Il mercoledì 29 giugno la Missione di monitoraggio dei diritti umani delle Nazioni Unite ha pubblicato il primo rapporto sulle violazioni dei diritti umani durante la guerra in Ucraina. Nel documento vengono elencati i dati raccolti dal 24 febbraio al 15 maggio 2022. La maggior parte dei casi ai quali è dedicato il rapporto si è verificata in aree controllate dalle forze armate della Federazione Russa, ma ci sono stati anche casi in aree controllate dal governo ucraino.
Io non tento di riassumere il documento menzionato: le persone realmente interessate potranno leggere, facilmente, almeno le sue parti di maggiore interesse.
Per ora sottolineo solo che l’assurdità del solo tentativo di parlare dei diritti umani durante la guerra è relativa. Infatti, solo il processo di raccolta dei singoli casi concreti può aiutare, in un mondo organizzato come il nostro, a elaborare una base di prove per il/i futuro/i tribunale/i internazionale o nazionale. Le prove dei crimini di qualsiasi genere devono essere raccolte subito, finché sono «fresche»: non alterate o distrutte. Di conseguenza, possiamo constatare che l’ONU ha fatto un piccolo passo iniziale, raccogliendo una parte dei casi — sicuramente e purtroppo solo una piccola parte — sui quali verranno in futuro svolte tutte le indagini necessarie.
Potete iniziare a leggere già ora per quali fatti verranno giudicati gli esecutori e i loro mandanti (i nomi dei principali di questi ultimi vi sono già noti).
L’archivio del 2022 год
A partire da oggi – il 1 luglio 2022, il 128-esimo giorno della guerra – i russi hanno bisogno del visto per andare in Ucraina. Per ottenere un visto ucraino, i russi possono rivolgersi a uno dei centri visti di VFS Global; i diplomatici ucraini che lavorano nei Paesi terzi esamineranno le domande presentate. Allo stesso tempo, le autorità ucraine hanno precisato che il visto non garantisce l’ingresso nel Paese: la decisione finale spetterà alle guardie di frontiera ucraine. È quindi finito il periodo della libera circolazione tra i due Stati che durava dal 1997.
Ecco: la stranezza della introduzione così tardiva dei visti si aggrava ulteriormente dal fatto che si tratta non di una misura di sicurezza voluta dallo Stato, ma solo della reazione a una petizione creata sul sito ufficiale del Presidente ucraino. Tale petizione è stata creata l’11 febbraio (quasi due settimane prima dell’inizio della guerra) e alla data del 25 maggio ha raccolto 26,7 mila firme (il Presidente ucraino esamina solo le petizioni che abbiano raccolto almeno 25 mila firme). Capisco che a febbraio la petizione in questione era dovuta anche al fatto che è ben nota l’usanza – relativamente recente – delle forze militari russe di inviare i propri soldati sui territori ex-sovietici con dei mezzi pubblici e «mascherati» da civili. Ma è comunque strano rendersi conto del fatto che tra l’Ucraina e la Russia esistano ancora dei rapporti turistici, fino a ieri così stretti (per non parlare di quelli commerciali, ancora non interrotti).
Comunque, è solo una questione di tempo: il 19 giugno, per esempio, il Parlamento ucraino aveva già vietato l’import e la riproduzione in pubblico delle opere culturali create dagli autori russi che non abbiano condannato pubblicamente la guerra in corso.
Nelle ultime settimane mi è capitato di sentire alcuni esperti secondo i quali la priorità di Putin sarebbe quella di «riunificare» la parte più slava e «russificata» dell’ex URSS. Indipendentemente dal fatto che sia una tesi realistica o meno, Putin sta per ora raggiungendo dei grandi risultati di segno opposto.
Dopo gli incessanti attacchi missilistici ucraini sull’Isola dei Serpenti (la cui guarnigione ucraina era diventata famosa, per una bella frase, in tutto il mondo all’inizio della guerra), i militari russi hanno fatto esplodere tutte le attrezzature ancora non danneggiate e si sono affrettati a evacuarsi su barche da sbarco.
Il dettaglio più interessante – e in un certo senso divertente – di questo episodio della guerra in corso è il commento ufficiale del Ministero della Difesa russo. Merita di essere tradotto:
Il 30 giugno, in qualità di un gesto di buona volontà, le forze armate della Federazione Russa hanno completato lo svolgimento dei loro compiti sull’Isola dei Serpenti e hanno ritirato la guarnigione dislocatavi.
Tale atto dimostra alla comunità mondiale che la Federazione Russa non sta ostacolando gli sforzi delle Nazioni Unite finalizzate alla creazione di un corridoio umanitario per l’esportazione dei prodotti agricoli dal territorio ucraino.
