L’archivio della rubrica «Nel mondo»

L’energia nevosa

Perché tutti parlano della energia solare e nessuno parla della energia nevosa? Boh…

E, soprattutto, perché l’entusiasmo popolare è ancora tanto alto da oscurare i limiti di quella solare in certe zone geografiche?
Ah, no: l’entusiasmo non è solo popolare. Ai dirigenti dell’UE era bastata una sola estate con tanto sole e vento per dimenticare che la quantità del vento e delle giornate soleggiate varia di anno in anno (ma pure nei periodi più brevi), decidere dunque di poter non rinnovare le scorte del gas (inducendo quindi gli ex fornitori a dedicarsi ad altri mercati), e, di conseguenza, trovarsi – a grandissima sorpresa – nella situazione di dover affrontare il prezzo di oltre mille euro per mille metri cubi del gas…


L’impopolarità del populismo

Oltre alle ricerche sospette sul livello della povertà nel mondo, nello stesso mondo si pubblicano anche delle ricerche alle quali si vuole tanto credere. Per esempio: nella ricerca della Bennett Institute for Public Policy (della Cambridge University) si sostiene che i partiti (e i politici) populisti di tutto il mondo hanno perso nel grado del sostegno durante la pandemia del Covid-19.
Gli autori della ricerca hanno raccolto e studiato le opinioni politiche di più di mezzo milione di persone di 109 Stati dall’inizio del 2020 (non tantissimi, ma nemmeno pochi). E hanno scoperto che il sostegno ai partiti populisti in tutto il mondo è sceso in media di 10 punti percentuali nel periodo indicato. Invece l’approvazione delle azioni dei governi centristi nel contrasto della pandemia alla fine del 2020 era in media di 16 punti percentuali superiore all’approvazione delle azioni nello stesso campo intraprese dei governi populisti. Inoltre, in tutto il mondo è aumentata la fiducia nelle istituzioni tecnocratiche e negli esperti che prendono le decisioni politiche. Già nell’estate del 2020, per esempio, il numero di persone convinte che gli esperti dovessero essere autorizzati a prendere le decisioni in base al loro parere professionale era già aumentato di 14 punti percentuali in Europa e di 8 punti negli Stati Uniti.
Beh, i risultati di questa ricerca potranno essere verificati in giro di pochi anni. Dobbiamo solo «fare lo sforzo» di arrivarci per vedere tutto con i propri occhi, ahahaha


Affermazioni sospette sulla povertà

A volte mi capita di leggere delle ricerche statistiche-economiche un po’ strane… Per esempio: la Oxfam (Oxford Committee for Famine Relief, una confederazione internazionale di organizzazioni non profit che si dedicherebbero alla riduzione della povertà globale) sostiene che da marzo del 2020 – quindi dall’inizio della pandemia del Covid-19 – la ricchezza delle 10 persone più ricche è aumentata di 1,3 miliardi al giorno per tutto il periodo della pandemia. Allo stesso tempo, sempre secondo la Oxfam, i redditi del 99% delle persone sono scesi e più di 160 milioni di persone sarebbero finite sotto la soglia della povertà.
Boh… Capisco che durante la pandemia qualcuno si è arricchito: lo si può spiegare abbastanza facilmente. Sempre facilmente si può capire che molte persone hanno perso almeno una parte dei loro redditi: per esempio, tutti coloro che lavoravano nel settore dei servizi alla persona (quindi chiuso o fortemente limitato per molto tempo a causa delle restrizioni medico-sanitarie); hanno poi perso il lavoro molte persone meno istruite, quelle che svolgevano i lavori manuali non praticabili da remoto.
Ma l’affermazione sul calo dei redditi del 99% delle persone mi sembra una grossa esagerazione. Infatti, in tutto il mondo c’è una notevole quantità delle persone che, pur lavorando da casa, continua a percepire lo stipendio di prima, ma spende meno rispetto al periodo pre-pandemia. Così, ogni mio lettore può provare a calcolare quante spese sosteneva prima solo per andare fisicamente al lavoro: per i mezzi di trasporto (pubblici o privati) o per i vestiti seri e di qualità. E poi, sicuramente, ora si spende meno per i viaggi di vacanza. Insomma, prima della pandemia nel corso di ogni anno solare si accumulava una somma sensibile.
Quindi mi sa che i lottatori professionali contro la povertà hanno tentato ancora una volta di manipolare l’opinione pubblica.


