L’archivio della rubrica «Russia»

In estinzione

Stanotte, all’età di75 anni, è morto il nipote di Iosif Stalin — il figlio di Vasilij Stalin, il secondo dei tre figli di Iosif — il regista teatrale Aleksandr Vasilevič Burdonskij. Non so dirvi alcunché sulle sue qualità da regista in quanto ha sempre lavorato in un teatro di qualità inferiore alla media, quello patrocinato dal Ministero della Difesa (io ci ero stato soltanto una volta per vedere un attore specifico e abbastanza particolare). E non mi è mai capitato di sentire dei suoi successi artistici di particolare livello.

Aleksandr Burdonskij non ebbe figli, dunque l’unica discendente di Stalin ancora in vita (intendo i discendenti certi e non i personaggi che sembrano degli impostori) resta Chrese Evans, nata il 21maggio 1971 dalla figlia di Stalin Svetlana e l’architetto statunitense William Peters. Non ha figli.

Anzi, forse è meglio mettere questa sua foto scattata qualche anno fa nel suo negozio di second hand:

Insomma, è una bella famiglia che si sta estinguendo…


Please do not shoot the pianist…

Il destino vuole che pure questa domenica si faccia un video-post musicale. Ma questa volta l’aggettivo «musicale» andrebbe appunto messo tra le virgolette.

Vladimir Putin periodicamente decide di suonare il pianoforte in pubblico. Così è successo anche il sabato 13 maggio in Cina, dove Putin doveva incontrare Xi Jinping nella residenza di quest’ultimo. Poco prima dell’incontro ha casualmente trovato un pianoforte incustodito (sempre casualmente in zona c’erano anche delle telecamere autorizzate a riprendere) e si è messo a suonare, senza dei risultati eccezionali, alcune melodie:

Alcuni sudditi hanno deciso di salvare il presidente con due Coub.

№ 1

№ 2


La balena azzurra

Quindi ora anche in Italia si è diffusa la notizia dei «gruppi di morte» russi? Intendo il «gioco» Blue Whale e simili. Bene…

Io, da parte mia, devo tranquillizzarvi: si tratta di un fenomeno molto meno diffuso di quanto si sostiene dai mass media. Gli adolescenti russi, soprattutto quelli che vivono nelle famiglie che si possono permettere l’accesso all’internet non sono nella loro stragrande maggioranza ne tanto depressi ne tanto stupidi da cedere alle proposte di autolesionismo e di suicidio.

Il fenomeno in se è grave solamente sotto uno specifico punto di vista: i maniaci non si sono estinti ma si sono adeguate alla realtà tecnologica del XXI secolo. Purtroppo esisteranno sempre e noi — genitori, parenti, professori, amici etc — non dobbiamo essere i più lenti ad adeguarci anche noi. O essere meno attenti di prima.

A livellonazionale russo sono invece gravi altri due fenomeni. Prima di tutto, l’uso del sopracitato «gioco» in qualità di pretesto per controllare e censurare l’internet (indovinate da parte di chi). In secondo luogo, il collaborazionismo di alcuni mass media russi che in cambio della sopravvivenza politica ed economica delle proprie redazioni hanno accettato a gonfiare esageratamente la storia.


Una domenica musicale

Ieri, il sabato 13 maggio, si è svolta a Kiev la finale dell’Eurovision Song Contest 2017. Il concorso musicale in questione mi interessa pochissimo a causa di un livello medio bassissimo dei partecipanti e dei generi musicali che nella maggioranza dei casi non promettono molto. Inoltre, si tratta di un concorso che è sempre (o quasi) stato politicizzato. Quest’anno, per esempio, la Russia ha fatto di tutto per non parteciparvi e non essere dunque umigliata – almento nel senso musicale – sul territorio ucriano.

Ma la mia intenzione era quella di parlare della musica.

Nel 2010 una banda dei burocrati russi impazziti decise di mandare alla edizione dell’Eurovisione di quell’anno un cantante bravo. (Tento un paragone estremo: immaginate Einstein che va a fare le olimpiadi di matematica tra i scolari). In qualità del rappresentante della Russia fu scelto Petr Nalich, un cantante russo di origini jugoslave diventato molto noto nel 2007. Non vinse il concorso (a valutre c’era la gente abituata ad altri standard musicali), ma merita di essere conosciuto anche in Occidente.

Oggi pubblico ben cinque (brevi!) video con le sue canzoni in varie lingue.

La canzone «Gitar» con la quale divenne famoso sul web (il testo non ha molto senso):

Mentre il senso di questa dovrebbe esservi già noto:

La canzone «Il mare» è in russo:

«Sticky Lover»:

«Il pleut toujours»:

Con questa chiudiamo la puntata odierna dedicata alla musica russa.


