L’archivio del tag «economia»

La crisi è vicina

Dopo l’attacco alle raffinerie della Arabia Saudita si sono intensificate le discussioni sulla imminente crisi finanziaria mondiale. Come al solito, gli economisti si dividono in pessimisti, [relativamente] neutraliottimisti.
La fragilità della economia complessa contemporanea, evidente anche grazie all’attacco di cui sopra, lascia però poche possibilità di fidarsi ciecamente delle previsioni ottimistiche. Pensare che la crisi sia improbabile, lontana nel tempo o selettiva nel colpire le singole persone comuni è stupido quanto tentare di spiegare la situazione economica corrente in un semplice post. È decisamente più utile e facile tentare di rispondere alla eterna domanda «cosa faccio, come mi preparo?».
In effetti, dirlo è spesso più facile che farlo: controllare le spese personali, evidenziare (ma per ora non tagliare) le spese di importanza secondaria, vendere già ora gli oggetti inutili/inutilizzati, investire sui mezzi di produzione personali (compreso il cervello), inventare le fonti di reddito passivo e progetti personali redditizi. Non sarà facile, ma le persone sicure del potere magico infinito del proprio stipendio non si sarebbero mai preoccupati della crisi, vero?


Gli scontrini cartacei

Gli scontrini fiscali cartacei è una delle cose più inutili al mondo.
Appositamente per gli ecologisti aggiungo che l’emissione degli scontrini è uno dei modi più fastidiosi di sprecare la carta e moltiplicare la quantità dei rifiuti.
Non escludo che a qualcuno gli scontrini possano anche servire. Ma non a me. Eppure i commercianti continuano a molestarmi tutti i giorni con la loro stampa.
Quando compro un pacchetto di caramelle da due euro, cosa mi faccio dello scontrino?
Quando faccio un acquisto serio pagando con una carta bancaria, mi arriva una notifica via sms e ne rimane pure una nota sul mio internet banking (per sempre). Cosa mi faccio dello scontrino?
Quasi la totalità degli scontrini finisce nella spazzatura entro tre secondi dalla loro stampa. Ma non escludo che qualcuno di voi possa conservarli per mesi, anni o decenni con lo scopo di farsi rimborsare le spese all’uscita definitiva da questo mondo.


Le braccia sottratte alla…

In base ai recenti calcoli, l’industria dell’arte e della cultura porta agli USA 763,6 miliardi di dollari all’anno. Tale somma rappresenta il 4,2% del PIL: il doppio della agricoltura.
Nell’industria dell’arte lavorano 4,9 milioni di persone che nel 2015 hanno guadagnato 372 miliardi di dollari. Nello stesso anno i musei hanno generato 5,3 miliardi di dollari e le scuole d’arte 3,4 miliardi.
Certo, la diffusione della lingua inglese nel mondo è uno dei fattori a favore del suddetto fenomeno…
Ma uno degli aspetti più interessanti è la distribuzione della reddittività per Stati (in alcuni casi sono rimasto sorpreso):

La fonte.


I soldi nella natura

Un sacco di gente, prevalentemente con delle tendenze sinistrose, ha una concezione perversa e sbagliata della natura dei soldi. Partono dal presupposto che nel mondo esista una quantità limitata e costante dei soldi (spesso chiamati anche risorsericchezza) distribuiti tra la popolazione del pianeta: «se i soldi di Mario aumentano, quelli di Giuseppe diminuiscono».
È dunque importante comprendere e ricordare il concetto: i soldi vanno guadagnati e non distribuiti. Il valore aggiunto delle merci e dei servizi della azienda X non toglie dei soldi alle merci e ai servizi della azienda Y.
I soldi sono come le loro amiche strette idee. Se nella mia testa è nata una idea, non ne è scomparsa una dalla testa di qualcun altro. Se nella mia testa sono nate mille idee, non devo certo preoccuparmi di chi ne ha avute solo due.
Chi accende la testa non riempie solo essa. Chi non la accende, vive con le briciole delle idee altrui.


