Mi ero quasi convinto, nel corso del primo mese della seconda presidenza di Donald Trump, che quest’ultimo volesse realmente fare l’amicizia politica con Putin: «comprarlo» in qualche modo per tentare di farlo stare tranquillo e dichiararsi un grande risolutore dei problemi internazionali e difensore degli interessi americani.
Ma le particolarità mentali di Trump evolvono molto velocemente e iniziano a produrre gli effetti pericolosi pure per lui (e non solo per il mondo che lo circonda).
L’altro ieri, per esempio, l’amministrazione Trump ha proposto una «tregua di 30 giorni» sul fronte ucraino (inizialmente era una proposta di Zelensky, ma Trump non si preoccupa di questi dettagli), ma ha dimenticato di avvisarne / parlarne a Putin. Solo Rubio ha pubblicamente detto «ora vediamo chi realmente non vuole finire la guerra». Lo Stato russo in generale e i suoi diplomatici e militari in particolare non hanno ancora dimostrato in alcun modo di essere interessati o informati della proposta: ieri la guerra ha continuato come al solito, mentre la proposta della tregua, secondo alcune dichiarazioni, «verrà sottoposta allo studio». A questo punto sembra che l’ego di Trump rischi ora di essere ferito in un modo fatale e, come se non bastasse, per lui non è più possibile dare la colpa di tutto allo «stupido» Biden o «aggressivo» Zelensky.
Molti di noi si chiedevano chi avrebbe scatenato una guerra nucleare allo scadere del primo quarto del XXI secolo. Ora possiamo tutti presumere che, molto probabilmente, sarà quel pacificatore di 80 anni che ha appena scoperto che non frega niente a nessuno dei suoi piani narcisistici, che nessuno, in fondo, lo rispetta minimamente. O forse sarà il primo Presidente degli Stati Uniti a mandare tutto in quel paese e a spararsi?
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Rappresentanti delle agenzie di intelligence occidentali avrebbero dichiarato alla Bloomberg che Putin non ha intenzione di fare concessioni nei negoziati sulla risoluzione della guerra russo-ucraina, ha avanzato richieste deliberatamente «massimaliste» nel periodo precedente ai negoziati ed è «pronto a continuare a combattere se non otterrà ciò che vuole».
O Bloomberg ha inventato di nuovo una notizia clickbait (come di solito fa), oppure Putin ha finalmente formulato una nuova versione degli obiettivi della guerra militare speciale (che ora venderà a Trump).
Quali siano queste richieste-obiettivi non è in realtà importante. In primo luogo, cambieranno molte altre volte nel corso dell’opera. In secondo luogo, è facile immaginarne molti (il disarmo della Ucraina, l’alienazione dei territori inclusi nella «Costituzione» russa, la non adesione della Ucraina alla NATO, ecc.).
L’unica cosa interessante della non-notizia inventata dalla Bloomberg è che ci viene ricordato ancora una volta che, indipendentemente da ciò che Putin dice in pubblico circa il proprio desiderio di porre fine a questa guerra, in realtà per lui è indifferente se la guerra finisce o meno. Se finisce la guerra, risolverà alcuni dei propri problemi e ne creerà di nuovi, se non finisce la guerra, potrà continuare la guerra a lungo senza pensare a nuove soluzioni per i vecchi problemi. Se finirà la guerra, lui potrà ottenere un certo allentamento delle sanzioni e dell’isolamento internazionale, ma dovrà far pensare a qualcuno degli assassini che tornano dal fronte e del riorientamento del complesso militare-industriale. Se non finirà la guerra, lui sarà in grado di giustificare eventuali problemi con la guerra in corso, ma creerà il rischio che un numero critico di persone si annoi fortemente della guerra. Nessuna di queste opzioni è peggiore per Putin, quindi per lui è indifferente.
Secondo lo studio dell’Istituto internazionale dello studio sulla pace di Stoccolma (Stockholm International Peace Research Institute, SIPRI), l’Ucraina è diventata il più grande importatore di armi al mondo nel periodo compreso tra il 2020 e il 2024. Almeno 35 Stati hanno fornito armi alla Ucraina dall’inizio dell’invasione russa, con la maggior parte delle spedizioni provenienti dagli USA (45%), Germania (12%) e Polonia (11%). Nel periodo 2020–2024 l’Ucraina ha ricevuto l’8,8% delle importazioni globali di armi.
Per puro interesse accademico – militare, statistico, economico, storico – potete leggere l’intero rapporto o le sue tesi principali. Ma la cosa principale che questo rapporto può comunicare anche a coloro che sono troppo pigri per cliccare sul link è una nuova conferma della grande e banale verità: bisogna distinguere tra la quantità e la qualità.
