Come avrete probabilmente già letto, in un liceo di Piacenza è stato tecnicamente realizzato il blocco dei telefoni nelle ore di lezione.
Non so se tutti si sono resi conto della gravità del segnale. Non so se tutti hanno capito cosa nasconde questa disperata azione di forza. In sostanza, per la prima volta in Italia un intero corpo dei docenti ha ammesso pubblicamente di essere più noioso di un fottuto apparecchio elettronico. Ha ammesso di avere perso la concorrenza. Ha ammesso di non saper offrire ai propri studenti nulla di meglio, coinvolgente e interessante. Ha ammesso di essere professionalmente inadeguato.
Che tristezza…
Io, se fossi il genitore di uno dei ragazzi, avrei già provveduto di trasferire il proprio figlio in una scuola migliore. Ma per fortuna non ho più le preoccupazioni di questo genere.
Per la maggior parte degli anni nei quali è trascorsa la mia vita scolastica, il cellulare era uno dei simboli dell’imprenditore di successo. Di conseguenza, io e i miei compagni non avevano quel genere di distrazione. Durante le lezioni noiose ci scrivevamo dei bigliettini stupidi o giocavamo a scacchi sotto il banco. È questa la vita reale.
L’archivio della rubrica «Italia»
Alla fine di giugno avevo pubblicato il rapporto sul mio viaggio a Verona. Una parte di quel racconto è dedicate alla cosiddetta «casa di Giulietta». Quella casa che alla fine degli anni ’30 del XX secolo è stata ristrutturata per assomigliare alle scenografie del film «Romeo e Juliet» di George Cukor (1936). I turisti non vanno delusi, vero?
Per assicurare la salvezza delle foto che testimoniano le condizioni della casa precedenti ai lavori in questione, oggi le posto sul mio blog (dato che nei reportage c’è lo spazio per le foto scattate da me).
La prima foro è della fine del XIX secolo:
La seconda foto è degli anni ’40 del XX secolo:
Bonus Photo: chi non conoscesse l’aspetto attuale della «casa di Giulietta» e non avesse la voglia di leggersi il mio racconto, ecco la foto scattata nel dicembre del 2017:
Devo ammettere che le mie speranze non si sono avverate. E il miracolo, purtroppo, non si è verificato: il maxi-schermo pubblicitario della Samsung si è semplicemente trasferito dalla parte opposta del transetto del Duomo milanese. Quindi per altri x anni lo status dell’edificio più famoso della città sarà ridotto a quello di un cartellone pubblicitario. Tanta tristezza.
In compenso, nelle prossimità dell’Apple Store il wi-fi funziona alla grande (come avviene in tutti i posti analoghi del mondo).
Molto probabilmente sapete già che oggi a Milano (in piazza Liberty) viene finalmente inaugurato il primo vero Apple Store italiano. La tradizionale componente in vetro sembra un moncherino (chi ha visto l’Apple Store di New York capirà), ma spero che diventi comunque una fonte di wi-fi gratuito e potente (chi ha visto l’Apple Store di New York capirà).
Inoltre, molto probabilmente sapete (o ricordate) che per molti anni il Duomo di Milano ha svolto la funzione di «reggipubblicità» della Samsung. Infatti, per circa cinque anni (ma forse anche più, ormai non mi ricordo) il braccio nord del transetto del Duomo è stato completamente coperto dai ponteggi, i quali a loro volta erano coperti dalla pubblicità della Samsung e, soprattutto, da uno maxi-schermo che trasmetteva in continuazione sempre la pubblicità della Samsung. Ho paura di immaginare l’ammontare complessivo della spesa sostenuta dalla società coreana. Ebbene, da ieri quella pubblicità non c’è più. Per pura coincidenza è sparita poco prima della apertura dell’Apple Store (a poche decine di metri dal Duomo).
Non so se dobbiamo ringraziare la Apple per la fine della barbarie architettonica pluriennale (deplorata e derisa anche dai turisti). I funzionari del Comune di Milano, non volendo finire in un luogo ben custodito, non lo diranno mai. Nemmeno io voglio finire in quel luogo ben custodito, quindi mi limito a fare il peccato di pensare male.
Gli umani muoiono fisicamente, ma i più fortunati di loro continuano a vivere nelle loro opere. Solitamente ciò accade grazie agli altri umani che prendono le opere dei primi «in buone mani».
Sergio Marchionne ha fatto un enorme lavoro per permettere alla Fiat di continuare a galleggiare. Purtroppo, se i suoi successori perseguiteranno lo stesso obiettivo, la grande opera verrà mandata dalle donne con uno scarso senso civico. Provate a vedere la lista dei modelli della Fiat: dai soli nomi si evince già la tendenza di aggrapparsi al glorioso passato e non di andare avanti. Provate a vedere una qualsiasi pubblicità di un qualsiasi modello della Fiat e confrontarla con quella di 10–15 anni fa: vedrete due liste quasi identiche degli accessori e delle caratteristiche tecniche. Provate a confrontare in termini di qualità/prezzo una Fiat e, per esempio, una Toyota: i resti del vostro patriottismo andranno via di corsa. Tutto ciò avviene in un mondo dove le auto elettriche sono diventate una realtà quotidiana e si discute concretamente delle macchine autopilotate. Ma la Fiat è fuori da questo mondo. La Fiat sta rischiando nuovamente di essere esclusa dal mondo automobilistico in forza alla sua stessa natura intollerante alla obsolescenza.
