In queste cose non esiste il «troppo tardi»: questa settimana «Mediazona» ha finalmente pubblicato un’inchiesta sulla tanto sbandierata (da parte di sapete chi) «efficacia» della PMC Wagner. Utilizzando l’esempio concreto dello studio delle perdite subite durante i tentativi di conquistare il Bakhmut ucraino, l’articolo mostra ciò che prima si sapeva, in generale, solo da voci e dati sparsi: Prigozhin ha semplicemente (e secondo la vecchia tradizione russa) ammassato il fronte di carne da macello.
Come spesso accade in questi casi, la procedura di indagine in sé non è meno interessante del suo risultato.
L’archivio della rubrica «Nel mondo»
Nel contesto di tutto quello che sta succedendo da quasi due anni e mezzo tra la Russia e l’Ucraina, sembra una notizia abbastanza piccola, un dettaglio quasi invisibile: i giornalisti del quotidiano Financial Times hanno identificato e localizzato quattro bambini che sono stati portati via dall’Ucraina dalle autorità russe durante i primi mesi della grande guerra e poi dati in adozione. Si tratta di bambini di età compresa tra gli 8 e i 15 anni, la cui identità è stata confermata alle autorità ucraine dalle loro famiglie. Il FT non fornisce i loro nomi, ma sostiene che quei bambini vivevano nelle regioni meridionali e orientali dell’Ucraina quando è iniziata la guerra, e che dopo l’invasione russa sono stati «rapiti» dagli orfanotrofi ucraini e «separati dai loro tutori e parenti». Ora tre di loro si trovano nelle regioni di Tula e Orenburg, mentre uno è stato portato in Crimea annessa. I giornalisti hanno trovato le schede con le foto dei quattro minori sul sito web del progetto russo «Adopt.ru» (legato allo Stato russo), che ospita una banca dati di orfani. Un bambino è stato presentato nel modulo con un nuovo nome russo e la sua età è stata cambiata. Il nome di un altro minore è stato tradotto in russo. Allo stesso tempo, nessuna scheda menziona l’origine ucraina dei minori.
Sembra una notizia minuscola, volendo potete leggere facilmente il resto. Mentre io aggiungo solo il motivo per il quale me ne sono interessato: perché nonostante il fatto che mi sembra infinitamente difficile che Putin arriva, in qualità di imputato, almeno al primo giorno del processo all’Aja, ogni prova concreta contro di lui mi fornisce una piccola speranza. Una speranza nella possibilità di veri problemi personali anche per lui. (Infatti, per ora l’ordine di cattura nei suoi confronti si basa proprio sulla accusa di rapimento dei minori ucraini.)
Lo scioglimento del Parlamento, deciso dopo la pubblicazione dei primi risultati delle elezioni al Parlamento europeo, è una mossa molto rischiosa per Macron. Egli cercherà di preparare e attuare una vendetta ultra-rapida nel corso di questi venti giorni e di sottrarre ai «lepenisti» la loro vittoria. Ma il suo calcolo sembra evidente me e non – stranamente – a diverse persone con le quali ho parlato in questi giorni.
L’idea di Macron sembra essere questa: che gli elettori francesi, spaventati dall’improvviso successo del Rassemblement National, si mobiliteranno e voteranno in massa contro di loro. Perché le elezioni del Parlamento europeo sono importanti, ma non sono elezioni nazionali. E le elezioni, che si terranno a fine mese, decideranno chi governerà il Paese. E, se tutto va come si spera, permetteranno a Macron di essere un promotore ancora più attivo della sua visione della politica internazionale. Quella politica molto meno neutra, rispetto alla politica della maggioranza dei suoi colleghi europei, nei confronti dei principali problemi internazionali di oggi.
Nella città polacca di Skarzysko-Kamienna, nella provincia di Świętokrzyskie, si è verificata un’esplosione nella fabbrica di armi Mesko, che produce, tra l’altro, armi per le Forze armate ucraine. La capa dello stabilimento, Elżbieta Sreniawska, ha dichiarato che l’esplosione si è verificata nel centro di combustibile per razzi messo in funzione alcuni anni fa. Un dipendente di 59 anni dell’impianto è rimasto ucciso e un altro è rimasto ferito. La causa dell’esplosione non è ancora stata resa nota.
