Oggi provo a esercitarmi in una attività a me poco tipica: l’allarmismo.
Probabilmente avete già letto che il 21 agosto l’ambasciata statunitense a Minsk ha chiesto ai cittadini americani di lasciare immediatamente la Bielorussia. Si tratta di un segnale molto preoccupante. La volta scorsa — almeno tra i casi che seguo io — il Dipartimento di Stato statunitense aveva invitato i propri connazionali a lasciare l’Ucraina alla vigilia della guerra iniziata il 24 febbraio 2022. Nonostante il nostro logico scetticismo dell’epoca, gli americani avevano in realtà avuto ragione.
In quale contesto è stato diffuso l’invito a lasciare la Bielorussia? Il 1° settembre 2023 in Bielorussia inizieranno le esercitazioni militari della CSTO (l’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva; ne fanno parte appena sei Stati: Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Russia e Tagikistan: indovinate chi comanda). Le cariche nucleari tattiche sono state trasferite in Bielorussia già da mesi. Ci si può aspettare qualsiasi provocazione, da un attacco all’Ucraina a un attacco al corridoio di Suwałki. Una provocazione messa in atto dall’esercito bielorusso, le unità militari russe, le unita della Wagner ancora fisicamente esistenti. È anche possibile che, sotto la copertura delle esercitazioni, Lukashenko venga buttato giù dal trono con la forza e la Bielorussia venga annessa.
Ormai sappiamo che da un certo personaggio ci si può aspettare qualsiasi cosa. Come minimo, non lascerà la maggioranza degli occidentali a far passare la guerra in sottofondo. E pensate a chi vive in quelle zone.
L’archivio della rubrica «Nel mondo»
Non tento nemmeno di riassumere l’articolo del «New Yorker» su come le autorità americane abbiano cercato di organizzare la consegna (e il seguente funzionamento) ininterrotta dei sistemi Starlink all’esercito ucraino, mentre Elon Musk (il proprietario di Starlink), nello stesso periodo, aveva e spesso manifestava ogni sorta di dubbio e parlava periodicamente con Putin di non si capisce bene cosa. Se volete, potete leggere da soli questa storia, che in un certo senso ha dell’incredibile.
Il punto principale che meritevole di essere notato è: Elon Musk ha ammesso di aver comunicato ripetutamente con Putin dopo l’inizio della guerra in Ucraina.
Le voci o le notizie su questo aspetto circolavano già da molto tempo. E mi ricordo bene come all’inizio in tanti scherzavano: per quale somma lo Stato russo è riuscito a comprare Musk? Ma ora non solo tutto è stato confermato. Negli ultimi mesi abbiamo anche avuto l’opportunità di osservare cosa sta facendo Musk con il Twitter acquistato… Tra parentesi: (l’idea stessa di acquistare un social network con un concetto-base un po’ stupido e un potenziale di sviluppo tecnico/concettuale poco chiaro è già piuttosto folle)… Comunque: ora sappiamo che Musk non è stato comprato; ora sappiamo che il successo e i soldi gli hanno fatto saltare la testa, freni e tutto il resto. È assolutamente convinto di poter fare qualsiasi cosa, in tutti i sensi.
Quanto è semplice e banale tutto in questo mondo…
Il Ministero degli Esteri britannico avrebbe chiesto ai funzionari governativi di non utilizzare più – pure nei documenti interni – l’espressione «Stato ostile» («Hostile State») nei confronti di Cina, Russia, Corea del Nord e Iran. Tale decisione sarebbe stata presa nel tentativo di migliorare le relazioni del Regno Unito con la Cina: gl altri quattro Stati sarebbero stati aggiunti solo – presumo – per un principio «democratico».
Qualcuno potrebbe anche scandalizzarsi per questa cosa, mentre io rimango indifferente a questo aspetto linguistico, privo di alcuna conseguenza legale. Infatti, mi basta che UK e gli altri continuino a fare due cose: 1) aiutare militarmente l’Ucraina; 2) trasformare le sanzioni contro lo Stato russo in un qualcosa di più sensato rispetto alle misure prese fino a oggi. Purtroppo, continuo a vedere dei problemi seri con il secondo punto.
P.S.: in Russia esiste una lista di 49 «Stati ostili», della quale fanno parte gli USA, l’UK e la maggioranza degli Stati dell’UE. Tale lista serve, tra le altre cose, per giustificare «legalmente» le repressioni contro i propri cittadini dissidenti. Ma è un argomento ampio che va trattato a parte.
Mi piacciono da anni i comunicati ufficiali della azienda statale russa Roskosmos (quella responsabile per il programma spaziale russo):
Secondo i risultati delle analisi preliminari, a causa della deviazione dei parametri effettivi dell’impulso da quelli calcolati, la navicella si è spostata su un’orbita non calcolata e ha cessato di esistere in seguito alla collisione con la superficie della Luna.
Effettivamente, la comunicazione con la navicella era stata interrotta il 19 agosto alle 14:57 circa, l’ora di Mosca. E la Roskosmos ha continuato a seguire il linguaggio ufficioso russo, quello che parla della «crescita negativa» dei fattori economici, la «controffensiva russa» sul fronte ucraino etc…
Per il resto, non mi è ancora chiaro se il progetto «Luna 25» sia stato identico al progetto «Luna 24» del 1976 (ha pure fatto in tempo a «trasmettere» delle foto della Luna di qualità tipica del 1976) oppure un modellino incompleto lanciato sull’orbita tanto per lanciare qualcosa prima degli indiani.
Beh, non facciamoci distrarre.
Quando Yuriy Ignat – il portavoce del Comando delle forze aeree dell’Esercito ucraino – dice pubblicamente che l’Ucraina non riceverà i caccia F-16 statunitensi nel prossimo autunno o inverno, lo dice non a noi o agli ucraini, ma all’esercito russo.
Infatti, il suo lavoro non consiste nell’informare tutti – quindi pure l’esercito del nemico invasore – del calendario dell’arrivo dei nuovi armamenti. Di conseguenza, tutti coloro che tifano per l’Ucraina possono iniziare a interpretare le parole di Ignat esattamente al contrario. E, ovviamente, sperare.
Io ho già iniziato.
Per quasi diciotto mesi i giornalisti e i loro lettori / ascoltatori si erano chiesti su quale tratto del «fronte ucraino» si trovassero realmente i famosi combattenti ceceni di Kadyrov, quelli che avrebbero dovuto essere i più feroci, spietati etc. etc.. Per quasi diciotto mesi si riusciva a trovarli solo sulle immagini di TikTok e Instagram, dove posavano in delle scene più o meno «eroiche» (secondo i loro standard un po’ particolari).
Ieri, «finalmente», sono stati trovati: nel villaggio Ursuf (provincia di Mariupol, quindi sul territorio occupato e controllato dall’esercito russo) avrebbero fatto una sparatoria con i militari russi. Tra gli uccisi ci sarebbero almeno quattro militari russi e almeno sette civili residenti della zona. La notizia è stata diffusa dalle autorità legittime ucraine, ma, in ogni caso, non c’è un modo di verificare la sua autenticità. Allo stesso tempo, la notizia mi sembra credibile in quanto perfettamente in linea con tutto ciò che sapevo fino a oggi dei «militari» ceceni e della loro voglia di combattere a favore del russo chiamato Putin (dove il cognome è solo uno dei valori possibili di una variabile).
Le forze armate ucraine hanno attaccato ancora una volta – chiaramente non per l’ultima – il ponte di Crimea: le capisco e, in una certa misura, le sostengo anche in questa specifica impresa.
Non capisco altre due cose: perché ci sia bisogno di mascherare il ponte con del fumo durante gli attacchi (come se le armi moderne fossero puntate «a occhio») e a che scopo viene dato l’avviso vocale «lasciate il ponte» (come se ci fossero persone che sono venute sul ponte per stare in piedi o sdraiarsi su di esso e non per andare da un capo all’altro).