Il prezzo della Crimea

Poco più di cinque anni fa, il 27 febbraio 2014, le forze armate russe sono entrate negli edifici istituzionali della Crimea. Esattamente cinque anni fa, il 18 marzo 2014, è stato firmato il Trattato di adesione della Crimea alla Russia. Le parti del trattato sono stati il presidente della Russia e i vertici della Crimea nominati nei giorni precedenti sotto il controllo del sopracitato esercito. A distanza di cinque anni esatti dalla annessione, si potrebbe provare a valutare i guadagni e le perdite della Russia.
Tra i guadagni potremmo elencare solo due dati quantificabili: l’accrescimento del territorio russo di 27 mila chilometri quadri (0,15% del territorio totale della Russia) e 2,2 milioni di abitanti in più. A questi dati potremmo aggiungere il miglioramento dell’umore dei patrioti celebrali (secondo i quali si sarebbe affermata la «giustizia storica») e, volendo, l’arricchimento di alcune persone che hanno saputo sfruttare l’anarchia giuridica durante la «transizione» della penisola (ma secondo alcune testimonianze anche nel corso degli ultimi cinque anni).
Qualcuno potrebbe riuscire a trovare altri guadagni minori, ma non riesco a immaginare altri guadagni di valore simile.
La Crimea è sempre stata un territorio economicamente non autonomo, dipendente dai finanziamenti da parte del Governo centrale: è stato così ai tempi dell’URSS e della Ucraina indipendente. Nemmeno dopo l’annessione da parte della Russia si è verificato alcun miracolo: non sono state trovate delle materie prime preziose, non sono arrivati eserciti di turisti ricchi. Di conseguenza, anche per la copertura delle spese correnti della penisola il Ministero delle finanze russo ha dovuto trovare 55 miliardi di rubli (più di 753 milioni di euro) solo per i nove mesi rimanenti del 2014. Negli anni successivi la somma annuale destinata alla Crimea ha sempre continuato a crescere: bisognava finanziare l’aumento degli stupendi dei dipendenti statali (erano molto più bassi della media russa), lo sviluppo delle infrastrutture sociali e urbane per portarle almeno al livello degli standard russi etc. Per il 2019 si prevede di trasferire alla Crimea 150 miliardi di rubli, mentre nel corso di tutto il periodo tra il 2015 e il 2019 l’ammontare dei sussidi dal centro dovrebbe costituire circa 580 miliardi di rubli (quasi 8 milioni di euro).
Inoltre, bisogna ricordare che alla città di Sebastopoli è stato assegnato lo status della città di importanza federale, il quale comporta l’esistenza di una sua propria Legge finanziaria. Non essendo nemmeno la Sebastopoli economicamente autonoma, è stata la destinazione dei sussidi per quasi 120 miliardi di rubli da parte del Ministero delle finanze russo. Siamo già a 700 miliardi rubli di finanziamenti diretti.
In totale, il Governo federale finanzia tra il 75 e il 77% delle spese della Crimea e il circa 60% delle spese della Sebastopoli. Una parte notevole delle tasse raccolte sul territorio della penisola rappresenta dei derivati proprio dalle somme arrivati da Mosca.
Oltre ai finanziamenti diretti della Crimea, esistono anche quelli indiretti. Tra questi, per esempio, le pensioni: nel 2014 c’erano circa 660 mila pensionati su tutta la penisola. A partire dalla meta del 2014 la pensione media in regione è stata portata (raddoppiata) a 11.200 rubli. Il peso dei pagamenti deve essere ora supportato dal fondo pensionistico russo, il quale non ha mai ricevuto dei contributi dagli abitanti della Crimea ucraina. Gli esperti stimano la spesa russa per le pensioni in Crimea in circa 200 miliardi di rubli.
Il nuovo totale parziale è dunque di 900 miliardi di rubli (quasi 12,4 milioni di euro). Ora dobbiamo aggiungere le spese per la costruzione del Ponte di Crimea, la ricostruzione di molte strade interurbane della Crimea, la costruzione della centrale termoelettrica (quella con le turbine della Siemens), del gasdotto e dell’elettrodotto: sono altri 600 miliardi di rubli nel periodo dal 2014 ad oggi.
Ecco, siamo arrivati a 1,5 trilioni di rubli (più di 20,5 milioni di euro). È una somma pari a 2 spese statali annue per l’istruzione. Oppure 3 per la medicina. Oppure 15 per la cultura. Oppure 357 per l’Accademia delle Scienze russa. In ogni caso, la spesa per la gestione e lo sviluppo della Crimea si effettua prevalentemente grazie all’aumento delle tariffe (luce, gas, carburante) e ai tagli degli investimenti nelle infrastrutture del resto del territorio russo.
Infine, tra i costi della annessione della Crimea possiamo contare la stagnazione della economia russa (dovuta alle sanzioni e alla fuga dei capitali). In cinque anni il PIL russo è cresciuto del 2%, mentre l’economia mondiale è cresciuta del 19%. Il reddito reale della popolazione russa nello stesso periodo è sceso dell’11%.
Potrei aggiungere anche le perdite politiche/reputazionali e demografiche (emigrazione), ma quelli sono altri argomenti grossi.


