L’International Business Times ci comunica che ieri il partito di governo sudafricano African National Congress ha deciso di ritirarsi dalla giurisdizione della Corte penale internazionale. Si sostiene che le autorità sudafricane abbiano preso tale decisione a causa del «trattamento ingiusto di alcuni Stati da parte della CPI». La decisione deve ancora essere confermata dal Parlamento sudafricano, e penso che succeda entro i prossimi due o tre mesi. Infatti, devo ricordarvi che nell’agosto 2023 il Sudafrica ospiterà il vertice del BRICS al quale è stato invitato anche Vladimir Putin (come presidente di uno degli Stati partecipanti).
Ma già oggi l’amministrazione presidenziale ha cambiato l’idea e ha comunicato l’intenzione di rimanere sotto la giurisdizione della CPI.
Immaginavo che la decisione della Corte penale internazionale di emettere un mandato di arresto nei confronti di Putin avrebbe messo alcuni Stati di fronte a delle scelte abbastanza difficili, ma sono abbastanza sorpreso della soluzione radicale tentata dal Sudafrica. Poteva continuare a ignorare i mandati emessi dalla CPI (come aveva già fatto nel 2015 con il presidente sudanese Omar al-Bashir), ma evidentemente non riusciva più a farlo «tranquillamente».
Potrei avanzare una idea abbastanza banale – vorrebbe chiedere a Putin qualcosa di realmente grande in cambio – ma non riesco a capire cosa potrebbe offrire Putin. In questo periodo storico è ancora meno capace di prima di aiutare economicamente gli altri Stati. E, in ogni caso, meno capace della Cina che sta colonizzando più o meno tutto il continente africano.
Boh…
L’archivio della rubrica «Nel mondo»
Ho letto che nel 2022 la spesa militare dell’Europa occidentale e di quella centrale ha raggiunto i 345 miliardi di euro, stabilendo un record dai tempi della Guerra Fredda. Il fatto emerge da un rapporto dell’Istituto Internazionale di Ricerca sulla Pace di Stoccolma (SIPRI). In termini reali (aggiustati per l’inflazione), l’ultima spesa per la difesa è stata così alta nel 1989. Rispetto al 2021, sono aumentate del 13%. hanno registrato i maggiori aumenti delle spese militari la Finlandia (36%), la Lituania (27%), la Svezia (12%) e la Polonia (11%).
Ecco, quando si legge dell’aumento medio europeo bisogna ricordare almeno due fattori:
1) Gli Stati geograficamente vicini alla Russia si sentono – non del tutto senza motivo – più in pericolo, quindi è logico che aumentino la spesa militare e influiscano sulla spesa media europea;
2) Molti degli Stati di cui al punto primo, nel corso della Guerra fredda stavano (certo, non del tutto per scelta loro) dall’altra parte del conflitto.
Di conseguenza, prima di reagire in un modo acceso, quasi allarmistico, alle statistiche, ricordiamoci del loro contesto.
Maria Zakharova, la portavoce del Ministero degli Esteri russo, ha dichiarato che gli USA non hanno rilasciato i visti al personale dei media statali russi che avrebbe dovuto accompagnare il Ministro degli Esteri Sergei Lavrov nel suo viaggio a New York (dovrebbe partecipare alle riunioni del Consiglio di Sicurezza del 24 e 25 aprile). Una fonte diplomatica russa ha dichiarato ai media statali russi che il trattamento riservato ai giornalisti statunitensi sarà «simile» e non ci dovrebbero essere «dubbi circa il fatto che i giornalisti americani sperimenteranno tutti i disagi e i fastidi».
Il Ministero degli Esteri russo si sarà dimenticato che le redazioni americane ed europee hanno richiamato le proprie redazioni russe sui territori degli Stati più sicuri già mesi fa? E che il caso di Evan Gershkovich ha dimostrato tutta la ragionevolezza di tale scelta? No, non penso proprio che se ne siano dimenticati. Il fatto è che quasi tutte le dichiarazioni del Ministero si sono ormai trasformate in una forma di propaganda: rivolta principalmente verso il pubblico russo, ma spesso anche verso qualche utile idiota occidentale (non mi piace citare Lenin, ma almeno in questo caso ci ha regalato una bella espressione).
