Oggi è il 220-esimo anniversario dalla nascita del compositore russo Mikhail Glinka, il quale in varia misura influenzò con il proprio lavoro artistico – nonostante una vita relativamente breve, appena 52 anni – lo stile dei principali compositori russi della seconda metà del XIX secolo e dell’inizio del XX. In sostanza, dal punto di vista cronologico fu il primo dei grandi compositori russi attualmente riconosciuti come tali. Diversamente di quanto succede a molti pionieri, Glinka stesso non è però artisticamente a tanti suoi eredi famosi. Non potevo dunque non dedicargli la puntata odierna della mia rubrica musicale.
Mi era già capitato di postare due esempi delle composizioni sinfoniche di Glinka, dunque per oggi ho provato a selezionare due sue composizioni da camera.
La prima composizione scelta è il «Trio Patetico» per clarinetto, fagotto e pianoforte, composto nel 1832 a Milano (durante il viaggio di Glinka in Italia):
La seconda composizione di Mikhail Glinka scelta per oggi è il «Gran Sestetto per pianoforte e archi», composto sempre nel 1832:
Direi che per questo compleanno possa andare bene.
Come probabilmente sapete, all’inizio di maggio l’esercito russo ha iniziato una nuova offensiva contro la regione di Kharkiv, i bombardamenti sulla regione si sono notevolmente intensificati. Nello stesso periodo, in due o tre occasioni, Vladimir Putin ha dichiarato di «non essere interessato» a conquistare la città di Kharkiv. Ma anche se supponiamo che per qualche strano motivo abbia detto la verità, non possiamo escludere che voglia semplicemente distruggere anche quella (questa volta grande e importante) città ucraina.
Ed ecco che, nell’ambito della mia ormai tradizionale rubrica «la lettura del sabato», vi segnalo l’articolo composto dalle testimonianze dirette di tre abitanti di Kharkiv che raccontano come si vive ora in quella città. Le testimonianze delle persone comuni spesso sono più interessanti e dettagliate delle notizie prodotte dai giornalisti vaganti…
L’altro ieri, il mercoledì 29 maggio, è stato installato nel cimitero Porokhovsky a San Pietroburgo un monumento commemorativo sulla tomba del fondatore della PMC «Wagner» Evgeny Prigozhin. Il monumento comprende un obelisco di granito con il nome del fondatore della PMC «Wagner», le sue date di nascita e di morte e i simboli della «compagnia militare privata». Davanti alla pietra c’è una scultura in bronzo di Prigozhin a figura intera con le tre stelle dell’Eroe sul petto (Prigozhin, ancora ne corso della propria vita, è stato insignito delle stelle di Eroe della Russia e delle autoproclamate repubbliche di Lugansk e Donetsk).
L’autore del monumento, lo scultore Yaroslav Barkov, ha dichiarato che la madre di Prigozhin «non voleva categoricamente l’immagine di un militare» e ha insistito sull’immagine di un cittadino della Russia: «un uomo patriottico» che «aveva un cuore e un’anima per la Russia». La pietra inclusa nella composizione scultorea, secondo Barkov, simboleggia «il fatto che il personaggio si scolpito da solo».
L’installazione del monumento sulla tomba di Prigozhin è avvenuta in vista del 1° giugno, giorno del compleanno del fondatore della PMC «Wagner».
A questo punto non posso non constatare che Prigozhin sia stato eliminato in un modo abbastanza «umano e amichevole», dato che si è meritato l’autorizzazione di un monumento di quelle proporzioni (il fatto della sua installazione non poteva non essere stato concordato con delle persone «autorevoli»), il non-richiamo delle stelle di Eroe e, in generale, una memoria ufficiosa non particolarmente negativa (come certi oppositori politici). Oppure Putin ha paura delle persone per le quali Prigozhin contava qualcosa?
Ho finalmente pubblicato il rapporto fotografico sulla mia visita a Esine del 29 marzo 2024.
È un paese meno bello di quanto mi aspettavo, ma nemmeno brutto (e, sicuramente, molto più bello del vicino Cogno). Direi che non va saltato durante le vostre eventuali gite / escursioni /camminate in quella zona del bresciano. Io sono stato contento di avere visto alcuni suoi particolari.