L’arretratezza dei corsi

Oggi sarebbe il 200° anniversario dalla nascita di Karl Marx. Non sono un grande fan delle sue opere pseudo-scientifiche e, allo stesso tempo, ritengo poco utile sprecare tempo per la critica delle sue teorie obsolete da tutti i punti di vista.
L’unico motivo veramente valido per continuare oggi a discutere della sua figura è la curiosa situazione in cui si trova l’insegnamento della economia in molte università del nostro pianeta. A tutti coloro che si sono laureati molto tempo fa o hanno evitato gli esami di economia il fatto potrebbe sembrare incredibile, ma è reale: sui libri universitari di economia si trovano ancora moltissime tracce del pensiero di Marx.
Si tratta di un fatto reale e tragico. Infatti, moltissime persone dotate di un basso livello di pensiero critico si fanno installare nei propri cervelli una visione di quel mondo che non esiste più da oltre un secolo. Per di più, valutano quel mondo remoto nel tempo (come s esistesse ancora) servendosi delle teorie economiche non completamente sensate.
Gli esempi concreti sono innumerevoli, partendo già dalla stranissima affermazione che un lavoratore dipendente venderebbe il proprio lavoro in cambio del salario. Ciò potrebbe in una certa misura essere vero in una economia caratterizzata da un alto impiego della manodopera non/poco qualificata (per una buona parte del XIX secolo fu ancora così), ma nel XXI secolo non è assolutamente vero. Se l’affermazione marxista fosse vera, il lavoro più conveniente per i «padroni» sarebbe quello delle scimmie: potrebbe essere pagato con poche banane al giorno. Ma alla economia dei nostri giorni non serve il lavoro delle scimmie. Non serve nemmeno il lavoro degli umani che hanno un simile livello di istruzione. Alla economia di oggi servono le conoscenze e le competenze che gli umani sono disposti a vendere e/o condividere. Quelle conoscenze e competenze che permettono di sfruttare le conquiste del progresso e portarlo avanti. E quindi non rimanere indietro nella competizione tra le aziende, tra gli Stati e tra le zone geografiche. Di conseguenza, un umano consapevole ha tutte le possibilità di uscire dalla condizione di essere una merce attraverso la cultura. Più competenze ha una persona, più pregiata diventa, sempre più una merce per pochi, fino a diventare uno status-symbol di cui qualsiasi azienda sarebbe fiera.
Certo, è importantissimo ricordare la differenza tra le conoscenze e le abilità (saper creare e prendere le decisioni è sempre più importante del saper svolgere le operazioni ripetibili secondo le istruzioni imposte), ma questo è l’argomento di un altro lungo post.
Ai fini del post di oggi, invece, possiamo costatare una cosa poco felice. Le zone geografiche nelle quali prevale la vendita del lavoro da parte dei lavoratori si avvicinano sempre più alla concezione del Terzo Mondo. Le zone geografiche dove prevale invece la vendita delle conoscenze son più vicine alla concezione del Primo Mondo. Non dobbiamo dunque prendere il cattivo esempio dagli ammiratori di Marx: lo spostamento delle industrie al di là dei confini dei nostri Stati è una tendenza economica positiva. Essa testimonia un buon livello di progresso economico, sociale e culturale.


Il primo effetto vero

Come probabilente avete già letto, l’ultima porzione delle sanzioni statunitensi nei confronti della Russia ha prodotto dei forti effetti finanziari. Questo, per esempio, è il crollo delle azioni di Rusal alla borsa di Hong Kong:

Rusal è uno dei maggiori produttori di alluminio al mondo; attualmente il suo azionista principale è Oleg Deripaska (48,13%).
Mentre le perdite dei russi più ricchi stimate da Forbes sono queste (riporto solo la cima della lista):

Perché tutte queste informazioni sono potenzialmente interessanti ai miei lettori? Perché i miei lettori hanno studiato l’economia e quindi sanno che le azioni vanno comprate proprio nei momenti come questo.
Inoltre, molti dei miei lettori sanno o immaginano che anche le Società colpite dalle sanzioni occidentali sono in grado di riprendersi dal colpo iniziale di lavorare con successo per decenni.