Avete apprezzato, vero?
La grande notizia di ieri era in realtà scontata: Erdogan ha «acconsentito» l’adesione della Svezia e della Finlandia alla NATO. Era scontata non solo perché la diplomazia è sempre una trattativa, ma anche e soprattutto perché Erdogan è un uomo dell’est. Un uomo dell’est non vende alcunché senza trattive lunghe, accese e piene di pseudo-rifiuti «categorici» di accettare le proposte della controparte. Molto probabilmente la maggioranza dei miei lettori occidentali conosce poco o per nulla tale modo di fare, mentre per me è sempre stato evidente il concetto di base: Erdogan alla fine accetta, ma bisogna vedere in cambio di cosa.
In sostanza, Erdogan ha ottenuto due cose. La prima era facilmente immaginabile: la Finlandia e la Svezia hanno concordato di «prevenire le attività» del Partito dei Lavoratori del Kurdistan e delle altre strutture che la Turchia considera terroristiche. Inoltre, si sono impegnate a non sostenere la Forza di autodifesa curda siriana (YPG) – affiliata al Partito dei lavoratori del Kurdistan – e il movimento FETO del predicatore Fethullah Gülen.
La seconda cosa ottenuta da Erdogan era un po’ meno ovvia (probabilmente in forza delle nostre dimenticanze), ma sempre logica: la Finlandia e la Svezia hanno accettato di revocare l’embargo sulle armi alla Turchia precedentemente imposto in risposta alle azioni della Turchia in Siria nel 2019.
Direi che in entrambi i casi la vittoria diplomatica di Erdogan può anche essere considerata temporanea (almeno nel lungo periodo: in futuro nessuno impedisce, per esempio, a riavviare le discussioni sul destino dei curdi), mentre l’importante rafforzamento della NATO è permanente.
Tutti, compresi i nuovi due membri, ringraziano vivamente lo sponsor politico principale di tale rafforzamento. Conoscete benissimo il suo nome, quindi è inutile che io lo scriva ancora una volta.
Il summit della NATO si terrà a Madrid dal 28 al 30 giugno. Ma già ieri il segretario generale Jens Stoltenberg ha annunciato due delle misure che quasi sicuramente verranno adottate:
1) Le forze di risposta rapida della NATO saranno aumentate da circa 40 mila persone attuali a più di 300 mila (l’aumento è stato richiesto da alcuni Stati dell’Europa dell’Est).
2) Secondo il nuovo concetto strategico della NATO, la Russia sarà indicata come «la minaccia più significativa e diretta alla sicurezza della alleanza».
Ovviamente si tratta di una nuova grande «vittoria» di Vladimir Putin… Molti di voi avranno già imparato bene la mia (e non solo mia) constatazione che non è uno stratega ma un tattico. Quindi evito di dedicare tanto spazio a tale concetto e passo direttamente a una delle sue conseguenze.
Il fatto è che i risultati de tattici – soprattutto di quelli di qualità non eccezionale – sono facilmente prevedibili. Quindi io prevedo già ora che in Europa aumenteranno anche le armi della NATO. Infatti, alcuni osservatori spiegano la lentezza nelle forniture degli armamenti pesanti alla Ucraina con l’attuale scarsa disponibilità fisica di queste ultime (e questo sarebbe la migliore risposta a tutti coloro che vedono la NATO come una alleanza aggressiva). Ebbene, sarebbe logico prevedere la correzione anche di questo dettaglio.
Anticipiamo dunque altri complimenti a Putin.
Non sono sicurissimo del fatto che tanti media occidentali abbiano scritto del fatto che i militari della Guardia Nazionale della Federazione (uno dei corpi militari russi) alla fine di febbraio entravano in Ucraina con l’uniforme da parata nei bagagli. Infatti, si programmava di fare una parata da vincitori a Kiev dopo pochissimi giorni…
Sono un po’ più sicuro del fatto che quasi nessuno abbia scritto che davanti alla Cattedrale principale delle Forze Armate della Federazione Russa a Kubinka (nella Regione di Mosca) è in fase di costruzione un arco di trionfo!
Immagino facilmente la sceneggiatura dello spettacolo di inaugurazione programmato.
