gli Stati europei nei cieli dei quali arrivano i droni russi chiederanno più fondi e più materiale bellico (difesa antiaerea) per difendersi: quei fondi che altrimenti sarebbero andati alla Ucraina che sta combattendo, da sola per tutti, sul campo. Mentre la triste realtà consiste nel fatto che non si tratta di una scelta o di un compromesso: bisogna fare entrambe le cose.
Intervenendo ieri al Parlamento europeo a Strasburgo, Ursula von der Leyen ha dichiarato che i recenti incidenti con i droni e le violazioni dello spazio aereo dell’UE dimostrano che l’Europa sta affrontando una guerra ibrida condotta dalla Russia:
It is a coherent and escalating campaign to unsettle our citizens, test our resolve, divide our Union, and weaken our support for Ukraine. And it is time to call it by its name. This is hybrid warfare.
In realtà, la guerra ibrida non consiste solo in quello: comprende anche alcuni elementi che si sono manifestati molto prima dei droni sopra l’Europa. Ma noi dobbiamo riconoscere comunque un notevole progresso: dopo quasi quattro anni di guerra in corso, è finalmente arrivata la consapevolezza della guerra ibrida! Facciamo un applauso e ricominciamo a sperare in meglio con ancora più intensità.
L’agenzia Reuters, dopo aver esaminato un telegramma interno del Dipartimento di Stato americano del 2 ottobre di quest’anno, ha scritto che le autorità statunitensi hanno incaricato i propri diplomatici di esortare gli alleati a votare contro la risoluzione dell’ONU che chiede la revoca dell’embargo contro Cuba, utilizzando come argomento il fatto che migliaia di cubani stanno combattendo tra le fila dell’esercito della Russia nella guerra contro l’Ucraina. Tuttavia, il Dipartimento di Stato si è rifiutato di fornire a Reuters dettagli sui mercenari cubani in Ucraina.
Si può dire molto sulla qualità dei dati e sul modo in cui vengono utilizzati dall’amministrazione Trump: spesso anche in termini giustamente negativi. Ma anche senza avere accesso alle statistiche ufficiali, è facile credere alla versione secondo cui un grande numero di cubani sta combattendo a fianco della Russia: vengono da un Paese molto povero e senza prospettive, il che significa che è molto facile attirarli con la promessa di guadagni elevati (secondo i loro criteri) anche in una guerra reale in un Paese lontano e freddo. Allo stesso modo, come ricorderete, centinaia di persone provenienti dall’India, dall’Africa e da altri luoghi sono già state attirate in guerra negli ultimi anni.
Eppure: la logica è una cosa buona, ma sarebbe bello avere dati un po’ più dettagliati e verificabili. Infatti, sulla base di questi dati si dovranno formulare accuse e scrivere la storia.



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