Tantissimi russi – alcuni dei quali, a quanto pare, ricoprano degli incarichi istituzionali abbastanza alti – non hanno ancora capito che la guerra è una cosa che si fa in due. Nel senso: anche se chiami la guerra con qualche nome alternativo, lo Stato attaccato partecipa comunque alla vera guerra. Quindi anche i militari di entrambi gli eserciti vengono feriti e uccisi, i mezzi vengono distrutti, i territori dei due Stati vengono colpiti assieme a tutto (e a tutti) quello che si trova sopra. Sì, so benissimo che sembra una enorme banalità, ma in Russia c’è chi si sorprende per questa cosa ogni volta ne rimane toccato: in prima persona o attraverso qualche parente o amico.
Allo stesso tempo, in Russia e in Occidente la maggioranza schiacciante delle persone logicamente segue quella parte della guerra che avviene sul territorio ucraino. Lo segue perché è quella la vera tragedia e il vero crimine. Ma, comunque, non bisogna perdere di vista che la guerra putiniana contro l’Ucraina ormai sta colpendo anche il territorio russo. Questo è normale e in un certo senso giusto (ed è stranissimo usare una espressione del genere). Questo si verificherà sempre con più frequenza. Va osservata per la sua importanza cronologica.
Di conseguenza, per questo sabato vi consiglio l’articolo su come e quanto l’Ucraina colpisce il territorio russo nell’ambito della guerra in corso. Su come, in sostanza, sta restituendo la guerra alla Russia. E su come reagisce la Russia in tutte le sue forme.
L’archivio della rubrica «Nel mondo»
La rivista The Economist ha pubblicato l’«Indice Democrazia 2022» (scaricabile gratuitamente dal sito ufficiale) nel quale si leggono alcune notizie tanto attese (attese in almeno due sensi).
In particolare, nella classifica globale osserviamo la Russia che ha perso 22 posizioni in colpo — un record — ed è scesa dalla posizione 124 alla posizione 146. Rimane dunque tra i regimi autoritari: non è una grossa sorpresa… L’unico aspetto che in un certo senso mi ha fatto ridere è, appunto, il numero della posizione: nel lontanissimo 2011 nella regione russa di Rostov alle elezioni politiche aveva votato, secondo i dati del Ministero degli Interni, il 146% degli aventi diritto. In quel modo il tristemente noto partito «Russia unita» era riuscito a prendere il 58,99% dei voti. Di conseguenza, con un ritardo di quasi dodici anni l’Indice de The Economist si è allineato con la realtà, ahahaha
L’Ucraina, invece, nel suddetto Indice si trova alla posizione 87 e viene dunque classificata come un regime ibrido. Ma il confronto delle due posizioni evidenzia comunque ancora una volta che da quasi un anno stiamo osservando un confronto violento tra due modelli di organizzazione della vita. Spero di sapere quale dei due vincerà.
Il presidente francese Emmanuel Macron durante la visita in Paesi Bassi ha commentato l’eventualità della fornitura degli aerei militari alla Ucraina con la frase «Nulla è vietato». Ma io vedo che la maggioranza dei leader occidentali non sono arrivati nemmeno a questo livello di prontezza.
Quello che mi consola, però, è la comprensione del fatto che tratta semplicemente di una ennesima frontiera da superare nella difesa dell’Occidente da un ometto armato e impazzito. Di frontiere superate ne abbiamo già viste tante: se vi ricordate, l’Europa e gli USA sono partiti dalla semplice disponibilità di fornire all’esercito ucraino solo i caschi, i giubbotti antiproiettili e le tende, ma progressivamente, passo dopo passo, sono arrivati ad autorizzare la fornitura dei carri armati pesanti. Con gli aerei, alla fine, succederà la stessa cosa che è già successa con i Javelin, Patriot, carri armati e tante altre cose: discuteranno per un po’, si ricorderanno (per l’ennesima volta, cose se lo dimenticassero ogni sera) che l’ometto impazzito può ormai essere fermato solo con i metodi militari, e accetteranno di fornire alla pure gli aerei.