Inizia tutto con un omino un po’ anziano che cammina sotto l’enorme arco al suono delle fanfare. L’omino viene seguito dai trofei conquistati nel corso della guerra: le macchine del sistema Iskander trasportano le lavatrici, i bollitori elettrici, i motori di barche etc. Poi seguono decine di migliaia di «veterani» senza gambe e senza braccia con tante medaglie. Poi una lunga colonna di vedove in nero passerà sventolando gli assegni da x milioni di rubli regalati dallo Stato per i mariti uccisi. Subito dopo passeranno i vari rottami dell’ex «secondo esercito più grande del mondo»: migliaia di carri armati e mezzi corazzati distrutti. Seguiranno centinaia di bossoli sparati contro l’Ucraina. La lunga processione sarà chiusa dall’enorme incrociatore «Moskva» ricoperto di fango e conchiglie. la nave, ovviamente, si incastrerà nell’arco di trionfo. E proprio in quel momento inizieranno i fuochi d’artificio.
Che spettacolo…
Ma stavo dormendo?..
Zelensky riceve le visite più incredibili. E io inizio a sospettare che qualcuno tra poco cambi incredibilmente il genere dei film:
Il chitarrista statunitense Chet Atkins era talmente forte che io, personalmente, non riesco nemmeno a classificarlo come un musicista country. E, in effetti, pure i critici musicali professionali hanno inventato appositamente il concetto del «Nashville sound»: i maggiori rappresentanti / fondatori di questo genere – o corrente? – sarebbero stati Chet Atkins e Owen Bradley, all’epoca legati dai contratti allo studio di registrazione RCA (basato proprio a Nashville). In sostanza, si tratta del «country ammorbidito» più gradevole alle masse.
Quindi per l’occasione del mio primo post musicale dedicato a Chet Atkins ho pensato di concentrarmi proprio sul periodo della affermazione della corrente musicale sopraindicata. Non a caso, tale periodo coincide con la fase della maggiore forma artistica di Chet Atkins, anche se egli fece delle cose interessantissime anche nei decenni successivi. Per oggi ho selezionato due brani dall’album «More of That Guitar Country» (del 1965) e, in realtà, ho fatto un po’ di fatica a compiere la scelta: mi piacciono quasi tutti i brani di quel disco.
Il primo brano di oggi è «Cloudy and Cool»:
Il secondo brano scelto per oggi è «Alone and Forsaken» (che in certi momenti metterei nel regime della riproduzione «a loop»):
Chet Atkins è uno di quei musicisti ai quali tornerò sicuramente ancora su questo blog.
Nel 2020 – l’anno che ora possiamo anche ricordare con una certa nostalgia – c’era, tra l’altro, il 75-esimo anniversario della fine della Seconda guerra mondiale. O, come dicono gli autori e le vittime della propaganda imperiale sovietica/russa, il 75-esimo anniversario della vittoria nella Grande guerra patriottica. Per quella occasione in Russia era stato pubblicato un calendario con le foto dei giovanissimi soldati di leva insanguinati, fucili Mosin, carri armati antichi e altre armi della Seconda guerra mondiale.
Il calendario in questione è stato una «interessante» visualizzazione dello slogan Continuare la lettura di questo post »
Come era facilmente prevedibile, ieri il vertice dei leader dell’UE ha concordato lo status di candidato all’UE per l’Ucraina e la Moldavia. Ha dunque seguito le raccomandazioni della Commissione europea.
Considerando che nel mondo esistono da tempo anche alcuni altri potenziali candidati allo status di candidato (sono abbastanza sicuro di Azerbaijan, Armenia, Bosnia ed Erzegovina, Georgia, Kosovo), vediamo ancora più facilmente che la scelta dei leader europei è motivata prevalentemente dalle questioni di sicurezza. Infatti, dopo l’Ucraina, la Moldavia rimane lo Stato della zona meno «protetto» da accordi internazionali (nonostante la «cooperazione» con la NATO).
L’aspetto per ora più interessante della notizia di ieri è invece il destino della Georgia. Il presidente del Consiglio europeo Charles Michel ha infatti annunciato che il vertice dell’UE ha riconosciuto la «prospettiva europea» della Georgia ed è pronto a concederle lo status di candidato una volta che la Georgia avrà soddisfatto una serie di condizioni. Il primo ministro georgiano Irakli Garibashvili, a sua volta, ha dichiarato che il suo Paese «merita lo status di candidato all’UE più di ogni altro candidato». Ma si è dimenticato di precisare che tutti i successi georgiani sulla strada verso la candidatura all’UE sono stati fatti sotto la presidenza di Mikhail Saakashvili (2004–2013). Quest’ultimo si trova ora in opposizione e – sostanzialmente di conseguenza – in carcere. Mentre i governanti georgiani di oggi hanno già disfatto una parte delle modernizzazioni della Georgia volute da Saakashvili.
A questo punto penso che l’Ucraina e la Moldavia non avranno molti concorrenti (o compagni di viaggio?) sulla loro lunga strada verso l’ingresso nell’UE.