In Russia è nata una barzelletta:
– Sai perché l’Israele non ha vinto l’Eurovisione?
– Perché?
– Perché la finale si disputava di sabato.
In Russia è nata una barzelletta:
– Sai perché l’Israele non ha vinto l’Eurovisione?
– Perché?
– Perché la finale si disputava di sabato.
Mi ero promesso di scrivere del concerto che il 5 maggio l’orchestra del Teatro Mariinskij aveva dato all’anfiteatro di Palmira. Per me non si tratta di un semplice fatto di cronaca, quindi il ritardo di alcuni giorni è tollerabile.
Valery Gergiev (il direttore artistico e direttore generale del suddetto teatro) è uno dei più grandi direttori d’orchestra russi e un grandissimo showman. E’ un personaggio strano, ma le sue qualità professionali sono realmente di altissimo livello. Quindi penso che l’idea di portare una bella orchestra in un bel posto e suonare della bella musica in un concerto simbolico sia stata una idea sua.
Una idea del genere non poteva però essere realizzata senza una partecipazione diretta dello Stato. Come al solito, lo Stato non si è trattenuto dall’aggiungere qualche nota negativa (che gioco di parole che mi è venuto!).
L’aspetto più fastidioso è sicuramente la presenza nell’orchestra del violoncellista Sergey Raldugin. Chi si è informato anche in modo superficiale del cosiddetto caso «Panama Papers» dovrebbe ricordarsi questo nome. Si tratta di un amico di vecchia data di Vladimir Putin, un musicista mediocre e imprenditore nullo. E’ stato utilizzato, però (anzi, probabilmente proprio per questo motivo), come prestanome per nascondere almeno 20 miliardi di dollari negli offshores gestiti da Mossack Fonseca. Si tratta da soldi appartenenti, almeno in parte, non solo alle persone comunemente definibili «amici di Putin».
Non voglio sostenere che Sergey Raldugin abbia delle colpe. Anzi, dal giorno in cui era scoppiato lo scandalo, Raldugin si è sempre dimostrato totalmente disorientato e ingnaro della parola stessa offshore. Lo Stato, da parte sua, si è però sentito in dovere di sprecare una bellissima manifestazione culturale per salvare la reputazione internazionale di un amico delle persone giuste.
Lo salvataggio del patrimonio storico-culturale, la lotta contro il male e la banale geopolitica contano, per lo Stato, meno della immagine di un amico sfigatello di Putin. Bisogna constatare che si tratta di un tentativo inutile. Chi si ricorderà di (o andrà a sentire suonare) Sergey Raldugin per un motivo diverso dal suo legame con «Panama Papers»?
P.S. Pubblico pure il relativo video:
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Dalla mia pagina di Facebook è misteriosamente sparito il post del sabato 30 aprile (cliccate tranquilli che dal mio sito non sparirà mai). Suppongo che alla base del mistero sia proprio una delle parole che compngono il nome di quel quadro del XVII secolo.
Il fatto dice molto sul livello intellettuale dei moderatori di Facebook. Ma sono convinto che il livello dei miei lettori è più alto, quindi continuo a rivolgermi a loro. Cioè a voi.
Chi di voi è ancora convinto che la parola «negro» sia una parolaccia? Chi di voi ritiene che debba essere vietata dalle norme di un social network o, addirittura, dalle leggi statali? Ebbene, ho una notizia per voi. L’ultimo censimento della popolazione statunitense, quello del 2010, è stato condotto tramite questo questionario: https://www.census.gov/history/pdf/2010questionnaire.pdf.
Come potete vedere, tra le opzioni delle domande N6 e N9 risulta pure la famosa parola «negro»:

Circa 56 mila persone si sono autodefinite come «negro»: https://www.census.gov/prod/cen2010/briefs/c2010br-06.pdf.
Insomma, se qualcuno vi rimprovera per quella parola, mandatelo pure affanculo.
Mi è capitato diverse volte di sentire, in Italia, la domanda del tipo «Ma è vero che i cinesi si offendono quando si dice „cin cin“?»
Non ho mai saputo come rispondere. Ma ecco che un giorno, passando in via Paolo Sarpi a Milano (il cuore della Chinatown milanese), ho notato questo bar:
Scusate la qualità della immagine: il mio cellulare d’epoca non è capace di fare di meglio.
Tempo fa mi avevano chiesto (nell’offline) di consigliare dei libri sulla storia medioevale russa. Io, naturalmente, ho sempre letto sull’argomento in russo, quindi ho visto il mio compito non solo nel ricordarmi i libri meritevoli di attenzione, ma pure nel capire se siano mai stati tradotti in almeno una delle lingue comunemente conosciute. Alla fine delle ricerche l’elenco dei libri che ho potuto stilare si è rivelato abbastanza breve. In questi giorni ho deciso di pubblicarlo comunque, perché non so se e quando esso possa diventare più lungo.
Vasily Klyuchevsky, «A History of Russia»
Vasily Yan, trilogia «Mongol Invasion» («Genghis Khan», «Baty», «To last Sea»)
Kir Bulychev, «1185 A.D.»