Quello che mi preoccupa è che ogni volta ricominciano a discutere quasi da zero e quindi ci impiegano molto più tempo del normale. E quindi ogni volta io ricomincio a sentire la mancanza di Churchill.
Oggi non posso non constatare una ennesima banalità politologica: l’ex generale e il neoeletto presidente ceco Petr Pavel – assumerà la carica il 9 marzo – deve la propria fortuna politica quasi esclusivamente all’atteggiamento dell’attuale regime russo sulla scena internazionale. Infatti, a differenza del suo predecessore, Pavel si dichiara orientato verso l’UE e la NATO e non verso la Cina e la Russia. Più del 58% dei votanti (l’affluenza è stata del 70%) hanno apprezzato questo orientamento.
La tattica di un noto personaggio orientata verso la disunione della politica occidentale registra un nuovo fallimento rilevante…
Se non fosse successo tutto a causa della guerra in corso, mi sarei chiesto – con un tono lamentoso – perché non sia mai stato così facile fare l’analisi politica!
P.S.: il presidente ceco uscente, comunque, è un personaggio abbastanza particolare in tanti sensi.
Per questo sabato sono finalmente – dopo non mi ricordo quanto tempo – riuscito a selezionare un testo che va un po’ oltre i soli argomenti di attualità. Oggi vi segnalo una descrizione giornalistica del percorso professionale di Valery Gerasimov, il capo di stato maggiore del ministero della Difesa russo e il nuovo comandante del raggruppamento di truppe russe in Ucraina.
Dopo mesi di guerra comandata da una sola persona ben nota a tutti voi, i vertici dell’esercito russo hanno iniziato a vedersi affidare sempre più spazio decisionale. In uno Stato normale dovrebbe funzionare sempre così, ma nel caso concreto della guerra in Ucraina io avrei preferito lo schema iniziale: in quel modo l’ideatore della invasione avrebbe perso molto prima, evitando tante nuove morti e distruzioni. Ma gli eventi sono quelli che sono, quindi informiamoci pure sugli alti ufficiali russi.
Andando a vedere cosa scrive la stampa occidentale in generale e quella italiana in particolare sugli argomenti che mi interessano, a volte mi sento costretto pubblicare degli avvertimenti importanti per i miei cari lettori. Per esempio…
I giornalisti russi responsabili (quelli che non ripubblicano ogni cosa che capita sullo schermo) e i lettori russi seri (quelli che usano la testa non solo per mangiare) sanno bene che il dare credito al personaggio di nome Ilya Ponomarev è un segnale di totale incompetenza o spregiudicatezza. Infatti, da anni – in una certa misura ancora dai tempi in cui era un deputato della Duma moderatamente di opposizione e non un esiliato politico – il tipo è noto per dei proclami e dichiarazioni scandalistici (o, se preferite, di forte impatto mediatico) che non sono basati su alcunché di concreto e/o reale. Con l’inizio della guerra in Ucraina, poi, ha evidentemente avuto una sensibile ricarica delle energie celebrali e ha iniziato a spacciarsi per il portavoce di un fantomatico «esercito» di partigiani forti, feroci e incazzati, pronti a stravolgere ogni parte – fisica o sociale – di quel meccanismo che attualmente permette allo Stato putiniano di funzionare. Dei partigiani che sarebbero già responsabili di diversi sabotaggi o eliminazione di personalità vicine al regime.
Fino a oggi tutte quelle dichiarazioni mediatiche di Ponomarev sono state smontate dai giornalisti seri o semplicemente ignorate per la loro palese stupidità. Ma in Europa, a quanto pare, non tutto lo conoscono ancora abbastanza bene…
Capitano delle situazioni in cui mi chiedo quale uso facciano i giornalisti italiani delle proprie fonti… Per esempio…
Affermare che Andrey Medvedev, l’ex comandante della Wagner fuggito in Norvegia, sarebbe stato arrestato è una leggera semplificazione. Di fatto, è stato trasferito un centro di permanenza per gli immigrati perché non era d’accordo su alcune condizioni della propria permanenza in una abitazione «segreta» (per esempio: non poteva passeggiare attorno alla casa, fumare sul balcone o farsi la doccia con la porta chiusa). Le forze dell’ordine norvegesi, di fronte al suddetto disaccordo, avevano due scelte: lasciare andare il tipo o fermarlo e portarlo in un centro di permanenza.