La data della Vittoria

Una persona attenta (o, se preferite, pignola) potrebbe chiedersi sul perché in Russia e quasi tutta l’ex URSS la vittoria nella Seconda guerra mondiale si festeggi il 9 maggio invece che l’8 (come si usa in Europa). Penso che oggi sia il giorno giusto per spiegare questo fenomeno.

Andiamo in ordine cronologico. Il 7 maggio 1945 nella città francese Reims fu firmato l’atto di capitolazione delle forze armate tedesche.

Dall’atto furono previsti la cessazione dei combattimenti, la resa di tutti i militari tedeschi e il passaggio agli Alleati della coalizione vincente di tutti gli armamenti del Wehrmacht. Per la Germania firmò il colonnello-generale Alfred Jodl, mentre per gli alleati il generale statunitense Walter Bedell Smith e il maggior-generale sovietico Ivan Susloparov.

L’entrata in vigore dell’ordine di resa per le forze armate tedesche fu prevista per le ore 23:01 CET dell’8 maggio 1945. Subito dopo la firma della resa Henry Truman e Winston Churchill comunicarono ai propri concittadini la notizia ufficiale della fine della guerra. Ecco la reazione dei newyorkesi:

Iosif Stalin, però, si rifiutò di riconoscere la resa firmata a Reims e pretese che tutta la cerimonia venisse rifatta sul territorio tedesco occupato dalle forze dell’URSS. Inoltre, chiese l’annullamento dell’atto di resa appena firmato a Reims. La seconda richiesta fu fermamente declinata da Truman e Churchill perché le popolazioni dei loro Stati non avrebbero compreso il senso di tale sottile gioco politico. Avere due atti di resa è comunque meglio che averne uno. Quindi il testo di Reims con alcune modifiche apportate dalla parte sovietica fu firmato l’8 maggio a Karlshost (Berlino). Firmarono i generali Keitel e Stumpff e l’ammiraglio Friedeburg per la Germania, il maresciallo Arthur Tedder per gli Alleati occidentali e il maresciallo Zukov per l’URSS.

La data e l’ora della resa già stabiliti a Reims non furono modificate, quindi gli Alleati occidentali da sempre festeggiano la Vittoria l’8 maggio. Negli Stati del Commonwealth i festeggiamenti partirono già il 7 maggio 1945 dopo la diffusione delle prime notizie sulla firma di Jodl.

In URSS il primo comunicato ufficiale sulla resa firmata dalla Germania fu diffuso alle ore 02:10 del 9 maggio 1945. Di conseguenza, proprio il 9 maggio fu proclamato in URSS la Giornata della Vittoria. Dal 1947 al 1964 è stato un giorno lavorativo.


Putin regge tutto

In Russia è sempre esistito, ma a partire dal 2014 è in una crescita particolarmente forte, il mercato del cosiddetto «abbigliamento patriottico». Si tratta sempre (o quasi sempre) degli esempi di trash dell’ottantesimo livello, ma io non ne ho mai scritto solo perché ogni singolo caso necessita dei commenti che preferirei evitare di fare.

Oggi mi limito a raccontarvi dell’abbigliamento dedicato alla figura di Vladimir Putin. Come forse sapete, esiste una infinità di magliette raffiguranti Putin in varie pose e con l’aggiunta di vari comenti testuali (citazioni, elogi etc.).

Molti – ma non tutti – modelli di queste magliette si possono acquistare anche in Occidente. Lo potete fare, per esempio, su eBay, AliExpress o, se conoscete il russo, su Yandex.Market.

Non è per ora acquistabili quattro nuovi modelli di magliette da donna disegnati dal «brand patriottico» (generosamente finanziato dallo Stato russo) di nome Set (network in russo). Però li possiamo già vedere sulle foto.

Il primo modello è quello con un foro da forma del profilo di Putin:

Gli altri tre sono ancora «meglio»:
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31 anni di Chernobyl

Oggi è l’anniversario della catastrofe tecnologica di Chernobyl. Per ora ho poco da aggiungere a quanto ho già scritto sull’argomento nel 2016. Quindi oggi mi limito a pubblicare una raccolta di video e foto della città di Pripyat, concentrandomi su quel che resta degli appartamente privati.

Tutte le foto sono di Sergei Melnikov.


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Due settimane fa avevo postato una porzione delle foto ritraenti la vita quotidiana sovietica degi anni ’50–’80.

Oggi, invece, vi consiglio l’autore di altre foto interessanti: il maggiore Martin Manhoff (ne avevo già scritto un mese e mezzo fa in un’altra occasione). Manhoff fu l’addetto militare della ambascita statunitense a Mosca dal 1952 al 1954 e fino al momento di essere stato espulso per spionaggio scattò tante belle foto dell’URSS di quegli anni. Non solo a Mosca, ma anche a Leningrado, alcune altre città e lungo la ferrovia Transiberiana.