Pavlo Zahrebelnyi, «Epraksiya»
Se il Papa Gregorio XIII non avesse compreso e applicato i consigli degli scienziati, il mondo cattolico festeggerebbe il Capodanno sempre il 13 di gennaio. Ma, per fortuna, non si limitò a diventare l’ultimo Papa con i figli illegittimi: oggi lo ricordiamo pure come l’autore del calendario gregoriano.
Per la Chiesa ortodossa di allora il nuovo calendario fu l’opera degli astronomi infedeli, quindi la Russia dovette aspettare il 1918 per arretrare di 13 giorni e sincronizzarsi con il calendario occidentale.
Oggi in Russia si festeggiano tre avvenimenti in due settimane: il Capodanno normale (tanto), il Natale ortodosso (relativamente poco) e il Vecchio Capodanno (un po’, solo per avere una scusa per bere).
Auguri a tutti!
Anni fa avevo già scritto un post sull’argomento. Oggi lo rifaccio perché vedo che tante persone non hanno mai avuto la curiosità di guardare attentamente quei importantissimi oggetti che maneggiano quasi tutti giorni. Ebbene, oggi facciamo uno piccolo studio sulla storia del rovescio delle euro-monete.
Come ben sapete, sul rovescio (cioè il lato uguale per tutti gli Stati) di tutte le monete dell’euro è raffigurata la mappa dell’Unione Europea. Non tutti sanno, però, che nel 2007 la mappa in questione è cambiata indipendentemente dall’allargamento della Unione. Attualmente le monete da 1 euro hanno questo aspetto:
Prima del 2007 sulla mappa delle monete mancava, giustamente, la Norvegia: essa non fa parte dell’Unione Europea. A causa di questo formalismo il rovescio delle monete europee aveva però un aspetto osceno. La Svezia lasciata in solitudine, infatti, sembrava un pene pendente:
Le Istituzioni europee, una volta scoperto l’inconveniente, avevano provveduto a correggere le monete aggiungendo la Norvegia sulla mappa. Si erano purtroppo dimenticati di pubblicizzare la propria buona azione.
«Prima e dopo»:
Odio gli editori che mi considerano incapace di intuire il senso di una parola dal contesto in cui è utilizzata.
Sicuramente vi siete accorti più volte anche voi di quegli accenti inutili, senza i quali solo un cretino non avrebbe mai compreso il senso della parola pensato dall’autore. Per esempio:
«Princìpi di riparto delle funzioni di distribuzione delle responsabilità fra gli organi di controllo […]».
Avreste mai pensato che si tratta dei discendenti di una Casa reale? Spero proprio di no.
Gli accenti messi in questo modo sono realmente utili solo in due tipologie dei libri: quelli per i bambini e per gli stranieri. Entrambe le categorie di lettori appena elencate hanno un lessico limitato, quindi devono essere aiutati da semplici indizi tipografici. Mentre quelle persone adulte, dotate d’istruzione e base linguista medi, che arrivano a leggere dei libri adatti alla loro età non hanno bisogno di stampelle grafiche.
Editori! Abbiate stima verso i vostri lettori!
Da tempo dico che la fede indiscutibile nel marketing è una delle più grandi malattie mentali dei nostri tempi. Ogni persona che si autodefinisce un addetto marketing e vive nella condizione di poter influire sulle scelte dei comuni mortali, produce dei gravi danni al proprio datore di lavoro. Nel migliore dei casi si tratta di danni d’immagine.
Gli addetti marketing della Adobe, per esempio, si sono appena dimostrati particolarmente scemi. Come la stragrande maggioranza del loro colleghi in tutto il mondo, sono convinti che i nomi dei prodotti e marchi debbano essere rappresentati sempre in uno stato immutato (compresi i colori, le dimensioni dei caratteri, l’ordine delle lettere maiuscole e minuscole).
Facciamo un esempio pratico sulla applicazione di questa logica perversa. Se io scrivo la parola Fiat, i miei lettori (scemi che sono) non capiranno mai che in realtà si tratta delle auto di marca FIAT.
Ma cosa hanno combinato quelli della Adobe? Hanno detto che la parola Photoshop non può assolutamente essere trasformata in un verbo.
La frase scorretta, secondo loro, sarebbe: The image was photoshopped.
La frase corretta, invece, sarebbe: The image was enhanced using Adobe® Photoshop® software.
Ma io sono il capo, quindi vi autorizzo a parlare come vi pare.
Ora vado a photoshoppare un po’.
Il Nobel per la letteratura 2015 è stato assegnato alla scrittrice bielorussa Svetlana Aleksievic. Se assumiamo la tesi che ogni persona che scrive dei testi è uno scrittore (o scrittrice), la scelta della vincitrice è più che giustificata.
La cosa che non riesco a percepire è proprio quel senso che possa giustificare l’esistenza del Nobel per la letteratura. Perché ogni scrittore meritevole di attenzione è premiato, a differenza degli scienziati, con le vendite delle proprie opere. Certo, il mercato premia pure quelli mediocri, comprensibili alle larghe masse, ma almeno da una possibilità a più di una persona all’anno. E di solito lo fa subito, non dopo decenni di attività non corrisposta. Pure gli scrittori meno popolari, poi, hanno numerosi mezzi tecnici continuare a lavorare e raggiungere i propri lettori.
Insomma, pur essendo un amante della letteratura, non un grande apprezzatore del relativo Nobel.