Le semplificazioni dei 26 senatori

Il Senato degli Stati Uniti ha pubblicato una proposta di legge, redatta da 26 senatori, sulle sanzioni da imporre alla Russia se le truppe russe dovessero invadere l’Ucraina o se il conflitto tra la Russia e l’Ucraina dovesse intensificarsi ulteriormente. Tra le misure proposte ci sono il divieto di entrare negli Stati Uniti e il congelamento dei beni statunitensi del presidente russo, del primo ministro, del ministro degli esteri e del ministro della difesa, così come dei comandanti di vari tipi di truppe e di altri individui che la Casa Bianca dovesse ritiene coinvolti in «aggressioni contro l’Ucraina». Si tratta di un documento lungo e, dicono, visto positivamente dalla Casa Bianca. Ma nonostante tutto questo, attualmente non mi sembra un documento da prendere troppo sul serio.
Prima di tutto, non è da prendere sul serio perché l’intervento diretto (apertamente dichiarato) delle truppe russe in Ucraina continua a sembrarmi poco probabile. In secondo luogo, non è detto che un documento del genere venga approvato (o, almeno, approvato nella sua redazione attuale). In terzo luogo, spero tanto che prima o poi qualcuno riesca a spiegare ai politici federali americani che il presidente russo menzionato nel documento si comporta costantemente come un bullo infantile: quando si sente sotto pressione, continua a «fare il cattivo» con una intensità maggiore di prima. Quest’ultimo punto, in particolare, complica tanto il lavoro dei politici e diplomatici costretti ad affrontare i comportamenti dei governanti russi e richiede una buona fantasia nell’inventare le sanzioni: ovviamente, qualora ci fosse l’interesse di introdurre sanzioni (o compiere qualsiasi altro tipo di azione) funzionanti e realmente mirate al raggiungimento di un obiettivo concreto e voluto. E, effettivamente, dobbiamo ammettere che nessuno ha mai sostenuto che la politica e la diplomazia siano dei mestieri facili. Non consistono certo nella sola frase imperativa «fai il bravo».


Il ritmo della innovazione

In teoria – quella facilmente comprensibile a tutti, ahahaha – la pandemia prolungata avrebbe dovuto apportare dei cambiamenti importanti alla nostra vita quotidiana e, in particolare, rendere quest’ultima «più digitale»: in modo da permetterci di svolgere più attività possibile a distanza.
Sulla pratica, però, la digitalizzazione della vita dimostra di essere solo un fenomeno del progresso sociale ma non proprio tecnologico. Lo possiamo dedurre, per esempio, dalla ricerca della IFI Claims Patent Services, una piattaforma di analisi dei dati sulla proprietà intellettuale che pubblica da decenni i 50 maggiori titolari di brevetti nel mercato statunitense.
Nel 2021 il numero di brevetti registrati negli USA per le tecnologie varie è diminuito del 7,5% rispetto all’anno precedente. In totale sono stati registrati 327.300 brevetti. Il 2021 è stato dunque il secondo anno consecutivo di declino, ma il calo del 2021 è stato il più grande degli ultimi dieci anni.
Il numero totale delle domande di registrazione di brevetto negli USA nel 2021 è stato di 410.000, l’1% in meno rispetto al 2020.
La maggior parte dei brevetti registrati negli USA è stata depositata da aziende locali (45,8%), seguite da quelle giapponesi (14,4%), sudcoreane (6,5%) e cinesi (6,3%). Ma solo le aziende cinesi hanno visto un aumento del 10% delle registrazioni nel 2021.
Il detentore del record di brevetti concessi è la statunitense IBM (oltre 8,6 mila), seguita dalla sudcoreana Samsung (6,4 mila), dalla giapponese Canon (3 mila), dalla taiwanese TSMC (2,8 mila), dalla cinese Huawei (2,77 mila) e dalle statunitensi Intel (2,6 mila) e Apple (2,5 mila).
Negli ultimi cinque anni, invece, le categorie in più rapida crescita nella quantità dei brevetti sono state i modelli informatici basati su modelli biologici (il tasso di crescita medio annuo tra il 2017 e il 2021 è stato del 54,5%), le innovazioni nella agricoltura (42,5%), i dispositivi elettrici per il fumo (40,5%), l’apprendimento automatico (38,6%), i computer quantistici e i sistemi informatici basati su fenomeni di meccanica quantistica (35,9%), le capacità speciali legate alla estrazione di petrolio, gas o acqua (35,6%), etc.
A questo punto la tendenza di lungo periodo mi incuriosisce ancora di più.


