La Commissione elettorale centrale russa (un Organo permanente) ha adottato una risoluzione secondo la quale le «elezioni» presidenziali russe del marzo 2024 si terranno anche nei territori ucraini annessi dalla Russia e dove è stata imposta la legge marziale. La decisione è stata adottata all’unanimità durante la riunione della Commissione dell’11 dicembre.
È possibile inventare una infinità delle spiegazioni più o meno sofisticate a tale decisione, ma io voto per la più semplice: si vuole mostrare (non importa a chi) che la popolazione dei «nuovi territori» approvi in massa la politica di Putin. E non importa che la maggioranza dei contrari sia già scappata, nel corso degli ultimi nove anni, verso il restante territorio ucraino.
Ovviamente saranno in pochi a crederci al risultato numerico che verrà mostrato al pubblico (la Commissione è capace di scrivere sui verbali qualsiasi dato, anche del 14356% a favore di Putin), ma il «candidato» per il quale le «elezioni» vengono organizzate potrà dire ancora una volta alla propria cerchia di essere un vero garante della stabilità: perché ci sono ancora abbastanza funzionari di vari livelli abbastanza fedeli da falsificare i risultati proprio a suo favore. Anche nei «territori nuovi».
Le mie indagini sociologiche non mi hanno ancora permesso di capire se sul nostro pianeta esistano delle persone tanto ingenue da essere sorprese della «decisione» di Putin di «candidarsi» al quinto mandato di Putin della Russia. Per le persone normali quella «decisione» dovrebbe essere una non-notizia noiosissima, non richiedente alcun commento.
Non sono interessanti nemmeno le circostanze in cui Putin aveva comunicato, il venerdì 8 dicembre, di «candidarsi»: lo aveva fatto su «richiesta» di un combattente proveniente dai «nuovi territori» che aveva parlato, in un russo profondamente sgrammaticato «alla faccia [sono le parole del tipo!] di tutti i russi perché in questo periodo difficile serve una guida proprio come Putin». Insomma, una sceneggiata completamente in linea con i tempi che corrono. Purtroppo.
Le persone particolarmente ingenue (quelle che io non sono ancora riuscito a trovare) possono iniziare a chiedersi se a marzo 2024 Putin riesca a vincere le elezioni…
L’unica cosa curiosa del video sulla visita di Putin negli Emirati Arabi Uniti è la presenza, per un tratto brevissimo, dei cammelli da combattimento lungo la strada del corteo. Considerate le recenti notizie dal fronte (tipo l’arruolamento anche tramite truffe dei nepalesi), tra un po’ l’esercito russo tenterà di schierare quegli animali forniti dallo Stato amico…
P.S.: la macchina sulla quale viaggia è una Aurus, una limousine istituzionale di produzione russa.
Alla fine ho trovato pure io qualcosa di simile al coraggio per ascoltare l’«ultima canzone» dei The Beatles «Now and Then» (voce di John Lennon registrata a casa sua nel 1978, la chitarra di George Harrison registrata negli anni ’90, le parti di Paul McCartney e Ringo Star registrate circa due anni fa). Come sospettavo, non è assolutamente un capolavoro nemmeno per The Beatles: tutto la sua popolarità è dovuta solo all’effetto mediatico della pubblicazione a tanti anni di distanza dalla morte di Lennon.
Si può quasi dire che era meglio la «Free As A Bird», pubblicata nel 1995:
A questo punto ricordo ancora volta (anche se non mi ricordo se lo avevo già scritto) di non essere un grande fan dei The Beatles: per i miei gusti, loro sono sempre stati un po’ troppo pop. Dunque posso ipotizzare che a qualcuno di voi l’«ultima canzone» potrebbe anche piacere.
Questo sabato faccio una eccezione e, anziché segnalarvi un nuovo articolo lungo, vi consiglio una lettura di importanza più globale.
Alcune settimane fa ho finito di leggere un libro che mi interessava da un po’ di tempo: «Spin Dictators: The Changing Face of Tyranny in the 21st Century» dell’economista russo Sergey Guriev (dissidente al regime di Putin; attualmente è il provost e professore di economia alla Instituts d’études politiques (Sciences Po) di Parigi) e del politologo statunitense Daniel Treisman. È un libro che descrive la nuova tipologia dei dittatori che si è affermata e diffusa nel XXI secolo, spiega come i dittatori di oggi si differenziano da quelli del passato e perché, in un certo senso, i «nuovi» dittatori sono più pericolosi per il nostro povero mondo. Considerando che negli ultimi mesi il mondo sembra proprio impazzito, il suddetto libro appare come uno degli strumenti utili per mettere in ordine i nostri tentativi mentali di comprendere quello che sta succedendo attorno.
