L’altro ieri il «T-invariant» (un media degli scienziati russi che vivono all’estero) ha pubblicato una lettera aperta contro il regime di Putin, firmata da 39 premi Nobel (e da centinaia di altre persone). I firmatari – tra cui scienziati, economisti e scrittori – hanno chiesto ai leader mondiali di aumentare il sostegno alla Ucraina nella sua lotta all’invasione russa, di proteggere i prigionieri politici in Russia e di non riconoscere Putin come presidente russo legittimamente eletto. Ma leggete la lettera stessa: è inutile tentare di riassumerla.
Io, intanto, posso dire quanto segue.
I primi due dei punti che ho elencato sono dei motivi abbastanza validi per unire le brave persone sotto un’unica «bandiera» (in pratica, tali appelli non risolvono e non possono risolvere nulla). A causa di una sola lettera firmata da celebrità, i leader mondiali, ovviamente, non si sveglieranno e non diranno «è vero, perché non ci abbiamo pensato prima?!», mentre i firmatari sentiranno che almeno non sono rimasti muti di fronte a quello che succede, ma hanno tentato di indirizzare l’opinione pubblica in una giusta direzione.
Purtroppo, il terzo punto della lettera è molto controverso, anche se pure altre brave persone (realmente brave) ne parlano da settimane. Purtroppo, nella realtà odierna Putin è ancora il principale funzionario della Russia. Di conseguenza, se qualcuno dei leader mondiali un giorno volesse o dovesse discutere del rilascio degli ostaggi occidentali, dello scambio di prigionieri di guerra o di prigionieri politici russi, o, a un certo punto, anche della fine della guerra in Ucraina, dovrà farlo proprio con Putin dall’altra parte del tavolo (finché egli sarà vivo e in grado di parlare). E come si può discutere di tutto questo con un presidente che voi stessi non riconoscete?
Insomma, i 39 premi Nobel si sono rivelati dei grandi idealisti. Anche se sono delle brave persone.