L’archivio della rubrica «Nel mondo»

Make Coca-Cola great again

Donald Trump ha dichiarato che la Coca-Cola ha accettato di modificare la ricetta delle bibite fornite al mercato statunitense su sua richiesta:

I have been speaking to Coca-Cola about using REAL Cane Sugar in Coke in the United States, and they have agreed to do so. I’d like to thank all of those in authority at Coca-Cola. This will be a very good move by them — You’ll see. It’s just better!

Molto probabilmente Trump non sa che la ricetta della Coca-Cola è segreta: per evitare le imitazioni vicine all’originale, il produttore indica pubblicamente degli ingredienti (e le proporzioni) in più rispetto a quelli reali per confondere i concorrenti disonesti (per questioni legali non può dichiararne di meno). Non so se farà lo stesso anche con i Presidenti ignoranti, ma ora non importa.
L’importante è che Trump ha finalmente sollevato una questione realmente utile per le sorti del nostro povero pianeta. Ora spero che compia il pesantissimo sforzo di pensare allo stesso argomento per due giorni di fila e inviti la Coca-Cola a non produrre più la versione «light». Quest’ultima, infatti, è imbevibile (mentre quella vera è buona e quella «Zero» è accettabile).
MCCGA!!!!


I fondi per le armi

Il Politico scrive che la Francia e l’Italia non intendono aderire all’iniziativa di pagare le armi statunitensi all’Ucraina: la Francia preferisce investire nella industria militare nazionale, mentre l’Italia sostiene di non avere abbastanza risorse.
Presumo che anche Macron sia capace di investire in qualcosa di più bello, ma proprio la Francia ha poco fa presentato un «Programma strategico nazionale» aggiornato che indica un aumento dei rischi di escalation militare in Europa entro il 2030. In qualità di una grande fonte del pericolo in quel programma viene indicato lo Stato russo.
Questa è l’occasione per ripetere ancora una volta che Macron è stato il primo nell’UE a iniziare di parlare del vero pericolo di guerra (perché la guerra in Ucraina non è una questione dei territori da controllare), mentre tanti altri continuano ancora a sperare che li difenda qualcun altro nel caso dell’attacco. Non so se sia più triste vedere uno che ha investito inutilmente (qualora fortunato) o che ha detto – sempre lui – «avevo ragione» (qualora non abbia fatto un tubo, ma è stato comunque fortunato).
«Grazie» a Putin per questi dubbi.


Ancora la diplomazia Trump

«No, lui [Zelensky] non dovrebbe attaccare Mosca», ha detto ieri Trump ai giornalisti quando gli è stato chiesto se l’Ucraina dovrebbe colpire la città di Mosca. Lo riporta The Financial Times.
«The Financial Times è famoso per togliere le parole dal contesto per ottenere click, perché questo giornale sta morendo», ha dichiarato l’addetta stampa della Casa Bianca Caroline Leavitt dopo la suddetta pubblicazione.
Nel contesto di tale scambio di battute il semplice lettore confuso può presumere solo una cosa: Trump non è contrario agli attacchi ucraini contro Mosca.
Però sappiamo che cambia l’idea più volte al giorno…


Trump ha fatto un nuovo ultimo avvertimento a Putin. Se non dovesse funzionare nemmeno questa volta nemmeno questa volta…
Secondo Trump, ci si deve aspettare l’introduzione di «dazi secondari» contro la Russia se non si raggiunge un accordo di pace con l’Ucraina entro 50 giorni. L’entità di questi «dazi secondari» potrebbe raggiungere il 100%, ha aggiunto Trump.
50 giorni sono già meglio. In precedenza, Trump aspettava ogni quindici giorni per vedere se Putin voleva la pace.
Il 27 aprile Trump aveva dichiarato che entro 2 settimane sapremo se Putin vuole la pace.
Il 19 maggio Trump aveva dichiarato che entro 2 settimane sapremo se Putin vuole la pace.
Il 28 maggio Trump aveva dichiarato che entro 2 settimane sapremo se Putin vuole la pace.
Mi aspettavo una nuova dichiarazione entro il 12 giugno, ma non si era verificata.
Il 14 luglio, invece, ha deciso di recuperare e ha concesso 50 giorni al posto dei 14. La prossima volta, suppongo, si dovrebbero concedere 100 giorni.
Prima o poi dovrà anche scoprire se Putin vuole veramente la pace, vero?


Le bandiere sui vestiti

Questo finesettimana ho fatto due piccole scoperte relative alla propaganda statale russa: una positiva e una curiosa (non so se chiamarla anche negativa o positiva).
La scoperta positiva: almeno nell’Occidente quella propaganda non arriva a tutti.
La scoperta curiosa: con le opere della propaganda statale russa si potrebbe provare a far divertire la gente.
Ho fatto le suddette due scoperte raccontando di come quella propaganda aveva tentato di sfruttare una delle esibizioni della cantante Beyoncé all’insaputa di quest’ultima… No, non sono assolutamente un fan, ma la notizia è arrivata pure sul mio schermo: al suo concerto del 7 luglio Beyoncé aveva utilizzato dei vestiti dedicati ai colori della bandiera statunitense, mentre alcuni operatori della propaganda statale russa hanno sostenuto che questo era stato dedicato alla bandiera russa:

Alcuni hanno pure scritto che il pubblico aveva cantato l’inno russo…
Di certa gente dovrebbero occuparsi gli specialisti vestiti di bianco. A voi, invece, chiedo: secondo voi è più improbabile che Beyoncé si ricordi come è fatta la bandiera russa o che il suo pubblico abbia la capacità e la voglia di cantare l’inno russo?
Boh…


La lettura del sabato

L’articolo segnalato nella edizione odierna della ormai tradizionale rubrica collega in un unico schema Putin, Orban, l’UE, il petrolio e tutti quelli che sanno guadagnare con tutte le parole appena elencate. È uno schema che in una certa misura condizionava la vita europea prima della guerra, lo condiziona ora e per chissà quanto tempo condizionerà ancora.
A volte è bello consigliare degli articoli di portata un po’ più grande del solito.