Vladimir Zelensky ha definito come «una decisione non tanto forte» il rifiuto di Joe Biden di partecipare al cosiddetto «vertice di pace» («June 2024 Ukraine peace summit», che si terrà il 15–16 giugno in Svizzera). Secondo Zelensky, Putin applaudirà all’assenza di Biden, molto probabilmente anche con una standing ovation.
Il fatto che Putin sarà felicissimo dell’assenza di Biden è, per me, un fatto scontato. Non perché ha paura di Biden (triplo ahahahaha), ma perché riceverà ancora una volta la conferma del fatto che Biden è realmente il presidente americano più conveniente per lui (Putin). Un presidente che non fa nulla di concreto affinché le cose, non si sa mai, non vadano male (e «speriamo che tutto si risolva da solo»). In generale, Putin si accontenta della propria ragionevolezza. Chi può, lo racconti a nonno Joe poiché si rallegri: se non agli elettori, almeno al «partner autorevole» d’oltreoceano il suo comportamento è piaciuto.
Mentre Zelensky ha dimostrato una maestria diplomatica notevole, non avendo ancora detto pubblicamente nulla di quanto scritto sopra. Capisco perché per ora si senta obbligato a fare i miracoli diplomatici del genere. E, allo stesso tempo, mi sembra sempre più evidente che già a novembre (o, al massimo, a dicembre) avrà l’opportunità diplomatica di dire tutto quello che pensa su Biden. Mi dispiace per il motivo di quella opportunità, ma non mi dispiace più per la sorte di Biden.
Oleksandr Syrsky, il comandante in capo dell’esercito ucraino, dopo un incontro online con il ministro della Difesa francese Sébastien Lecornu ha annunciato che la Francia invierà i suoi istruttori in Ucraina per addestrare i militari ucraini. Per fortuna o purtroppo, questa mi sembra l’unica realizzazione possibile delle parole di Macron di fine febbraio (quando aveva ammesso la possibilità di inviare truppe europee in Ucraina). «Per fortuna» perché è meglio di niente; «purtroppo» perché tale invio non aggiunge molto a quello che l’Ucraina ha già…
A meno che quegli istruttori francesi non accompagnino delle nuove tecnologie fornite, senza alcun comunicato pubblico, alla Ucraina.
Quello che mi sembra ovvio, per ora, è che per schiacciare l’esercito russo con la massa umana (una tattica militare apparentemente non tanto moderna) sul fronte ucraino, servirebbero diverse centinaia di migliaia di militari occidentali. Mi sembra di capire che nemmeno Macron abbia inteso una cosa del genere. Di conseguenza, non so ancora perché ci sia tanta ostilità nei confronti della sua idea di febbraio.
Il New York Times scrive, citando le «fonti nell’intelligence statunitense», che negli ultimi tempi i servizi di sicurezza russi sono sempre più attivi nel compiere delle operazioni di sabotaggio su piccola scala in Europa, come incendi dolosi o tentativi di incendio doloso. In qualità degli esempi vengono proposti l’incendio di un magazzino nel Regno Unito, di una fabbrica di vernici in Polonia, di un edificio in Lettonia e di un negozio IKEA in Lituania. Sebbene tali incidenti sembrino casuali, sono finalizzati a creare l’apparenza di un presunto crescente malcontento in Europa nei confronti del sostegno all’Ucraina e mirano a creare ostacoli alla fornitura di armi all’esercito ucraino (sostiene sempre il New York Times).
Se dovesse essere vero, non riesco proprio a capire quale effetto mediatico si conta di raggiungere con un comportamento così rischioso e costoso. Certo, i servizi russi da anni (se non decenni) cercano di giustificare i finanziamenti statali crescenti ricevuti imitando una attività super efficace, ma totalmente inutile dal punto di vista pratico. Questo potrebbe essere l’unico motivo reale degli episodi di sabotaggio menzionati.