L’esempio di Novak Djokovic

Fino all’inizio di gennaio di quest’anno il tennista Novak Djokovic mi è stato moderatamente simpatico, sicuramente molto più simpatico della maggioranza dei suoi famosi colleghi-rivali.
Non solo fino al momento della pubblicazione di questo post, ma anche per il tempo infinito seguente, mi sono però notevolmente antipatici i no-vax. Più o meno nella stessa misura mi sono antipatiche anche le persone ignoranti e pigre che non si sforzano a individuare la fonte delle proprie paure nei confronti dei vaccini, ma ora mi concentro solo sui no-vax.
Ebbene, sono enormemente contento per il fatto che Novak Djokovic sia finalmente riuscito a essere un esempio positivo anche fuori dai campi sportivi… Logicamente, – e non è assolutamente un tentativo di offendere qualcuno – non possiamo aspettarci una grande intelligenza da uno sportivo professionista, quindi dobbiamo costatare che sia diventato un esempio positivo involontariamente. Infatti, i recenti avvenimenti della sua biografia hanno dimostrato a tutto il mondo (e forse dimostreranno ancora) che senza la vaccinazione non si torna alla vita normale.
Spero tanto che questo esempio concreto abbia già convinto qualcun altro a vaccinarsi.
Novak Djokovic, intanto, è stato liberato e ha iniziato ad allenarsi. Se dovesse veramente essere ammesso all’Australian Open 2022, io, per la prima volta nella vita, tiferò contro di lui.


Le proteste in Kazakistan

In molti hanno già letto o sentito che in Kazakistan le proteste economiche si sono presto trasformate in quelle politiche. E, soprattutto, sono diventate abbastanza pesanti.
Di conseguenza, direi che in questo momento sono due gli aspetti da capire su quanto sta succedendo.
Inizierei dall’aspetto economico. Per tantissimi anni, praticamente dal momento della caduta dell’URSS, il Governo kazako conteneva i prezzi del gas in un modo puramente amministrativo: lo vendeva alla popolazione a un prezzo basso, sensibilmente più basso di quello di mercato. Nel 2021, però, si è reso conto di non poter più sostenere questa spesa e ha deciso di vendere il gas – a partire dal 1 gennaio 2022 – sul mercato. Di conseguenza, il prezzo del gas è volato verso l’alto sulle borse. La popolazione kazaka, da parte sua, si è sentita duramente colpita anche perché molte persone avevano trasformato le proprie auto in modo da alimentarle a gas. Inoltre, naturalmente, l’aumento dei costi di trasporto delle persone e delle merci incide sul portafogli anche di quelle persone che non hanno alcun mezzo motorizzato proprio.
In cosa consiste l’errore più grande del Governo? Probabilmente nel fatto di avere liberalizzato i prezzi «di colpo». Perché quel colpo unico è stato troppo sensibile.