Che cosa era quella pausa?

La Reuters scrive che gli USA hanno ripreso le consegne di alcune armi alla Ucraina: proiettili d’artiglieria da 155 mm e missili a guida precisa noti come GMLRS, utilizzati nei lanciarazzi multipli HIMARS. Non è chiaro perché l’ultima spedizione abbia incluso solo proiettili e razzi per lanciarazzi multipli; non è noto se sia stata presa la decisione di riprendere le consegne di altre armi.
In compenso, ieri ho sentito una curiosa interpretazione della pausa nelle forniture americane del materiale bellico alla Ucraina: dopo l’intervento-lampo in Iran – non c’è bisogno di precisare – Trump avrebbe detto Pete Hegseth di fare l’inventario dei materiali disponibili, mentre quel personaggio, con il suo grado di intelligenza e preparazione che purtroppo conosciamo, si è inventato il modo più cretino di farlo. «Non facciamo uscire nulla finché non finiamo a contare». E, in più, lo avrebbe fatto senza informare Trump stesso (che infatti si era dimostrato incapace di commentare la situazione). La cosa più preoccupante: l’ipotesi mi sembra credibile e realistica.
La ripresa delle forniture alla Ucraina, seppure modeste, è comunque una cosa positiva.


“Finalmente” i voli diretti

Ieri l’agenzia russa Rosaviatsia ha rilasciato alla russa Nordwind Airlines il permesso di volare sulla rotta Mosca-Pyongyang, ha riferito l’Associazione degli operatori turistici della Russia. In base alla autorizzazione, la compagnia aerea potrà effettuare voli fino a due volte a settimana (mentre a giugno è stato istituito un treno diretto da Mosca a Pyongyang: il viaggio di andata dura nove giorni).
Lasciando da parte la questione politica (troppo evidente e dunque banale), è curioso notare che l’autorizzazione è stata data solo alla compagnia russa. Significa che pure nelle condizioni delle sanzioni internazionali (che non permettono prendere in leasing gli aerei nuovi o acquistare legalmente i pezzi di ricambio per quelli disponibili) si preferisce far volare le persone (per ora non andiamo a vedere quali) con una compagnia russa e non quella nordcoreana.
Qualcuno di voi avrebbe fatto una scelta diversa? Ahahaha


Sergio Gor

Times of Malta e OCCRP rivelano: il direttore dello staff della Casa Bianca Sergio Gor, 38 anni, è nato in Uzbekistan, nell’Unione Sovietica e ha «nascosto» le proprie origini. E ci è stato a Mosca per due volte: nel 2017 e nel 2018.
In particolare, Sergio Gor è nato il 30 novembre 1986 a Tashkent. Secondo i giornalisti, Gor ha vissuto a Malta per almeno cinque anni durante la sua infanzia. In particolare, dal 1996 al 1999 ha studiato in una scuola cattolica per ragazzi nella città di Vittoriosa. In seguito (non è specificato quando), la famiglia di Gor è emigrata negli Stati Uniti, dove ha ottenuto la cittadinanza.
Conoscendo l’attenzione della amministrazione Trump verso certi dettagli, non posso escludere che i sospetti dei giornalisti fossero fondati. Ma, allo stesso tempo, tenendo conto della età di Gor e del tempo ridotto che ha vissuto nell’URSS (in sostanza, solo da bambino che non ragiona sulla politica), posso altrettanto facilmente presumere che fosse realmente convinto del fatto che non esiste alcun legame tra la Russia e le altre ex repubbliche dell’URSS. Potrebbe anche essere sinceramente convinto di «non c’entrare nulla con la Russia» perché ci ha vissuto poco in quella zona.
Insomma, per ora mi sembra più una notizia sul contenuto del cervello di una persona che sul fatto di una infiltrazione.
Vedremo.


He doesn’t know, but I do

Il 5 luglio, a bordo dell’Air Force One, quando gli è stato chiesto se fosse sicuro di poter porre fine ai combattimenti in Ucraina, Trump ha risposto ai giornalisti:

I don’t know. I can’t tell you whether or not that’s going to happen.

Ovviamente, quella domanda giornalistica poteva avere una infinità di obiettivi tranne uno: quella di ottenere una informazione sui fatti futuri.
Ma io, non essendo Trump e non essendo stato interrogato dai giornalisti, mi autorizzo da solo a rispondere a quella domanda nel suo unico senso non previsto. Tanto, arrivare a quella risposta è facilissimo.
Lo so, non succederà. Se Trump continua così come ha agito fino a oggi, sicuramente non ci riuscirà. Perché anche in quelle rare occasioni in cui fa qualcosa di riguardante la guerra in Ucraina, fa in modo che le posizioni della Ucraina si aggravino. E, dato che l’Ucraina non intende arrendersi, possiamo dire che Trump sta facendo il possibile per prolungare la guerra.
Potremo tornare alla stessa domanda quando, per esempio, Trump decide almeno di sbloccare quegli ultimi aiuti militari che erano stati destinati alla Ucraina dal suo predecessore Biden.