Prima di essere smentito dagli avvenimenti reali, penso che la seconda scelta sia un tentativo di proteggere Medvedev e di averlo a disposizione per le eventuali indagini.
L’articolo segnalato per questo sabato è dedicato a un singolo aspetto della guerra in Ucraina che attualmente può logicamente essere considerato di importanza non primaria. In effetti, rispetto alla uccisone di migliaia di persone o alla distruzione di ogni forma della infrastruttura civile e dell’industria, il saccheggio di un museo d’arte non è la manifestazione più grave della guerra.
Ma alla fine della guerra sarà sicuramente uno dei tanti campi delle indagini, punti di accusa e ambiti di ricostruzione.
Di conseguenza, oggi vi consiglio «serenamente» l’articolo «Museum Takeaway» dedicato al saccheggio del museo d’arte della città di Kherson. E vi ricordo una importante distinzione che in realtà caratterizza un po’ tutte le barbare di questo mondo: solitamente i militari russi rubano le lavatrici o i bollitori per le proprie famiglie e le opere d’arte per i propri «datori di lavoro».
Sicuramente lo avete già letto. Ieri gli eurodeputati hanno adottato, a maggioranza di voti, una risoluzione per l’istituzione di un tribunale speciale che persegua i vertici politici e militari di Russia e Bielorussia per l’aggressione militare contro l’Ucraina.
Ovviamente sono infinitamente contento per il fatto che si siano finalmente decisi, ma allo stesso tempo capisco benissimo che per ora si tratta solo di una semplice presa di posizione politica. Lo dico non solo perché le risoluzioni del Parlamento europeo non sono vincolanti. Lo dico anche e soprattutto perché capisco bene – come lo capiscono pure molti politici europei – che la maggioranza dei vertici politici russi (ne abbiamo in mente prima di tutto uno) quasi sicuramente non farà in tempo a diventare l’imputato di un tribunale speciale peri crimini di guerra.
Non farà in tempo non perché qualcuno si decida a eliminarlo fisicamente, ma perché è una persona ormai non giovanissima. Attualmente ha 70 anni; chissà quanti ne avrà quando:
a) si arriverà a un compromesso sulla competenza territoriale del giudice (l’istituzione di un tribunale in Ucraina, secondo il diritto internazionale, non è meno logica di un tribunale speciale sul modello di quello dell’Aja);
b) verrà realmente creata la normativa per l’istituzione del tribunale speciale;
c) verranno svolte tutte le indagini;
d) verranno formulate le accuse e individuati i primi imputati;
e) finirà la guerra;
f) gli imputati verranno fisicamente catturati e portati sul territorio del tribunale.
Ecco, ora dovreste immaginare che di anni ne passeranno ancora tanti. Mentre la vita terrestre di ogni umano è naturalmente limitata.
Però la dichiarazione politica del Parlamento europeo è importante. Anche perché potrebbe valere come l’ultimo avvertimento a certi collaboratori dei vertici politici russi.
Non so se tutti si siano accorti di un episodio apparentemente piccolo, ma in realtà singolare e inimmaginabile fino a qualche mese fa. Il «grande tattico» Vladimir Putin è riuscito pure nella impresa quasi impossibile di perdere un alleato estero storico: la Serbia.
Infatti, ieri il presidente serbo Aleksandar Vucic ha esplicitamente dichiarato, in una intervista al Bloomberg, che per lui la Crimea e il Donbass sono due territori ucraini. Ha aggiunto, inoltre, di non aver parlato con Putin per molti mesi e che, nonostante le relazioni «tradizionalmente buone» tra Belgrado e Mosca, la Serbia non appoggia ogni singola decisione del Cremlino, e nemmeno la maggior parte di esse.
Insomma, con questa guerra Putin non solo sta ottenendo l’esatto opposto degli obiettivi dichiarati (quei pochi che sono stati dichiarati), ma sta anche perdendo più o meno tutto quello che è stato costruito nei decenni precedenti: ora ne abbiamo visto una ennesima conferma.