E poi c’è da capire l’aspetto politico. Non posso prevedere quanto dureranno le proteste popolari e a quali risultati porteranno. Però posso osservare già ora che i successori politicamente fidati di Nursultan Nazarbaev (che ha governato il Kazakistan in prima persona dal 1990 al 2019) si sono approfittati della situazione creatasi per destituire la guida storica da quei pochi incarichi formali che Nazarbaev si era tenuto dopo avere lasciato – per motivi di età e salute – quelli principali. I cittadini kazaki ragionevolmente non fanno molta distinzione politica tra Nazarbaev e il presidente attuale Toqaev e, evidentemente, non vorrebbero limitarsi a far cadere solo la statua del primo. Però c’è uno grosso Stato vicino (si trova al nord rispetto al Kazakistan), dove al governo si trova una persona attualmente molto preoccupata. Preoccupata perché vede cosa succede quando il potere viene lasciato alle persone incapaci di controllare costantemente la situazione politica nel Paese: i problemi iniziano arrivare non solo dal popolo, ma anche dal fronte dei colleghi politici. In sostanza, Kazakistan sta dando un «brutto» esempio, quell’esempio andrebbe in qualche modo eliminato prima che diventi ancora più «brutto».
Di conseguenza, si smetta di preoccuparsi per la sorte della Ucraina: all’est sta nascendo un’altra situazione critica.
Io, nel frattempo, faccio i miei complimenti ai protestanti kazaki: hanno già dimostrato di fare parte di una società viva e politicamente attiva.


La prima buona notizia

Potrebbe anche non essere la prima, ma sicuramente è una delle prime buone notizie del 2022.
Probabilmente vi ricordate di Spencer Elden – ora trentenne – che all’età di quattro mesi era stato fotografato per la copertina dell’album «Nevermind» (uscito nel 1991) dei Nirvana. Nel corso della propria vita Elden ha realizzato più volte delle repliche dello scatto in piscina (rimanendone sempre il protagonista) negli anniversari dell’album, si è fatto tatuare il nome dell’album sul petto e ha firmato delle copertine di Nevermind per venderle su eBay. Nell’agosto del 2021, poi, ha deciso di non contenere più la propria avidità e ha citato in giudizio gli ex membri dei Nirvana, gli autori della copertina dell’album e alcune case discografiche, chiedendo 150.000 dollari a ognuno di loro. Il motivo formale: la distribuzione dei materiali privati di carattere sessuale e la sollecitazione alla attività sessuale commerciale del minore.
Ebbene, le pretese di Spencer Elden sono sembrate infondate non solo ai legali delle parti citate. Il giudice – che per una serie di motivi non può mandare affanculo nemmeno un idiota come Elden – ha fatto l’unica cosa che poteva fare: ha respinto la sua richiesta, ma gli ha concesso tempo fino al 13 gennaio per ripresentarla, tenendo conto della posizione dei convenuti (riassunta nel capoverso precedente). Ma bisogna tenere conto anche del fatto che i termini di prescrizione per le richieste avanzate da Elden sono scaduti nel 2011.
Quindi è ormai quasi certo che almeno in questa occasione la ragione abbia vinto.

Anche se nello strano mondo contemporaneo sono sempre possibili delle svolte molto strane…


La doppia fuga

A novembre del 2020 un nordcoreano ha rischiato seriamente la vita attraversando illegalmente il confine terrestre per scappare in Sud Corea.
La sera dell’1 gennaio del 2022 ha rischiato nuovamente la vita per rifare la stessa strada nella direzione opposta (ma questa volta, se non dovesse essere una spia nordcoreana rientrata a casa, rischia di fare una brutta fine in qualsiasi momento).
Cosa possiamo apprendere da questa notizia stranissima, direi singolare? Ben due cose.
Prima di tutto, possiamo constatare che nessuno ha più il diritto di sostenere di praticare uno sport estremo.
E poi possiamo chiederci: perché non si scrivono dei libri e non si girano dei film d’avventura sui nordcoreani che scappano in Sud Corea? Potrebbero diventare delle opere eroiche cariche di tensione, dei blockbuster veri… Oppure sono io che mi sono perso qualcosa? In ogni caso, il tipo misterioso che ha deciso volontariamente di fare il ritorno nello Stato di concentramento merita di diventare il protagonista di tante opere culturali. Purtroppo, a me manca un po’ la fantasia per dare una spiegazione realmente originale del suo gesto.