Il giornale Wyborcza fa notare che ci sono già state due esplosioni nell’impianto, entrambe nel 2021. Nell’aprile 2021 è rimasta uccisa una dipendente di 48 anni e a settembre una dipendente di 41 anni. In entrambi i casi, le esplosioni sono state causate dalla violazione delle norme di sicurezza.
Il primo ministro polacco Donald Tusk, da parte sua, ha dichiarato in una conferenza stampa che «non c’è motivo di supporre» che dietro l’esplosione di ieri ci sia «qualche forza esterna».
Mentre noi ci ricordiamo che «a pensare male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca» ©. Anche perché ormai sappiamo quasi con certezza che proprio a partire dal 2021 sono iniziati, di fatto, dei sabotaggi nei siti della industria bellica esteuropea (e i sabotaggi, come immaginate, andrebbero mascherati).
Tutto questo significa che non andrebbero prodotti e forniti dei materiali bellici per l’Ucraina? No, proprio al contrario! Infatti, certi incidenti mostrano, ancora una volta, come è il nemico.
Il canale televisivo britannico Sky News comunica che ieri un aereo militare ucraino ha per la prima volta colpito, in un modo mirato, un obiettivo in territorio russo. Secondo la fonte di Sky News, sarebbe stato colpito un posto di comando nella regione di Belgorod. Non è ancora chiaro che tipo di munizioni siano state utilizzate nell’attacco, né se si tratti di armi occidentali (l’uso delle quali è stato finalmente in parte autorizzato).
Ma, dato che l’analisi dei danni sarà eseguita dalle autorità russe – quelle capaci di trovare sul posto qualsiasi cosa, anche le impronte digitali di Zeus –, per noi sarà un po’ difficile sapere con certezza (per ora, solo per ora!) quali armi siano realmente usate. Di conseguenza, possiamo compiere un passaggio logico accessibile anche alla mente di un non-esperto militare. Possiamo constatare un effetto positivo inatteso della autorizzazione di colpire il territorio russo con le armi di produzione occidentali: l’esercito ucraino, evidentemente, si sente meno costretto a risparmiare «le altre» armi precedentemente utilizzate solo sul suo territorio. Perché, evidentemente, le armi sono a volte «interscambiabili».
Boh, vedremo…
Il giovedì di questa settimana c’è stato uno degli anniversari più particolari legati alla guerra in Ucraina: il 6 giugno 2023, nella parte della regione di Kherson annessa dalla Russia è stata distrutta la diga della centrale idroelettrica di Kakhovskaya. Dopo il crollo della diga della centrale le acque impetuose del Dnepr hanno inondato circa 80 centri abitati nelle regioni di Kherson e Mykolaiv. Le parti ucraina e russa si sono accusate a vicenda del disastro ecologico e umanitario. La distruzione della diga ha provocato non solo l’inondazione di città e villaggi a valle della centrale di Kakhovskaya lungo il Dnepr, ma anche l’inondazione di luoghi a monte, nella regione di Zaporizhzhya. Poco prima del primo anniversario di tale evento, il fotografo ucraino Pavlo Korchagin si è recato nella regione di Zaporizhzhya per mostrarci come il suo paesaggio sia cambiato un anno dopo il disastro.
Sulla pagina con le foto in questione tutte le immagini sono cliccabili per essere meglio visibili. E lo meritano.
Nella intervista all’ABC News Joe Biden ha dichiarato che gli Stati Uniti non hanno autorizzato l’Ucraina a usare le armi statunitensi per colpire in profondità (oltre 200 miglia, cioè circa 320 chilometri) il territorio russo (e, in particolare, Mosca e il Cremlino).
