L’archivio della rubrica «Russia»

La lettura del sabato

Non ho ancora fatto in tempo a segnalarvi – ma, purtroppo, non è mai tardi – che il 24 febbraio è uscita la versione inglese del dizionario del linguaggio russo dei tempi della guerra. Il dizionario in questione perde molto rispetto al proprio originale russo, ma vi potrebbe essere comunque utile. Infatti, spiega il significato e/o la storia di molti termini, espressioni e neologismi utilizzati dai privati, giornalisti, propaganda e politici per parlare della guerra putiniana in Ucraina.
Qualcuna delle voci riportate nel dizionario potrebbe diventarvi più chiara, qualcun’altra addirittura risultare nuova. In ogni caso, propongo di considerare il suddetto dizionario come un prezioso documento storico: non è da escludere che una parte più o meno significativa del suo contenuto rimanga nel linguaggio popolare anche dopo la fine della guerra…


Il dubbio sui missili

Il Financial Times sostiene che la Russia si starebbe astenendo dall’acquistare i missili balistici iraniani per paura che gli USA inizino – in qualità di una contromisura – a fornire all’Ucraina i missili ATACMS a lungo raggio.
Sembra una tesi non priva di logica… E proprio per questo sembra una tesi quasi di fantascienza: infatti, si tratterrebbe di una improvvisa illuminazione dei dirigenti statali russi che a febbraio del 2022 avrebbe dovuto indurre – se manifestatasi – a non iniziare neanche la guerra in Ucraina. Perché non era proprio impossibile immaginare tutte le possibili conseguenze.
Ma ora, in questa fase molto avanzata della guerra, non è assolutamente da escludere (e lo stesso articolo lo ammette) che gli stessi dirigenti russi decidano che ormai non ci sia più nulla da perdere. La guerra va portata avanti a ogni costo, mentre le munizioni proprie sono sempre meno. Quindi l’acquisto dei missili iraniani da parte della Russia mi sembra solo una questione di tempo. Molto breve.


La lettura del sabato

La lettura proposta per questo sabato è un articolo che racconta solo un «piccola» storia, solo una delle tantissime esperienze vissute dai comuni cittadini russi in disaccordo con la guerra putiniana contro l’Ucraina.
Potrebbe aiutarvi a capire quale tipo di regime politico ha deciso di attaccare uno Stato vicino intenzionato a seguire la strada dello sviluppo [avrei potuto mettere il punto già ora] occidentale.
Io, intanto, spero che qualche futuro storico della vita quotidiana riesca a raccogliere e pubblicare un po’ di storie del genere: perché la memoria collettiva è breve e tra qualche decennio rischiamo di sentire delle frasi del tipo «quando c’era Putin, c’era l’ordine».


L’indicatore della crisi

Uno dei modi possibili – anche se, ovviamente, non il più importante e scientifico – di valutare quanto stia andando «bene» l’economia russa ai tempi di guerra è vedere quanto sarebbe disposto «il Cremlino» a spendere per l’apparenza della normalità e della unità ideologica interna.
Sul social network «VKontakte» (VK) è partita la campagna di arruolamento degli spettatori per il concerto con il quale si intende festeggiare il nono anniversario della annessione della Crimea. Il concerto è programmato per il 18 marzo allo stadio moscovita Luzhniki.
Il luogo del concerto è dunque lo stesso del «concerto patriottico» del 22 febbraio. Ma, a differenza di quella occasione, ai potenziali spettatori del 18 marzo non vengono più promessi 500 rubli (poco più di 6 euro) per la presenza. In compenso, vengono promessi un pasto, l’esibizione di alcuni famosi artisti noti per la loro posizione «patriottica» e un nuovo stand-up comedy di Vladimir Putin…
Ma io mi ricordo bene che prima della pandemia per la presenza alle manifestazioni pro-governative pagavano anche più di mille rubli (che all’epoca valevano di più). Considerando che dopo oltre un anno il grado di approvazione popolare della guerra dichiarata è sceso notevolmente (anche se le indagini sociologiche sono un po’ difficili da fare), i dirigenti dello Stato russo avrebbero dovuto essere un po’ meno tirchi. Di conseguenza, possiamo presumere che i soldi stiano finendo: anche quelli ottenuti attraverso degli schemi fantasiosi di vendere il petrolio alla India e ad alcuni stati africani.
P.S.: l’economia russa – parlandone seriamente – per ora sta andando meno male del previsto, ma molto peggio di quanto si tenti di mostrarlo con la statistica ufficiale. Solo nel contesto della guerra in corso, le sanzioni occidentali, la fuga delle persone più istruite e dei capitali avranno degli effetti negativi pesanti a lungo termine, ma, logicamente, non immediati. Ma si tratta di un argomento serio e lungo, dunque lo rinvio a un altro articolo.


La Cina elimina i dubbi

Le persone che seguono poco la politica internazionale (oppure non la capiscono) di fronte a ogni notizia circa le sanzioni contro la Russia – da anni, non solo nell’occasione di questa guerra – spensieratamente dicono: «Beh, tanto c’è la Cina…»
Lo stato reale delle cose ha già dimostrato una infinità di volte che la Cina non ha alcun interesse e alcuna intenzione di aiutare la Russia. Non le conviene economicamente perché è un mercato piccolo e povero. Non le conviene politicamente perché non vuole litigare troppo fortemente con gli USA e l’Europa (molto più potenti e ricchi). Può provare di sfruttare le risorse naturali e i territori russi, può utilizzare il territorio russo come una strada di passaggio verso l’Europa, ma non è disposta di rischiare facendosi coinvolgere in relazioni politiche o economiche troppo strette.
L’ultima testimonianza di tale concetto è il documento «La posizione della Cina sulla soluzione politica della crisi ucraina» pubblicato il 24 febbraio dal Ministero degli Esteri cinese. Il documento è pieno di espressioni molto-molto diplomatiche… Talmente diplomatiche che non si capisce che senso abbia avuto pubblicarle.
L’unica dichiarazione da senso preciso e ben determinabile è contenuta al primo punto. Con quel punto la Cina, in sostanza, sta dicendo alla Russia: «uscite dal territorio ucraino internazionalmente riconosciuto e solo dopo parliamo di tutto il resto». La posizione mi sembra molto chiara:

1. Respecting the sovereignty of all countries. Universally recognized international law, including the purposes and principles of the United Nations Charter, must be strictly observed. The sovereignty, independence and territorial integrity of all countries must be effectively upheld. All countries, big or small, strong or weak, rich or poor, are equal members of the international community. All parties should jointly uphold the basic norms governing international relations and defend international fairness and justice. Equal and uniform application of international law should be promoted, while double standards must be rejected.

Meno male che c’è la Cina. E meno male che è riuscita mostrare le proprie reali intenzioni non solo ai dirigenti dello Stato russo, ma anche al pubblico internazionale.
P.S.: l’immagine con la quale posso illustrare al meglio il presente post è stata suggerita, involontariamente, dallo staff di Vladimir Putin. Vi ricordate il suo mega-tavolo diventato famoso poco prima della guerra? Ebbene, guardate come viene utilizzato da Putin quando egli si trova a parlare con un diplomatico dal quale vuole realmente qualcosa:

Che tristezza ridicola…


Le rivelazioni di Putin

Ieri – quando mancano tre giorni al primo anniversario della guerra in Ucraina – Vladimir Putin ha pronunciato il suo messaggio annuale alle Camere riunite del Parlamento russo (in base alla Costituzione lo avrebbe dovuto fare l’anno scorso, ma non voleva distrarsi). Logicamente, tante persone si aspettavano di sentire qualcosa di nuovo o almeno forte in quel messaggio… In realtà, non molto logicamente: nelle dichiarazioni di Putin a volte compaiono delle nuove giustificazioni e dei nuovi obiettivi della guerra in corso, ma ogni volta sono noiosamente lontani da ogni somiglianza con la realtà.
Il discorso di ieri non è stato una eccezione. Anzi, peggio: non è stato inventato alcunché di nuovo. Di conseguenza, l’intero discorso può essere riassunto in una frase: «L’Occidente ci ha costretti a fare la guerra in Ucraina».
Per le persone in cerca di maggiori informazioni posso aggiungere altri concetti sorprendenti: «sono cattivi tutti tranne noi», «le nostre armi sono le più potenti anche se nessuno le vede», «le elezioni presidenziali del 2024 saranno democratiche»…
Se non ci fosse una guerra, avrei controllato il calendario per vedere se è già il primo di aprile. Ma sul mio calendario, da quasi un anno, è quotidianamente il 24 febbraio.


Perché gli sembra più sicuro?

Il video domenicale di questa settimana è di carattere informativo: parla del nuovo mezzo di trasporto preferito di Vladimir Putin. Ora sappiamo che ha qualche fobia in più rispetto a pochi anni fa:

A Putin piace di fare finta di essere un esperto di storia. Probabilmente, una delle cose che non sa della storia è il destino del suo imperatore russo preferito, Aleksandr III. La salute di quest’ultimo fu stata rovinata a causa del deragliamento del suo treno nel 1888: dopo quell’incedente visse poco e male.