La famiglia 2.0

Oggi Michail Putin, il figlio del cugino di Vladimir, è stato eletto al consiglio direttivo della Gazprom (per ora la notizia è presente solo sulla versione russa del sito aziendale, quindi non posso aggiungere il link comprensibile per a voi). Inoltre, è stato subito nominato il vice-presidente del consiglio stesso.
È molto pacificante scoprire che nel mondo esistono delle famiglie fortunate con le varie forme delle elezioni…


Il campo dei miracoli

Un caloroso salute a tutti coloro che hanno investito nei bitcoin.

Bambini! Ricordatevi che nessuna risorsa sana può crescere con una velocità simile a quella ha caratterizzato i bitcoin negli ultimi mesi.
Allo stesso tempo, non possiamo non riconoscere l’importanza delle criptovalute in generale. Venti anni fa, per esempio, furono in pochi a comprendere (o immaginare) le potenzialità dell’internet nella economia mondiale: i primi tecnici-sviluppatori furono costretti a spendere ore e giorni del proprio tempo per convincere gli imprenditori del fatto che un sito web aziendale sia una cosa utile, bella e redditizia. Appena due anni dopo scoppiò la famosa crisi dei dotcom: successe perché l’internet divenne di moda senza essere compreso dalla maggioranza degli attori del mercato. In sostanza, tutti volevano investire nell’internet senza sapere cosa sia e come sfruttarlo economicamente.
Si verificherà lo stesso susseguirsi delle fasi anche nella storia delle criptovalute: la moda e la conseguente smisurata crescita di valore – l’incomprensione – la crisi – il normale sviluppo – lo status di uno dei fondamentali strumenti della economia.


Ho appena scoperto che il 19 luglio il Governo ucraino ha deciso di procedere alla liquidazione – la quale dovrebbe avvenire entro due mesi – del grande (in vari i sensi) produttore degli aerei «Antonov». Le tre fabbriche del produttore verranno assegnate al gruppo industriale «Ukroboronprom» che esegue i lavori per il Ministero della Difesa ucraino.
Il motivo della operazione è la crisi dell’"Antonov«, che pur avendo firmato accordi per la costruzione di 18 aerei, ne aveva costruiti appena 2 (due) nel 2015 e ben 0 (zero) nel 2016.
Volete sapere il motivo dei ritmi così lenti? Il motivo è la guerra con la Russia, dalla quale non arrivano più le componenti necessarie per la costruzione degli aerei. Nel 2015, con la costruzione degli ultimi 2 aerei, le scorte si erano esaurite.
In questa occasione volevo parlare non della guerra e dei suoi effetti, ma di un curioso fenomeno economico-sociale. Come probabilmente alcuni di voi sanno, ai tempi dell’URSS fu molto diffusa la pratica di costruire in ogni repubblica socialista e quasi in ogni regione russa una (spesso unica) enorme realtà industriale. Ognuna di queste grosse aziende dipendeva però totalmente dalle forniture di materie prime e di vari prodotti provenienti dagli altri produttori sovietici geograficamente lontani. In sostanza, fu uno dei modi di «cucire» insieme un enorme territorio quale fu l’URSS. Dopo il crollo di quest’ultimo, però, molte delle sue ex repubbliche si trovarono con delle industrie apparentemente inutili: prive di fornitori nazionali e di mercato consolidato, ma in presenza di una alta concorrenza dei produttori esteri prima banditi dall’URSS.
Ovviamente, al giorno d’oggi – vivendo in un mondo globale – ci rendiamo sempre più conto che anche gli Stati dovrebbero specializzarsi nella produzione solo di alcuni beni senza sprecare le risorse nell’inutile tentativo di essere autosufficienti in tutto. L’"Antonov" poteva dunque benissimo rimanere l’unica industria seria dell’Ucraina. Ma porcamucca, perché in 25 anni non hanno diversificato i fornitori?! La capitolazione dell’URSS di fronte al mondo globale doveva servire anche a quello!
Mentre ci riflettete su questa Grande Domanda, io vi faccio vedere l’aereo dell’"Antonov" più conosciuto al mondo: l’AN-225.



Su quest’ultima foto l’AN-225 sta trasportando la navicella spaziale sovietica «Buran»: