L’archivio della rubrica «Cultura»

La musica del sabato

Qualcuno dei lettori potrebbe avere visto, nei giorni scorsi, quel video realizzato dalla polizia finlandese con il cantante lirico e poliziotto Petrus Schroderus che canta la canzone «Rakastan sinua, elämä» camminando per la città vuota.

Non tutti sanno, però, che si tratta della traduzione di una canzone russa del 1956. In originale essa si chiama «Ti amo la vita» («Я люблю тебя, жизнь»); fu scritta per il noto cantante Mark Bernes, ma una delle sue interpretazioni più famose è del cantante Georg Ots:

So che nel 1963 erano state registrate in URSS anche le versioni in inglese («I’m in Love With You, Life») e in francese («Oui, je t’aime, la vie»), ma non le ho ancora trovate su YouTube.


La musica del sabato

Non ho mai capito perché così tante persone trovano difficile da ascoltare la musica di Charles Camille Saint-Saëns… Certo, nel corso di tutta la sua lunga carriera da compositore, Saint-Saëns è sempre stato un innovatore (forse da giovane lo è stato in una misura un po’ più grande), ma dal punto di vista melodico e ritmico non produceva delle cose impossibili da seguire. Anzi, in alcune occasioni tenderei a pensare proprio l’opposto.
Ma, in ogni caso, non pretendo di apparire un grandissimo esperto. Anche per questo oggi nella rubrica musicale metto due sue composizioni famosissime.
La prima è «Le Carnaval des animaux» suonato dalla Symphony Orchestra of The Stanisław Moniuszko Music School in Wałbrzych:

E la seconda è «Le danse macabre» suonata dalla Orchestra Filarmonica della Radio France:


La fase superata

È bello e interessante il progetto «Le chiese dimenticate d’Europa» del fotografo britannico James Kerwin.
Il prestigio della religione sta scendendo velocemente in tutto il mondo. Nel solo 2017 in giro per il mondo sono state definitivamente chiuse quasi dieci mila chiese. Non perché gli invasori extraterrestri armati hanno vietato agli umani di credere, ma perché i dogmi religiosi sono passati di moda. La spiegazione scientifica del mondo è infinitamente più bella, interessante e ampia della primitiva concezione religiosa. Non solo: evolve pure nel tempo e lo fa in un modo abbastanza veloce. Quindi è ovvio che la gente non ci va più in chiesa.
Non dobbiamo nemmeno dispiacerci per la «perdita» degli edifici religiosi. Quelli veramente interessanti dal punto di vista storico e/o artistico – si tratta in realtà di una percentuale non altissima – vengono restaurati e trasformati in musei, biblioteche e negozi.
Inoltre, non penso che ci sia un rischio reale dell’arrivo delle moschee al posto delle chiese cristiane: pure nel mondo islamico la religione sta visibilmente perdendo la popolarità.
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Una moda misteriosa

Uno dei misteri più grandi del periodo corrente è la diffusione pressoché totale della moda di consentire l’accesso libero alle risorse digitali.
Certo, dal punto di vista sociologico (o forse psicologico) si tratta di un esperimento molto curioso: esso permette di capire se nella vita normale le masse non «consumano» la cultura perché non hanno soldi o perché in realtà non se ne interessano. Perché se non accedono a una risorsa culturale nemmeno se è gratuita e accessibile dal computer personale, la presunta mancanza di soldi o di tempo diventa solo una scusa miserabile della propria pigrizia intellettuale.
Ma io non riesco a capire l’aspetto economico del fenomeno di cui all’inizio del post. Quale logica economica ci potrà mai essere nell’aprire l’accesso a tutto solo perché è aumentata la domanda? È la paura di perdere in popolarità? Ma la popolarità non si mangia, non si beve e non funziona come un pezzo di abbigliamento. Di cosa vivranno domani gli autori dell’accesso libero? Si lamenteranno della crisi economica e della mancanza degli aiuti?
In realtà non c’è alcunché di male nel guadagnare con il proprio lavoro. I soldi in entrata sono un equivalente degli sforzi professionali e degli investimenti necessari per realizzare un qualsiasi prodotto o servizio. Il male sta nel tentativo di trasformare tutti i lavoratori in volontari e umiliare tutti coloro che manifestano il proprio disaccordo.
Tutto deve essere pagato. Se non vuoi pagare, non ricevi.


La musica del sabato

Nella storia musicale esistono due «edizioni» di Chris Rea: pre- e post malattia. Nella seconda fase della sua carriera musicale – più o meno dall’inizio degli anni 2000 – Rea mostra delle tendenze più nette al blues. Proprio a questa fase è dedicato il mio post musicale di oggi.
La prima canzone selezionata è la «Dancing the Blues Away» (dall’album «Stony Road» del 2002):

E la seconda è «The Last Open Road» (dall’album «Santo Spirito Blues» del 2011):


La musica del sabato

Il post musicale di questo sabato è dedicato a Frédéric Chopin: un grandissimo compositore e musicista polacco che già ai tempi dell’infanzia ebbe delle capacità musicali non inferiori a quelle di Mozart.
Chopin ebbe una vita poco più lunga e non meno «produttiva» e carica di emozioni. Potrei aggiungere che il nostro protagonista morì – come si ipotizza dai biografi a noi contemporanei – di una malattia polmonare, ma forse mi conviene evitare.
Concentriamoci sulla bella musica. Oggi ascoltiamo il Concerto per pianoforte e orchestra n. 1 in mi minore (op. 11) suonato dalla Orchestra Filarmonica israeliana con la partecipazione del pianista Evgeny Kissin.


La musica del sabato

Perché non ho ancora pubblicato un post musicale dedicato ai Rainbow? Non saprei.
Tempo fa mi era pure capitato di postare due video di un loro ex tastierista, ma ho comunque rinviato per troppo tempo. Tutti i progetti di Ritchie Blackmore meritano una loro attenzione, quindi anche i Rainbow.
Il primo brano selezionato per oggi è «Ariel» (dall’album «Stranger in Us All» del 1995):

E il secondo è il strumentale «Snowman» (dall’album «Bent Out of Shape» del 1983):


La musica del sabato

Non so se saranno in molti ad apprezzare la battuta, ma questo sabato il post musicale è interamente dedicato alla Sinfonia n. 7 di Dmitrij Šostakovič.
Buon ascolto.

La sinfonia è suonata da hr-Sinfonieorchester – Frankfurt Radio Symphony.


Alla fine di febbraio avevo letto di una iniziativa interessante, bella, utile dal punto di vista tecnologico e quasi disperata dal punto di vista giuridico.
I musicisti e programmatori Damien Riehl e Noah Rubin hanno generato tutte le possibili melodie all’interno della stessa ottava – più di 68 milioni di melodie – e le hanno messe a disposizione del pubblico, rinunciando ai propri diritti d’autore. L’obiettivo di tale lavoro è stato quello di porre fine alla diffusissima nel mondo pratica del contenzioso giudiziario sulla materia del plagio, la quale limita la libertà creativa degli artisti.
Infatti, nelle cause che riguardano la violazione del diritto d’autore nell’ambito musicale diventa spesso decisiva la questione se il convenuto avesse mai potuto sentire, almeno una volta, quella melodia di cui «furto» è accusato. Qualora la risposta dovesse essere positiva, il giudice può giungere alla conclusione che il convenuto, pur non avendo l’intenzione di copiare una melodia altrui, l’abbia usata inconsciamente per la propria opera, violando dunque il diritto d’autore (per spiegare la decisione in termini popolari, si potrebbe usare l’espressione «senza dolo», ma evito). Indipendentemente dal risultato finale – spesso incerto, – il relativo processo giudiziario potrebbe comportare delle spese milionarie alla persona accusata del plagio.
Riehl e Rubin hanno dunque creato un algoritmo che ha composto tutte le possibili combinazioni di 12 note all’interno di una ottava. In sostanza, si tratta dello stesso principio che gli hacker utilizzano per la ricerca di una password: creano tutte le possibili combinazioni di simboli utilizzabili.
I 68,7 miliardi delle melodie ottenute occupano lo spazio di 2,6 terabyte. I link per il download delle melodie e del codice sorgente dell’algoritmo sono disponibili sul sito del progetto. Il codice, in particolare, potrebbe essere utile per coloro che vogliono provare a contribuire alla causa e generare le melodie in altre ottave. Le melodie, poi, hanno la licenza Creative Commons Zero che le rende di dominio pubblico.
Tuttavia, l’iniziativa di Damien Riehl e Noah Rubin potrebbe essere considerata giuridicamente disperata per più di un motivo. In primo luogo, gli autori non hanno generato tutte le possibili melodie, ma si sono limitati a una sola ottava. Appartenendo a un «campo ristretto», le melodie generate non hanno alcuna componente creativa e quindi difficilmente potranno essere fatte rientrare nel diritto d’autore. Inoltre, la somiglianza tra due melodie – quella originale e quella «rubata» – viene valutata dal giudice non solo sulla base della combinazione delle note, ma anche dal modo nel quale vengono suonate. Quest’ultimo dettaglio non viene preso in considerazione dall’algoritmo di Riehl e Rubin.


La musica del sabato

Molto probabilmente mi era già capitato di scriverlo: a eccezione dei primi due album, non mi piacciono i «The Rolling Stones».
Il cantante del gruppo – Mick Jagger – da solista mi sembra invece più ascoltabile. Ha fatto appena quattro album e, considerati l’età e alcuni problemi di salute, difficilmente ne farà altri notevoli. Quindi accontentiamoci…
La prima canzone di Mick Jagger selezionata per il post musicale di oggi è «God Gave Me Everything» (dall’albume «Goddess in the Doorway» del 2001):

E la seconda canzone è «Hard Woman» (dal primo album «She’s the Boss» del 1985):