Ovviamente, come è già successo con la fornitura tardiva dei vari tipi degli armamenti, si tratta solo di un limite che prima o poi verrà superato. Prevedo che il primo, dal punto di vista cronologico, limite superato sarà l’autorizzazione di colpire ogni tipo di obbiettivo militare sul territorio russo (per esempio, per ora non si potrebbe colpire i «parcheggi» degli aerei militari russi, ma prima o poi anche questo sarà autorizzato). Successivamente, quando lo Stato russo sarà costretto a portare le proprie basi – quelle impegnate nella fornitura del materiale bellico alla guerra in Ucraina – sempre più verso i territori interni (per salvarsi dall’uso «vicino» delle armi occidentali da parte della Ucraina), verrà aumentata la profondità massima autorizzata dell’utilizzo delle armi occidentali. Non so se si arriverà ad autorizzare i colpi su Mosca, ma per il resto la tendenza mi sembra ovvia.
La grande domanda numero uno: Putin se ne rende conto? (Non escludo la grande risposta negativa.)
La grande domanda numero due: qualcuno avrà il coraggio di dirlo a Putin? (Anche in questo caso non escludo la grande risposta negativa.)
È spesso bello leggere delle notizie complementari. Per esempio…
La notizia № 1. I caccia F-16 che le autorità olandesi stanno per trasferire in qualità dell’aiuto militare all’Ucraina, potranno essere utilizzati per colpire obiettivi sul territorio della Russia. Il ministro della Difesa olandese Kajsa Ollongren lo ha dichiarato in una intervista a «Politico» durante il vertice del «Dialogo di Shangri-La» a Singapore.
La notizia № 2. Il Ministero degli Esteri russo ha esortato gli Stati Uniti a non commettere «errori di calcolo che potrebbero avere conseguenze fatali»: in questo modo Sergey Ryabkov, il vicecapo del Ministero degli Esteri russo, ha commentato la decisione degli Stati Uniti di revocare il divieto per l’Ucraina di utilizzare le armi statunitensi per colpire il territorio russo.
Ovviamente, in entrambi i casi si tratta degli obbiettivi (sul territorio russo) di rilevanza bellica: anche o almeno perché l’Ucraina non ha (e non ha mai avuto) delle risorse da sprecare. Il Ministero degli Esteri russo, invece, ha da sprecare almeno una risorsa: le dichiarazioni pubbliche. Infatti, se l’esercito russo dovesse realmente avere la possibilità tecnica di rispondere in un modo particolare, più forte, all’uso delle armi esteri sul territorio russo, perché non l’ha mai utilizzata «in anticipo»: per condurre una guerra di conquista ancora più efficace?
Però si vede che, con una certa ragionevolezza, hanno paura di questa riduzione dei limiti nell’uso delle armi…
Io non posso invitare a compiere passo nella evoluzione della guerra, ma capisco benissimo la sua utilità e la sua logica.
Un semplice dato di cronaca: oggi Alexey Navalny avrebbe compiuto 48 anni. Ed è il primo compleanno nella sua totale assenza.
Meno di quattro mesi fa è stato ucciso in carcere: mi sono accorto ora che non riesco a capire se sia passato poco o molto tempo. Come non riesco ancora a capire se vorrei più vedere comparire altre persone della sua portata o, al contrario, una veloce instaurazione di un mondo che non necessiti eroi.
Nel frattempo, faccio – mentalmente – gli auguri ad Alexey e a tutta la sua famiglia.
Ieri, il 2 giugno, il 93-enne editore statunitense Rupert Murdoch si è sposato per la quinta volta: con la 67-enne Elena Zhukova, l’ex suocera del noto a tanti di voi Roman Abramovich.
No, non mi sono dato alla cronaca mondana. No, non voglio scendere a quei livelli dove si commenta la quasi certa fortuna matrimoniale di un tipo determinato di qualcun*.
Volevo solo sottolineare quanto mi fa ridere il solo pensiero su come sta sbattendo ora la testa contro il muro Abramovich. E su quante bestemmie infuocate riecheggiano ora nei corridoi del Cremlino di Mosca.
Anche se io, da persona razionale, capisco che una suocera «in funzione» di Abramovich non avrebbe potuto diventare, in questo periodo storico, la moglie di Murdoch: i giuristi gli avrebbero spiegato tutti gli argomenti contro un evento del genere. Proprio quegli argomenti che nel Cremlino, molto probabilmente, non capiscono…