L’opera di Sergio Marchionne è incompleta ma potrebbe diventare ancora un buon punto di partenza. Voglio quindi vedere se i successori sapranno farlo vivere.
Un bel giorno di alcuni anni fa mi presentai alla edicola della stazione Duomo della metropolitana milanese per comprare un biglietto cartaceo particolare (purtroppo non mi ricordo più bene quale). La signora sui cinquant’anni con la quale ebbi la fortuna di interagire a tal fine, reagì però in un modo abbastanza inusuale. Prese il mio vecchio biglietto cartaceo (portato in qualità di esempio), lo appoggiò sulla macchinetta per la ricarica degli abbonamenti elettronici e disse tutta stupita: «Mi dispiace, non riesco a ricaricarlo».
No, non stava scherzando. Il suo volto esprimeva una reale sensazione di sorpresa per il mancato compimento della missione. Così come non stava scherzando la mia faccia rispecchiante il pensiero «ma tu sei proprio fusa».
Mi sono ricordato di quel piccolo episodio pochi giorni fa, trovandomi improvvisamente di fronte a questa vecchia obliteratrice meccanica ferroviaria.
I ferrovieri sanno che è sempre incinta…
Alla fine di febbraio mi ero accorto di questo adesivo comparso in alcuni punti della stazione «Duomo» sulla metropolitana milanese:
All’inizio di marzo mi sono finalmente ricordato di andare a leggere di cosa si tratta. Ebbene, sul sito della ATM è disponibile un comunicato (datato 21 febbraio) sull’avvio della sperimentazione in alcune stazioni: Duomo (da febbraio), San Babila (da marzo) e Cadorna (da aprile). Sono promesse la registrazione semplice è una velocità decente (500 Megabit al secondo) nelle prime 4 ore di utilizzo al giorno.
Ovviamente siete capaci anche voi a leggere quel comunicato. Molto più importante e interessante è, invece, sperimentare praticamente tale servizio. Io l’ho fatto martedì sera metre tornavo a casa.
Ora posso testimoniare due cose. Prima di tutto, la registrazione è veramente semplice e veloce: può essere fatta nell’arco temporale medio necessario per l’attesa del treno. Selezionate la rete tra quelle rilevate dalvostro telefono, scegliete il modo in cui autentificarvi (con un social network o inserendo manualmente il nome), fornite il vostro numero di telefono e, infine, inserite il codice di controllo ricevuto via sms.
Bene, siamo già collegati:
Per ora ho navigato poco, ma ho comunque avuto l’impressione che la velocità dell’internet «metropolitano» sia realmente buona. Vedremo se resterà tale anche con una maggiore quantità delle persone connesse. E, soprattutto, speriamo che il servizio si estenda presto a tutta la rete dei mezzi pubblici milanesi.
Ma già ora possiamo festeggiare per il fatto che, finalmente, anche Milano si sta avvicinando agli standard tecnologici del primo mondo!
[Sulla metropolitana moscovita il wi-fi è stato attivato nel 2013.]
Il post di oggi mi è stato dettato dal Capitan Ovvio.
In russo la parola buran significa «un forte vento della steppa che trasporta grandi quantità di neve».
Si potrebbe aggiungere che il termine è di origine turca, ma ora non ci interessa. Ora ci interessano altre applicazioni della parola buran. Prima di tutto, come saprete, è il nome Continuare la lettura di questo post »
Non penso che sia particolarmente facile trovare una persona che si interessa di calcio meno di me (se vedo 10 minuti di una partita in 4 anni è già tanto; in totale saprò i nomi di cinque giocatori e due allenatori).
Ma pure a me sono giunte le voci circa il non-accesso della squadra italiana al campionato mondiale che dovrebbe svolgersi il prossimo anno in Russia. Non posso dire esserne dispiaciuto (ma nemmeno felice) e faccio due semplici considerazioni:
1) Spero che i tifosi italiani trovino visitino dei motivi più degni di un homo sapiens per visitare la Russia;
2) Il post su facebook di un amico mi sembra pieno di logica:
The Soufan Group ci comunica che nel 2017 la Russia è diventata il principale fornitore della manodopera straniera dell’ISIS. Nell’ottobre 2017 la quantità dei cittadini russi che combattono per l’ISIS si stima in 3417 persone. Tutta l’area dell’ex è rappresentata tra le fila dell’ISIS da 8717 persone.
L’Italia, invece, è attualmente rappresentata da soli 57 combattenti.
Non so bene come è vista tale situazione dalla maggioranza degli italiani. Io, per esempio, non sarei assolutamente dispiaciuto per questa forma di fuga dei cervelli. Sarei al contrario preoccupato per la quantità superiore allo zero di questi «cervelli» che poi tornano indietro. In Russia sono tornate 400 persone, mentre in Italia 13. Immaginate quanto potrebbe essere emozionante incontrare per strada – non necessariamente di notte – uno di quei 13 che si erano riconosciuti negli ideali dell’ISIS.