Ricordiamo bene che nei primi mesi di guerra l’esercito ucraino riceveva dall’estero sostanzialmente solo le attrezzature di difesa personale. Poi, gradualmente, erano iniziate le piccole e spesso tardive consegne di armi difensive, seguite da consegne ancora più piccole e ancora più ritardate consegne di armi offensive. «Piccole» in entrambi i casi significa che non corrispondevano pienamente agli obiettivi dell’esercito ucraino e alla situazione sul fronte. E questo è uno dei motivi per i quali la guerra si è prolungata e quindi è diventata non vincibile per l’Ucraina. Cosa sarebbe successo se nel primo anno di guerra l’esercito ucraino avesse spazzato via la maggior parte delle attrezzature e delle infrastrutture militari russe, impedendo che la loro produzione fosse messa in moto in modo più o meno costante, regolare? È molto probabile che le cose sarebbero andate in modo diverso.
E il record quantitativo di importazioni di armi che il SIPRI dichiara non risolve assolutamente nulla.
Ieri, il 9 marzo, Elon Musk ha scritto su X:
I literally challenged Putin to one on one physical combat over Ukraine and my Starlink system is the backbone of the Ukrainian army. Their entire front line would collapse if I turned it off. What I am sickened by is years of slaughter in a stalemate that Ukraine will inevitably lose. Anyone who really cares, really thinks and really understands wants the meat grinder to stop.
Il ministro degli Esteri polacco Radosław Sikorski gli ha risposto:
Starlinks for Ukraine are paid for by the Polish Digitization Ministry at the cost of about $50 million per year. The ethics of threatening the victim of aggression apart, if SpaceX proves to be an unreliable provider we will be forced to look for other suppliers.
Non so se sia il caso di fare i complimenti a Musk che fa il figo basandosi sulle difficoltà della vittima di una aggressione.
Però si può ricordare che Starlink è, per essendo importantissimo per il coordinamento dell’esercito ucraino, non è l’unico sistema di connessione utilizzato. Di conseguenza, c’è una debole speranza di riuscire a dare una piccola lezione almeno a Musk: l’eventuale disattivazione di Starlink sul territorio ucraino (anche se per ora si dice che non è in programma) che non lascia l’esercito ucraino senza l’internet. «Veramente, non sei così indispensabile».
Ma non il momento di fare i fighi.
Uno degli articoli per me più sorprendenti degli ultimi giorni – sorprendenti perché si basa su un paragone al quale non ho mai pensato in precedenza – è quello sulla somiglianza tra Donald Trump di oggi con Vladimir Putin del suo periodo presidenziale ormai da considerare iniziale. Lo spiega Peter Baker, il corrispondente del New York Times dalla Casa Bianca, che ha lavorato a Mosca nei primi anni 2000. Tra le altre cose, parla anche del rapporto dei due Presidenti con la stampa, ma il suo commento è interessante da vari punti di vista.
È una intervista che, ovviamente, potrebbe aiutare a capire qualcosa anche degli avvenimenti dei giorni nostri.
Politico scrive che quattro collaboratori di alto livello di Donald Trump (i loro nomi non sono stati resi noti) hanno avuto dei colloqui segreti con alcuni dei principali avversari politici di Vladimir Zelensky: la leader del partito «Batkovshina» Yuliya Tymoshenko, e il leader di «Solidarietà Europea» Petro Poroshenko. Lo scopo dei colloqui è quello di discutere se sia possibile indire e condurre rapidamente le elezioni presidenziali in Ucraina.
È chiaro che Poroshenko nutre, parlando in termini molto diplomatici, un «forte rancore» nei confronti di Zelensky (ed è reciproco, per quanto capisco la politica interna ucraina), anche se non tanto quanto Trump. Ma non è ancora chiaro cosa si possa discutere esattamente della legalità e della possibilità tecnica di tenere le elezioni presidenziali in Ucraina nell’attuale momento di incertezza, nemmeno con i leader dei partiti di opposizione più rappresentati nella Rada (non penso che sia stata discussa l’opzione di un colpo di Stato seguito da elezioni).
Se si discutesse con i certi Medvedchuk e Yanukovych che ora si nascondono nelle dacie statali russe, sarebbe stata una notizia. Ma con i politici seri, al massimo, si può parlare di cosa faranno in caso di una ipotetica vittoria alle elezioni che si faranno non si bene quando e come. Per ora mi sembra che le cose stiano così…
I consiglieri dei presidenti degli Stati Uniti e dell’Ucraina (Mike Waltz e Andriy Yermak) affermano che i rappresentanti di Washington e Kiev stanno discutendo la data, il luogo e i partecipanti ai colloqui sulla fine della guerra.