Insomma, pare che le autorità statunitensi abbiano ragionevolmente pensato che i «diplomatici» russi siano in grado di fare la propaganda anche senza l’aiuto dei «giornalisti». Si potrebbe vederla come una forma di riconoscimento.
Era facilmente prevedibile dal momento dell’annuncio dei premi «regionali»: il premio principale del più prestigioso premio per i fotogiornalisti – il World Press Photo – è stato assegnato a Yevhen Maloletka, un fotografo ucraino che ha lavorato a Mariupol durante i mesi dell’assedio della città da parte delle bande russe. Una delle foto scattate all’ospedale di Mariupol, colpito dall’esercito russo, ha vinto nella categoria Foto dell’anno.
Sulla foto vediamo l’evacuazione di Irina Kalinina, 32 anni, ferita dai bombardamenti. Il suo bambino nascerà morto, Irina morirà mezz’ora dopo il parto. In quel bombardamento sono state uccise tre persone e 17 sono state ferite. La Russia putiniana non si riconosce responsabile di questo crimine.
Gli altri vincitori del premio per il 2022 possono essere visualizzati sul sito ufficiale del concorso.
Il sito web del governo tedesco sostiene che la Germania avrebbe consegnato all’Ucraina il primo sistema di difesa aerea Patriot e i relativi missili. Allo stesso tempo, il portavoce dell’aeronautica militare ucraina Yuriy Ignat – secondo me per evidenti motivi di sicurezza – si è dichiarato in grado di confermare o smentire il suddetto rapporto del governo tedesco.
Ma, come succede spesso con le notizie del genere, la parte più interessante è quella non scritta. Se all’Ucraina viene consegnato un sistema del genere, sicuramente non arriva per stare fermo in qualche deposito per un periodo di tempo lungo o addirittura indefinito (probabilmente rischiando anche di essere colpito da qualche bombardamento russo). Significa che alcuni militari ucraini sono già stati addestrati – o si trovano in una fase abbastanza avanzata di addestramento – per poter usare Patriot. Per ora non abbiamo delle notizie in merito, ma sempre per i motivi ovvi di sicurezza l’Ucraina non le diffonderà in anticipo.
Sicuramente lo stesso sta succedendo anche con gli altri tipi di armamenti.
Il video domenicale di oggi è dedicato alla situazione su quelle strade che collegano ancora la città di Bakhmut al resto della Ucraina non invasa. Quelle poche strade vengono utilizzate quotidianamente per portare tutto il materiale necessario in città e portare dalla città i feriti.
P.S.: buona Pasqua, ortodossi…
Il britannico Royal United Services Institute for Defence and Security Studies ha pubblicato un rapporto intitolato «I risultati preliminari delle operazioni non convenzionali russe nella guerra Russia – Ucraina, febbraio 2022 – febbraio 2023». Alcune delle conclusioni alle quali giungono gli autori del rapporto sono abbastanza interessanti (anche se in parte già ipotizzate da molti mesi fa), le elenco per i lettori che non hanno voglia di leggere l’intero testo:
1) La FSB ha ricevuto l’ordine di prepararsi a un’invasione dell’Ucraina (a giudicare dall’improvvisa espansione del suo personale) già nel luglio 2021.
2) La strategia russa si basava sulla costruzione di una enorme rete di agenti in Ucraina, una rete che la Russia stava preparando da decenni. Al giorno d’oggi Kiev ha già scoperto una parte di questa rete.
3) I servizi segreti russi hanno reclutato molti ucraini influenti, i quali, a loro volta, hanno poi creato delle reti di agenti sotto la propria guida. Si tratta di una tipica strategia descritta nei manuali sovietici. Continuare la lettura di questo post »
Probabilmente avete già letto che ieri l’UE ha incluso la tristemente nota PMC Wagner in un’altra lista delle sanzioni: quella rivolta contro le persone fisiche e giuridiche che minacciano l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina. L’unico motivo per quale ci può interessare tale provvedimento è definizione abbastanza diplomatica fornita dall’UE alla Wagner:
Wagner Group è un’entità militare privata non registrata con sede in Russia, istituita nel 2014 come successore dello Slavonic Corps. È guidata da Dimitriy Utkin ed è finanziata da Yevgeniy Prigozhin. Attraverso la creazione di entità locali e con il sostegno dei governi locali, Wagner Group finanzia e conduce le sue operazioni. Wagner Group ha guidato gli attacchi contro le città ucraine di Soledar e Bakhmut nel gennaio 2023 e partecipa attivamente alla guerra di aggressione russa nei confronti dell’Ucraina. Wagner Group è pertanto responsabile di fornire un sostegno materiale ad azioni che compromettono e minacciano l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina.