Dall’altra parte, seguendo la stampa e i social italiani (e non solo quelli italiani) vedo che il malcontento europeo manipolato dall’esterno viene creato con molto più successo ed efficacia dalla propaganda russa e dal finanziamento dei movimenti politici di estrema destra (in realtà, secondo me, l’estrema sinistra segue molto più facilmente le stronzate della propaganda russa, ma lo Stato russo, per fortuna, non se ne rende conto). A questo punto non vedo perché si debba ricorrere al sabotaggio e, poi, intensificarlo.
Di conseguenza, la tesi propostaci dal New York Times dovrebbe essere studiata profondamente prima di essere accettata.
Oggi posto un video che mostra alcuni dei recenti attacchi con i droni ucraini alle raffinerie di petrolio russe. Il video in sé non sembra particolarmente originale: molto probabilmente avete già visto delle immagini del genere. La cosa interessante è che le autorità russe hanno definito alcune delle esplosioni filmate come dei risultati dei «giochi dei dipendenti con i petardi».
Per voi è una interpretazione credibile?
P.S.: avete abbastanza fantasia per immaginare un dipendente di una raffineria che gioca con i petardi sul posto di lavoro?
Il cantante Bobby «Blue» Bland è considerato uno dei più importanti rappresentanti del blues del periodo tra gli anni ’60 e ’80 anche se, in realtà, la sua attività musicale non era limitata a un solo genere: combinava con successo il blues, il soul e il rhythm and blues. Allo stesso tempo, purtroppo, non si può dire che sia stato un cantante particolarmente popolare: iniziò a formare il proprio stile musicale individuale alla fine degli anni ’50, ormai alla soglia dei trent’anni, mentre negli anni ’60 e ’70 fu ormai «all’ombra» dei cantanti e gruppi più giovani (spesso impegnati pure nei generi musicali nuovi e più alla moda).
Fortunatamente, sappiamo che la popolarità non è un sinonimo della qualità e i problemi con la popolarità non sono dei problemi con la qualità. A Bobby «Blue» Bland la qualità musicale non è mai mancata. Di conseguenza, penso che la sua musica vada ricordata e pubblicizzata. Nell’ambito di tale missione ho pensato di selezionare, per il post musicale di oggi, due canzoni da uno degli album migliori di Bland: il «His California Album» del 1973.
La prima canzone scelta è la «This Time I’m Gone For Good»:
La seconda canzone selezionata dallo stesso album è la «Goin’ Down Slow»:
Bene. Mi sa che la prossima volta che mi viene l’idea di ricordare Bobby «Blue» Bland, scrivo di qualche sua fortunata collaborazione con dei musicisti più largamente noti.
Già da alcuni mesi i vertici dello Stato russo e la propaganda statale russa cercano di diffondere nel mondo l’opinione secondo la quale Vladimir Zelensky dovrebbe smettere di essere considerato il presidente legittimo dopo il 20 maggio 2024 (ieri, poi, lo ha dichiarato pubblicamente pure Vladimir Putin). Tale opinione viene giustificata con il fatto che i cinque anni di presidenza di Zelensky previsti dalla Costituzione ucraina sono terminati proprio nella data indicata, mentre le nuove elezioni non sono state fatte.
So che in Occidente – dunque anche in Italia – qualcuno, purtroppo, crede alla propaganda russa…
Mi è già capitato di scrivere che le elezioni presidenziali ucraine 2024 erano impossibili per tre motivi:
1) non sono consentite dallo stato di guerra che vige in base alla normativa ucraina;
2) la campagna elettorale e la votazione non sono possibili sul territorio controllato dall’esercito russo (perché gli ucraini ancora rimasti su quei territori dovrebbero essere esclusi dalle elezioni?);
3) la campagna elettorale comporta una inevitabile battaglia politica su tutti gli argomenti possibili (dunque addio l’unità nazionale durante una guerra contro l’aggressore).
Questi tre motivi mi sono sempre sembrati evidenti e sufficienti. Ma, allo stesso tempo, capisco che non sono mai troppi gli argomenti contro la propaganda statale russa. Ed ecco che, questo sabato, vi propongo una lettura un po’ più lunga e più argomentata sul tema della legittimità di Zelensky.
Perché per me è un tema importante.