La notizia è di per sé positiva, dimostra i grandi successi della diplomazia ucraina e fa sperare in un futuro non troppo buio.
Come speranza «intermedia», posso indicare il fatto che gli stessi rappresentanti riusciranno a concordare di non includere entrambi i Presidenti nell’insieme dei partecipanti: senza il loro «dialogo» emotivo, potremmo ottenere qualcosa di cui discutere senza sbattere la testa contro il muro.
Il presidente ucraino Vladimir Zelensky ha dichiarato sui propri account sui social che il suo Paese è pronto a firmare un accordo sui minerali con gli USA «in qualsiasi momento e in qualsiasi formato conveniente»:
Consideriamo questo accordo come un passo verso il rafforzamento della sicurezza e di garanzie di sicurezza affidabili, e spero sinceramente che funzionerà in modo efficace.
Secondo Zelensky, il suo incontro di venerdì con Donald Trump a Washington «non è andato come previsto» e ha aggiunto che vorrebbe che «le future cooperazione e comunicazione fossero costruttive».
Tutte le parole appena citate potrebbero sembrare strane e quasi fuori luogo. In parte perché nel corso dell’incontro di venerdì sembrava che Zelensky si stesse trattenendo a fatica per non dare un pugno in faccia a Trump (anche se entrambi avrebbero potuto fare qualche sforzo per far andare quella conversazione in un modo migliore). E in parte perché sembra troppo evidente l’intenzione di Trump di non iniziare i tentativi veri di far avvicinare la fine della guerra (non sa come farlo, quindi scarica tutta la colpa su Zelensky).
Mentre in realtà Zelensky si sta riprendendo e sta tornando a comprendere che senza l’aiuto americano la posizione bellica ucraina difficilmente potrà cambiare in meglio. Gli USA hanno gli armamenti adatti, i soldi e la capacità politico-burocratica di aiutare: a differenza dell’Europa, dove in misura varia mancano tutti questi elementi. Quindi Trump può essere infinitamente antipatico a livello politico e personale, ma senza di lui non si va avanti. Purtroppo, bisogna convivere con questa triste realtà per almeno quattro anni (meno un mese).
Del summit londinese di ieri dedicato alla difesa della Ucraina due punti finali su quattro sembrano quasi ridicoli e uno quasi impossibile ma necessario.
Lo stanziamento, da parte degli inglesi, dei 1,6 miliardi di sterline per l’acquisto di più di cinquemila missili di difesa aerea è la manifestazione dello stesso problema degli ultimi tre anni. Si è deciso di dare un altro mezzo di difesa, il quale è capace solo di mantenere la situazione bellica attuale.
Il rafforzamento della pressione economica sulla Russia fa realmente ridere: la maggioranza delle sanzioni adottate fino a oggi (soprattutto dall’UE) non creano problemi allo Stato russo perché, in sostanza, vengono concepite dai burocrati non interessati al risultato. La situazione può cambiare per il solo volere del summit? Per ora dubito: a meno che leader mondiali non si siano spaventati tanto da affidare lo studio delle possibili sanzioni future agli esperti seri.
Il punto impossibile ma necessario, invece, è: Starmer ha sottolineato che qualsiasi accordo richiederà il sostegno degli Stati Uniti. Effettivamente, gli USA hanno due cose: 1) le armi realmente necessarie e 2) la forza necessaria per effettuare la pressione su Putin (bisogna solo far venire la voglia, ma nella situazione corrente non so proprio come si possa fare).
La seconda cosa che mi viene in mente relativamente a questa scena nello Studio Ovale è: nemmeno la persona più ignorante nelle questioni della diplomazia avrebbe erroneamente fatto una merdata del genere davanti ai giornalisti. Di conseguenza, è logico presumere che si siano messi d’accordo in anticipo di «umiliare» Zelensky davanti alle telecamere. Ovviamente, Zelensky non poteva accettare un accordo del genere, dunque si sono messi d’accordo quelli della parte americana. Male, ora (ora?) sappiamo che per almeno quattro anni lo Stato più potente del mondo sarà guidato dalla gente così.
Ah, no: la prima cosa che mi viene in mente relativamente a questa scena nello Studio Ovale non è pubblicabile.
A questo punto si potrebbe aggiungere, in sintesi, che gli USA si sono volontariamente ritirati dalla loro posizione di dominio mondiale. Si dovrà risolvere i problemi senza di loro (quindi no, gli ultra-sinistrosi non devono festeggiare), ma questo è un grosso argomento a parte.