Un certo Douglas Smith (non ho capito bene chi sia questo tipo) dopo la morte della vedova di Manhoff si è appropriato delle foto e ha iniziato a pubblicarle: https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=10155847922929625&id=629794624

Il fazzoletto rosso sul collo è la «cravatta del pioniere»: di forma triangolare, doveva essere portata in quel modo.
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Petr Mamonov

Questo venerdì semifestivo dedichiamoci un po’ alla cultura…

Petr Mamonov, uno dei miti della cultura contemporanea russa, oggi compie 66 anni.

È diventato famoso nella società sovietica all’inizio degli anni ’80 in qualità di musicista, essendo il leader del gruppo «Zvuki Mu» che suonava il rock sperimentale e alternativo.
A partire dalla fine degli anni ’90 fa pure l’attore: agli italiani consiglierei i film «Dust» del 2005 e «L’isola» del 2006 (poi ce n’è un altro bellissimo del 1991, uno dei migliori film sulla guerra nella mia classifica personale, ma non mi risulta che sia mai stato tradotto in una lingua europea).

A partire dal 2014 conduce un programma radiofonico settimanale, nel quale racconta (e soprattutto fa ascoltare) la migliore musica rock, blues e jazz del XX secolo. Grazie a questo programma la mia cultura musicale è cresciuta per alcune decine di livelli…

Nonostante tale lista di successi professionali esemplari, Petr Mamonov detiene ancora la fama di un classico pazzo (nel senso positivo) rockettaro. Come dovrebbe infatti essere ogni artista che decida di impegnari in un genere musicale come il suo. Considerate tutte le sue «imprese» compiute negli anni della giovinezza e i vizi di tutti i tipi (ormai quasi tutti sconfitti), egli stesso disse «Non so come ho fatto ad arrivare ai 50 anni…»

Per illustrare, in qualche modo, la portata del personaggio, pubblico una brevissima registrazione video di una sua esebizione — con il gruppo — del 1995. Il titolo della canzone in questione si traduce come «La fonte della infezione».

Alla fine degli anni 2000 lo stile musicale di Mamonov è comunque diventato un po’ più tradizionale.

P.S.: negli ultimi giorni sto valutando l’idea di pubblicare una serie di post sulla musica russa contemporanea. Appena invento un modo di farlo in modo che sia una cosa interessante per le persone che non conoscono la lingua russa, lo faccio.


Yuri Gagarin

La Russia contemporanea ha ereditato dall’URSS una serie di feste, la maggior parte delle quali non ha mai avuto alcun senso. Alcune di queste fortunatamente sono state abrogate (come, per esempio, la festa dalla rivoluzione), altre non sono più delle festività ufficiali. Qualcuna, come la «festa del difensore della patria» (23 febbraio), sopravvive ancora.

Solo due feste del periodo sovietico sono generalmente riconosciute dai russi: il Capodanno (ritenuto importante quanto il Natale in Europa) e il Giorno dei cosmonauti (che si festeggia il 12 aprile).

Appena (?) 56 anni fa, il 12 aprile 1961, è stato lanciato nello Spazio il primo uomo della Storia, Yuri Gagarin. A partire dalle 10:48 (l’ora di Mosca) di quel grande giorno Gagarin è una delle persone più strumentalizzate del mondo: lo è stato in sette anni di vita che gli erano rimasti, in occasione della morte, ma pure ora. Oggi, per esempio, anche negli Stati che non festeggiano l’anniversario del suo famoso volo orbitale si parlerà molto di lui. Solo oggi e solo di lui: al suo nome si associa uno dei pochissimi successi positivi sovietici. Nonostante la competizione nel settore spaziale abbia condannato a decenni di fame l’intero popolo, oggi il volo di Gagarin è un successo che non viene messo in discussione nemmeno dai più critici. Ma lui, Gagarin, fu stato solo fortunato: lo scelsero tra altri 20 candidati per il sorriso fotogenico. E, soprattutto, fu il primo uomo a essere tornato vivo dallo Spazio.

Non è stato altrettanto fortunato Sergei Korolev, il progettista dei primi razzi, satelliti e navicelle sovietici. E’ stato lui a far compiere alla umanità il passo più grande: quello la portò nello Spazio. Oggi, purtroppo, è festeggiato da pochissimi. Eppure lo Stato che grazie ad egli ottenne una delle feste più belle, rischiò di ammazzarlo con le proprie mani nei campi di lavoro. Viste le statistiche delle repressioni staliniane, c’è da chiedersi quanti altri korolev non sono proprio sopravvissuti.

Ah, e noi, nonostante le fantasie di moltissimi scrittori, non ci siamo ancora allontanati dal sistema solare.