La differenza tra le date natalizie

Riprendendo, in un certo modo, l’argomento del Babbo Natale, potrei finalmente scrivere di quel fenomeno che ormai da diversi anni commento nelle conversazioni tematiche con gli amici e conoscenti italiani. Si tratta delle date diverse del Natale cattolico e quello ortodosso.
Più o meno tutti sanno che il Natale ortodosso si festeggia il 7 di gennaio perché la Chiesa ortodossa segue [ancora] il calendario giuliano. Non tutti però sanno che per la Chiesa ortodossa la data della suddetta festività è fissa: infatti, nel corso dei secoli si è progressivamente spostata dal 23 dicembre al 7 gennaio dell’anno solare successivo. E, soprattutto, il processo dello spostamento della data non si dovrebbe fermare fino al momento della scomparsa del nostro sistema solare. Così, per esempio, a partire dal 2101 il Natale ortodosso si festeggerà l’8 di gennaio.
Il fenomeno dello spostamento della data è dovuto al fatto che il calendario giuliano — che è elevato al rango di un dogma e non può essere cambiato — considererà, a differenza del calendario gregoriano (quello seguito dalla Chiesa cattolica), l’anno 2100 come bisestile perché il suo numero si divide per 4. Secondo il calendario gregoriano, invece, l’anno 2100 non è bisestile perché il suo numero non si divide perfettamente per 400. Di conseguenza, nel calendario giuliano (quello ortodosso) compare un giorno «di troppo»: il 29 febbraio 2100 (che non può essere buttato via per una serie di motivi, la commemorazione di alcuni santi compresa). Questo comporta lo spostamento della data del primo Natale seguente al 29/II 2100 dal 7 all’8 di gennaio 2101. Sempre dalla data del 29 febbraio 2100 la differenza tra i calendari delle due Chiese sarà di 14 giorni e non più di 13.
Naturalmente, non è la prima volta che una cosa del genere si verifica in oltre due mila anni di storia. Quindi vi propongo una tabella che mostra come è cambiata la differenza in giorni tra il calendario giuliano e quello gregoriano. In sostanza, questa tabella mostra, secolo per secolo, quanti giorni vanno aggiunti al 25 dicembre per stabilire la data del Natale ortodosso in vigore per il secolo scelto.

Il secolo I periodi (in anni) del calendario giuliano La differenza in giorni Il secolo I periodi (in anni) del calendario giuliano La differenza in giorni
dal 1/III al 29/II dal 1/III al 29/II
I 1 100 –2 XII 1100 1200 7
II 100 200 –1 XIII 1200 1300 7
III 200 300 0 XIV 1300 1400 8
IV 300 400 1 XV 1400 1500 9
V 400 500 1 XVI 1500 1600 10
VI 500 600 2 XVII 1600 1700 10
VII 600 700 3 XVIII 1700 1800 11
VIII 700 800 4 XIX 1800 1900 12
IX 800 900 4 XX 1900 2000 13
X 900 1000 5 XXI 2000 2100 13
XI 1000 1100 6 XXII 2100 2200 14

Ovviamente, il cambiamento della differenza tra i due calendari comporterà — come ha comportato anche nel passato — lo spostamento anche di tutte le altre festività ortodosse.
La differenza tra i due calendari appare spesso una cosa bizzarra, scomoda, poco sensata etc. Entrambi i calendari, però, sono accumunati da un medesimo problema di logica: se nell’Occidente gli anni si contano dalla nascita di Gesù, perché la data della sua nascita è sempre diversa dalla data dell’inizio dell’anno? Perché secondo il calendario gregoriano l’anno inizia sei giorni più tardi e secondo quello giuliano sette (per ora) giorni prima?
Certo, nemmeno i teologi sono d’accordo tra loro sulla data precisa della nascita di Gesù: sanno solo che sarebbe nato verso la metà dell’inverno. Ma tale incertezza sarebbe un bel motivo aggiuntivo per abbandonare entrambi i calendari (gregoriano e giuliano) e passare a un calendario comune, nel quale la data del Natale sarà fissata per il 31 dicembre. Sarebbe una grande vittoria della logica.
Ma, purtroppo, l’eventualità di un largo consenso tra i rappresentanti dei gruppi concorrenti è un sogno tanto idillico quanto l’attesa delle azioni logiche intraprese da una qualsiasi Chiesa.