Ecco: spero che con una migliore comprensione della partecipazione della Wagner ai crimini di guerra arrivi anche la comprensione del fatto che essa, la Wagner, è in una buona misura finanziata proprio dallo Stato russo: almeno attraverso la fornitura dei materiali bellici. Ma tale comprensione sarà, formalmente, il risultato delle future indagini e processi giudiziari verso i quali è stato fatto un altro piccolo passo.
Le fonti – naturalmente anonime – del Bloomberg sostengono che il giornalista del Wall Street Journal Evan Gershkovich sarebbe stato arrestato con l’approvazione personale di Vladimir Putin. Le stesse fonti sostengono che l’arresto di Gershkovich «riflette la crescente influenza dei sostenitori della linea dura del Cremlino che spingono per un confronto più profondo con Washington». Gli alti funzionari dei servizi di sicurezza russa avrebbero suggerito l’arresto del giornalista americano.
Io, avendo osservato la politica di Putin degli ultimi quasi due decenni, aggiungerei che la tesi sostenuta dalle fonti del Bloomberg è anche in linea con le evidenti paranoie di Putin: a causa dalla sua malformazione professionale iniziale (dai tempi della KGB), tende a vedere i nemici e le spie un po’ ovunque. E, ovviamente, ricevo la conferma della tesi secondo la quale Gershkovich servirebbe per essere scambiato per qualcuno o per qualcosa: Putin non poteva essere informato in anticipo dell’arrivo di una «merce» così preziosa.
Ieri sera mi è capitato di leggere una delle notizie più anomale riguardanti – in un modo laterale – la guerra in Ucraina: l’azienda Pernod Ricard – il produttore francese di alcolici (vodka Absolut e gin Beefeater) – ha ripreso le forniture dei propri prodotti in Russia. E, soprattutto, ha ripreso di farlo senza nasconderlo ma comunicando ufficialmente il fatto. Ricordo che le forniture erano state interrotte poco dopo l’inizio della guerra in Ucraina nell’ambito delle numerose «sanzioni aziendali», quando le aziende occidentali avevano deciso, per motivi etici e morali, di non guadagnare più sul mercato russo e non pagare dunque le tasse allo Stato russo. La svedese Kristianstadsbladet ha citato la vicepresidente del marchio Absolut vodka Paula Eriksson: «il gruppo sta fornendo i prodotti sufficienti a proteggere i dipendenti locali e ad assicurare che le organizzazioni locali siano economicamente sostenibili». Eriksson ha inoltre sottolineato che Pernod Ricard sta rispettando le sanzioni imposte dall’UE (non è difficile: la sua azienda non produce i vini pregiati).
Fortunatamente, non sono un esperto di vodka e di gin, quindi non posso dire alcunché sulla qualità di Absolut e di Beefeater. Non mi ricordo nemmeno quanto siano presenti nei negozi italiani. Ma mi ricordo abbastanza bene che almeno la vodka Absolut è stata popolarissima in Russia più o meno dalla metà degli anni ’90, forse anche dal momento in cui era iniziata l’importazione legale degli alcolici occidentali. Di conseguenza, mi sento quasi giustificato a pensare male – come, del resto, sono solito di fare – e presumere che nel corso dell’ultimo anno gli affari di Pernod Ricard stavano andando veramente male. Altrimenti non so come spiegare la scelta di correre gli eventuali rischi reputazionali (e, in futuro, forse non solo) legati al ritorno anziché tentare di vendere il resto delle proprie attività in Russia (come stanno facendo le altre aziende).
Indirettamente viene confermato lo stereotipo del «mercato dei bevitori russo». Allo stesso tempo, viene confermata l’incomprensione del fatto che i consumatori russi hanno iniziato a risparmiare un po’ su tutto, anche sulla qualità.
Però i miei contatti dicono che molte delle persone rimaste in Russia da quasi un anno bevono più di prima, quindi alla Pernod Ricard potrebbe andare anche bene.