Ammetto che in realtà «Spin Dictators» è scritto in un modo meno accademico di quanto mi aspettavo prima di iniziare la lettura (almeno rispetto al livello accademico al quale sono abituato io), ma questo è anche un suo pregio: diventa un libro accessibile e interessante non solo per quelli come me, ma anche per le persone «normali», comuni. Infatti, può essere letto non solo assieme ai numerosi dati statistici allegati che rafforzano e illustrano le considerazioni degli autori, ma anche come una semplice narrazione. In entrambi i casi si tratta di una lettura interessante e utile.
Ve lo coniglio ora anche per consentirvi di fare in tempo a regalarvelo per una delle vicine feste e, eventualmente, leggerlo proprio durante il periodo festivo meno carico di impegni rispetto a tanti altri periodi dell’anno.
P.S.: il libro è inglese, purtroppo non so se e quando uscirà anche in italiano.
Il mercoledì 6 dicembre Vladimir Putin si era recato in visita negli Emirati Arabi Uniti e in Arabia Saudita, dove aveva ricevuto un benvenuto cerimoniale: in particolare gli aerei dell’aeronautica degli Emirati Arabi Uniti avevano «disegnato» la bandiera russa nel cielo di Abu Dhabi. Nel corso della visita, Putin ha avuto colloqui con il presidente degli Emirati Arabi Uniti Mohammed Al Nahyan e il principe saudita Moḥammad bin Salmān Āl Saʿūd.
Gli osservatori politici sostengono il viaggio di Putin sarebbe stato un tentativo di dimostrare di essere un leader rispettato e riconosciuto nel mondo anche dopo il mandato di arresto internazionale. Infatti, nei primi mesi dopo la pubblicazione di quel mandato aveva trovato il coraggio di viaggiare solo negli Stati politicamente «sicuri» e geograficamente confinanti con la Russia (senza dunque dover attraversare lo spazio aereo degli Stati terzi).
Gli economisti, invece, fanno notare che potevano essere stati i leader arabi a costringere Putin di presentarsi a colloquio da loro. Infatti, la «diplomazia» russa cerca di sottrarsi dagli obblighi imposti dall’OPEC+, giustificandosi con la tesi «il nostro capo Putin dice che non possiamo estrarre meno petrolio – come avremmo dovuto fare da vostra decisione – perché esso ci serve per continuare la guerra».
Mentre in realtà entrambi i gruppi dei commentatori potrebbero avere ragione: Putin era andato a giustificarsi davanti agli arabi, ma davanti al pubblico non lo ammetterà mai; anzi, presenterà il proprio viaggio come un importante traguardo della propria politica estera.
Dalle notizie dei prossimi giorni, in ogni caso, potremo trarre delle indicazioni sulle abilità diplomatiche personali di Putin.
Ieri le autorità britanniche hanno introdotto le sanzioni contro 46 persone fisiche e giuridiche legate in vari modi all’invasione russa dell’Ucraina. In particolare, le sanzioni sono rivolte contro più di 30 aziende e persone coinvolte nella produzione di droni e missili, nonché nell’importazione di prodotti elettronici.
Si tratta di una buona occasione per precisare che le varie autorità competenti degli Stati occidentali, se realmente volessero raggiungere degli obiettivi utili contro la guerra tramite l’adozione delle sanzioni, farebbero bene a iniziare a sanzionare le persone e le imprese coinvolte nella esportazione verso la Russia di beni e tecnologie utilizzate per la continuazione della guerra stessa. Infatti, quei beni e quelle tecnologie teoricamente, in base alle sanzioni già adottate, non possono essere esportate in Russia, ma ci arrivano comunque grazie alle sequenze più meno complesse di intermediari. Per esempio (e per semplificare), vengono vendute dal produttore a una società turca, poi rivendute a una società kazaka e poi fornite alla Russia. Cercare, trovare e sanzionare gli intermediari, le banche attraverso le quali effettuano i pagamenti e i trasportatori ai quali affidano gli oggetti è sicuramente più difficile di inventare le nuove sanzioni (dove basterebbe aprire un dizionario e scegliere un nuovo oggettivo a caso), ma è anche infinitamente più efficace.