Dalle varie letture e, in diversi casi, dalle conversazioni private con gli amici e conoscenti europei, ho appreso alcuni punti comuni nella analisi di quanto è accaduto dal 24 febbraio 2022 a oggi. Uno di quei punti caratterizzati da una logica comprensibile e in parte condivisibile è: «abbiamo sbagliato a lasciare Putin convincersi di poter fare qualsiasi cosa». Si tratta di un giusto e buono tentativo di individuare l’incrocio al quale è stata presa la strada sbagliata. Ma, purtroppo, non tutti hanno una memoria sufficientemente buona: il problema sta nel fatto che tutti (o quasi) si riferiscono alla annessione della Crimea nel 2014…
Mentre in realtà l’errore è molto più datato: risale ai tempi quando Putin si è convinto: ciò che non può essere banalmente comprato con i soldi (le Olimpiadi invernali, il Mondiale di calcio, un cancelliere tedesco, un Presidente francese, un noto politico italiano etc.), può essere preso con la forza perché l’Occidente non avrà il coraggio di dirmi qualcosa. Il primo territorio preso con la forza non è stata la Crimea. Il primo è stato un pezzo della Georgia nell’agosto del 2008.
Provate a ripensare a quegli eventi di 15 anni fa. Magari, leggendo qualcosa di utile e interessante.
Nel finesettimana a Gedda, in Arabia Saudita, si era tenuto il nuovo vertice – a livello di consiglieri politici e militari – sulla futura pace in Ucraina. Ai vertici del genere per ora, purtroppo, si parla dei concetti molto teorici (e lo si vede anche dal rango dei funzionari che ne partecipano), dunque per ora non ha molto senso commentarli.
Ma so che qualcuno (soprattutto tra quelli favorevoli alla guerra) aveva reagito – non importa in che modo e con quale forza – al mancato invito dei rappresentanti della Russia.
Ebbene, il mancato invito non merita la nostra attenzione. E nemmeno l’attenzione delle varie creature favorevoli alla guerra. Infatti, ci ricordiamo bene che nemmeno i rappresentanti della Germania furono invitati alle conferenze di Teheran e di Yalta. In compenso, un po’ più tardi furono invitati a un lungo e importante evento a Norimberga.
Non escludo che le prime puntate della notizia vi siano capitate già tempo fa, ma io l’ho scoperta solo ieri sera.
Alcuni anni fa l’esercito belga aveva smesso di utilizzare 50 carri armati Leopard 1 e li aveva accantonati in un deposito nella città di Tournay. Lo Stato belga non aveva l’intenzione di consegnare quei carri armati all’Ucraina perché la loro (ri)messa in servizio si era rivelata troppo costosa. I 50 carri erano stati venduti alla azienda OIP Systems a 15 mila euro l’uno (appena 750.000 euro per 50 carri armati? niente male!) e poi rivenduti a uno Stato anonimo che li sta riparando e attrezzando con le armi più moderne. I primi esemplari già pronti stanno per partire verso l’Ucraina via Germania e Italia…
N.B.: prendete la lista dei principali produttori delle armi al mondo e provate a immaginare chi di loro possa inviare i carri via Germania e Italia; ricordatevi che per ora solo la Germania, il Danimarca e i Paesi Bassi hanno annunciato che consegneranno all’Ucraina i carri armati Leopard 1 acquistati dall’industria.
Ma la cosa più curiosa è che Business AM scrive che il Belgio avrebbe venduto i carri armati a un prezzo così basso perché l’esercito belga non aveva abbastanza hangar per ospitare le attrezzature dismesse (quindi i carri armati sono stati venduti a prezzi di dumping). Direi che è un ottimo modo di aiutare a costo zero l’Ucraina che combatte. E quando scrivo «a costo zero», non intendo assolutamente di fare una critica, anzi: con un po’ di fantasia – anche quando è mascherata da qualche giustificazione strana, probabilmente indirizzata ai contribuenti nazionali – tutti gli Stati possono dare il loro utile aiuto. Basta che ne trovino la voglia.