Non escludo che lo abbiate già letto: il 7 febbraio il National Security Archive della George Washington University ha reso pubblici tre documenti del 1993 relativi alla Russia e precedentemente classificati come segreti. In particolare, si tratta di:
1) la trascrizione della prima conversazione tra Bill Clinton e Boris Eltsyn dopo l’insediamento alla Presidenza russa;
2) un messaggio del Segretario di Stato uscente Lawrence Eagleberger al suo successore Warren Christopher;
3) una nota dell’esperto di Russia Strobe Talbott al Segretario di Stato entrante Christopher Warren alla vigilia del suo incontro con il Ministro degli Esteri russo Andrei Kozyrev.
Non so quale dei tre documenti vi possa interessare di più (ovviamente, se vi interessate ai documenti del genere). Considerato il contesto nel quale viviamo ora, potrebbe essere il secondo documento: in esso, tra le altre cose, viene ammessa la possibilità di un conflitto armato tra la Russia e qualsiasi Stato al suo confine, compresa l’Ucraina (anche se in questo specifico caso lo scontro veniva giudicato come poco probabile).
Se siete realmente interessati all’argomento, leggete pure gli originali.


La risoluzione europea su Navalny

Il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione che invita le autorità russe a rilasciare il leader dell’opposizione Aleksey Navalny e altri prigionieri politici russi. Il comunicato stampa del Parlamento europeo afferma, poi, che, fino a quando i prigionieri politici non saranno rilasciati, le condizioni della loro detenzione dovranno essere conformi agli impegni internazionali della Russia. In particolare, i deputati chiedono che a Navalny sia consentito di vedere la sua famiglia e di rivolgersi ai medici e agi avvocati di sua scelta.
E poi ci sono altre belle parole sulla guerra in Ucraina e sul destino giudiziario del criminale chiamato Putin.
A questo punto non riesco a capre ben due cose: 1) a chi è rivolta la risoluzione (se non alla coscienza degli eurodeputati che vogliono sentirsi bravi) e 2) quanto bene sia chiara ai deputati europei la totale inutilità pratica del documento da loro prodotto.
Però posso sfruttare l’occasione per informarvi di una idea che mi capita sempre più spesso di sentire da alcuni giornalisti russi: Aleksey Navalny è un prigioniero politico che — mentre persiste il regime putiniano — non verrà liberato, ma nemmeno ucciso su «ordine supremo» proprio perché è una merce di scambio preziosissima. Una merce da utilizzare non per liberare qualche collaboratore importante di Putin (anche perché nessun Stato occidentale si è finora deciso di arrestarne uno, per esempio il ministro degli Esteri Lavrov), ma per ottenere qualcosa di importanza vitale in una situazione di vera emergenza. Navalny è l’oppositore russo con la notorietà e la reputazione più elevati al livello mondiale, quindi può essere scambiato, per esempio, per la possibilità dei vertici russi di fuggire da qualche parte in America latina o su qualche isola oceanica… So che sembra quasi una teoria complottistica, ma ha una sua logica interna.
P.S.: ovviamente, tutto questo non significa che la vita terrestre di Aleksey Navalny non sia quotidianamente a rischio per colpa di un impegno professionale eccessivo dei carcerieri russi.


Yahoo News scrive che un ingegnere russo – che dal 2018 al 2021 avrebbe collaborato alla costruzione bombardiere strategico Tu-160 a Kazan – alla fine di dicembre 2022 ha chiesto l’asilo politico negli USA presentandosi al confine messicano. Dai documenti ottenuti i giornalisti hanno potuto scoprire l’identità della persona, e proprio questo fatto è sembrato a loro abbastanza strano: solitamente i personaggi del genere – se e quando giudicati attendibili – vengono protetti con più efficienza.
A me, un semplice lettore attento delle notizie, l’accaduto non sembra invece strano: molto probabilmente – anche se non posso averne l’assoluta certezza – si tratta di un nuovo e logico passaggio nella guerra mondiale di informazione. In sostanza, attraverso un canale giornalistico (anche se non tra i più popolari a livello mondiale) si è voluto lanciare un nuovo messaggio a tutti quei russi che attualmente collaborano con il proprio Stato nell’ambito militare: «scappare non è ancora tardi, vi accoglieremo». Sarebbe uno dei modi (o tentativi) di indebolire la macchina bellica russa. Uno dei modi tradizionali che potrebbero avere un effetto positivo, indipendentemente dalla sua portata.