Forse alle autorità britanniche citate all’inizio del post manca solo un piccolo passaggio logico… Spero che almeno loro lo facciano.
Nell’ottobre 2022 circa 200 detenuti di un carcere di massima sicurezza nella regione di Chelyabinsk (in Russia) si erano arruolati nella PMC «Wagner» per partecipare alla guerra in Ucraina. Il giornale The New York Times ha scoperto il destino di 172 di quei detenuti e ha redatto un ritratto del «wagneriano» medio studiando i database dei tribunali e parlando con i parenti degli ex detenuti e, a volte, con loro stessi. Un detenuto arruolato su tre stava scontando una pena per omicidio. Uno su quattro di quelli inviati al fronte è stato ucciso. La maggior parte dei sopravvissuti è tornata a casa, dunque in libertà (solitamente dopo sei mesi di partecipazione alla guerra, come da contratto). Alcuni di loro hanno commesso di nuovo un reato. Altri raccontano di come le loro famiglie siano ora orgogliose di loro, ringraziando Vladimir Putin per la possibilità di iniziare una nuova vita, non mettendo in dubbio il motivo per cui la guerra a cui hanno partecipato era necessaria e imparando a convivere con i traumi e le ferite subite sul campo di battaglia.
Si tratta di una ricerca giornalistica interessante che potete, volendo, leggere da soli. Mentre io sottolineo un aspetto che si discute in Russia praticamente da quel giorno esatto in cui il capo della Wagner Prigozhin aveva iniziato ad arruolare i criminali nelle carceri. Da un lato, i residenti del Cremlino — in accordo con i quali agiva Prigozhin — non possono non capire il pericolo del ritorno di massa degli ex detenuti dalla guerra: torneranno abituati a uccidere, torturare e derubare i civili, non «curati» per il loro passato criminale e sicuramente in possesso delle armi procurate in vari modi al fronte. Dall’altro lato, in base alle notizie ricevute dal fronte ucraino sappiamo che molto spesso gli ex detenuti sono i primi a essere mandati nelle missioni più disperati, praticamente alla morte sicura: questo potrebbe farci pensare che una delle intenzioni del «Cremlino» collettivo sarebbe stata quella di disfarsi di quel peso umano.
Di conseguenza, il ritorno dalla guerra dei circa tre quarti degli ex detenuti può essere visto, in un certo senso, come uno dei fallimenti dello Stato russo in questa guerra. Capisco che è un po’ strano e brutto scrivere e leggere del suddetto problema in questi termini, ma la realtà bellica non può essere umanamente bella.
La rivista statunitense Time ha anticipato la lista dei candidati al titolo della persona dell’anno 2023. Tra i nove nomi c’è anche quello di Vladimir Putin perché egli «continua a condurre la guerra in Ucraina per il secondo anno. Nel 2023 ha affrontato una breve minaccia al suo potere durante la ribellione del PMC Wagner, ma alla fine la sua influenza si è rafforzata».
Boh, a me sembra una motivazione un po’ dubbia e debole, anche perché mi ricordo come era stato spaventato dalla stranissima ribellione evaporata da sola e per dei motivi non del tutto chiari. Di conseguenza, in base ai risultati del 2023 gli assegnerei il titolo del politico fortunato dell’anno (non tanto per i risultati di quella «ribellione», ma perché nessun avversario serio si è deciso di contrastarlo sul serio) oppure il titolo dell’antipersona dell’anno (dove avrebbe la possibilità di vincere solo perché il Hamas non è una persona singola).
Ora aspettiamo la scelta finale del Time. Nella lista dei nove c’è un candidato che mi sembra il più meritevole degli altri, ma per ora non vi dico il nome…
P.S.: non sono mica le «elezioni» presidenziali russe! Ahahahah
Penso che solo un pezzo ritagliato da una foto di un militare russo ucciso in Ucraina possa essere mostrato… E, ovviamente, deve essere mostrato: per ricordare, ancora una volta, che alcuni di quei personaggi sono andati a invadere lo Stato vicino per scelta e con degli obbiettivi personali preceisi (anche se diversi da quelli dichiarati pubblicamente da Putin).
I resti di questo personaggio concreto giacciono sul sacco di plastica nero nel quale tornerà a casa in Russia (per chi non lo sapesse: non è uno scherzo).
A certi leader europei va ricordato che anche sui loro territori ci sono un po’ di oggetti belli e attraenti per qualcuno.