L’archivio della rubrica «Cultura»

Da vedere a casa (la puntata №2)

Il fott-biiiip-mo lockdown-di-fatto per ora continua, quindi oggi pubblico una nuova lista dei film da (ri)vedere durante le lunghe serate passate in casa.
Ma prima vi ricordo la parte precedente della lista e i miei consigli circa il cinema russo (che di solito faccio separatamente).
Ecco, ora sono pronto a ricordarvi altri cinque titoli:
1. «The Lighthouse» di Robert Eggers (2019). A differenza di quanto dichiarato su alcuni siti dedicati al cinema, non è un horror ma un bellissimo film su quanto è facile impazzire trovandosi da solo in un ambiente isolato per troppo tempo. Vedete voi se è un film adatto per il momento storico corrente, mentre io specifico solo che è bello da tutti i punti di vista: la trama, la qualità degli attori, la fotografia e pure il formato azzeccato del fotogramma.

2. «L’ufficiale e la spia» di Roman Polanski (2019). Penso che sia il film più noto e più visto della mia lista di oggi. Chi lo ha scartato prima, Continuare la lettura di questo post »


Prima o poi

È interessante il progetto del poeta olandese F. Starik «The Lonely Funeral» (si può tradurlo come «Il funerale solitario»?). Esso nasce come una reazione al fatto che in questo mondo alcune persone muoiono in una totale solitudine. Può trattarsi, per esempio, dei senzatetto, immigrati o persone molto anziane che hanno vissuto più a lungo dei propri parenti o amici stretti.
Quindi nell’ambito del progetto di F. Starik al funerale solitario si presenta un poeta che legge una poesia dedicata specificatamente alla persona defunta. Al giorno d’oggi i poeti hanno già partecipato a più di trecento funerali solitari.


La lingua e il progresso

È curioso osservare come alcune espressioni, pur indicano dei fenomeni moderni e ben integrati nella nostra vita quotidiana di oggi, diventano sempre più obsolete.
Per esempio: pensate alla espressione touch screen. Se provate a dire a un bambino di cinque o poco più anni che non tutti gli schermi sono touch screen, il bambino vi guarderà come se foste un vecchio pazzo. Perché nel mondo dove vive il bambino gli schermi sono già tutti touch per definizione. Quindi nel mondo contemporaneo un touch screen «torna» a chiamarsi semplicemente schermo.
Lo stesso vale anche per i fenomeni meno tecnologici. Per esempio, le valigie: da alcuni decenni non ha più senso l’espressione «una valigia con le rotelle». Perché ormai tutte le valigie sono con le rotelle, mentre un semplice parallelepipedo con la maniglia al centro del lato lungo è un pezzo da museo. Lo è allo stesso modo di uno schermo che non reagisce al tocco con le dita.


La musica del sabato

Giacomo Puccini è un compositore talmente famoso che è inutile tentare di raccontarne qualcosa di originale. Mi sembra invece molto più sensato ricordare che oltre alle opere liriche (per le quali è meritatamente noto e apprezzato in tutto il mondo) ha scritto, durante la sua lunga carriera, anche numerose composizioni di altro genere. Vorrei dunque dedicare il mio post musicale odierno proprio a due esempi di queste ultime. La passione professionale di Puccini verso l’opera lo aveva spinto a prevedere almeno una voce umana anche nei pezzi molto più brevi, ma io, almeno per questa volta, limiterei il campo dello studio alle sole composizioni strumentali.
Inizierei con il «Piccolo Valtzer» per pianoforte composto nel 1894:

E poi metterei la «Scossa elettrica», una marcetta brillante per pianoforte, composta presumibilmente nel 1899:

Più è famoso un autore e più è utile conoscere i suoi lati artistici meno pubblicizzati.
P.S.: anche se avrei potuto aggiungere anche una piccola fantasia personale. Chissà quante volte, recandosi al (o tornando dal) Conservatorio di Milano dove aveva studiato, Giacomo Puccini era accompagnato dal suo grande amico e compagno degli studi Pietro Mascagni. Però, una delle vie che molto probabilmente avevano percorso più volte, ora porta il nome meno scontato tra i due possibili. Io, facendo quella via, a volte rifletto su questo aspetto.


Il fallimento e l’evoluzione

Ho saputo solo ieri sera del fallimento della casa editrice UTET Grandi Opere, avvenuto a ottobre.
Di fronte a tale notizia, posso constatare solo due cose.
In primo luogo, ricorderei a tutti che è scorretto affermare che sia fallita la UTET (la casa editrice che io, come molti miei colleghi, apprezzo anche per i libri giuridici di qualità): la sezione «Grandi Opere» è una società separata da oltre sette anni.
In secondo luogo, ammetto di non capire come abbia potuto sopravvivere fino ai giorni nostri una casa editrice specializzata nella pubblicazione di dizionari ed enciclopedie. Non posso certo mettere in discussione la qualità intellettuale e materiale dei rispettivi volumi pubblicati, ma si tratta sempre di due settori «mangiati» oltre un decennio fa dall’internet. Nel solo passaggio globale dalla carta al digitale (o allo schermo, se preferite) non c’è alcunché di male: il secondo è infinitamente più comodo dal punto di vista pratico e, allo stesso tempo, non influisce in alcun modo sui contenuti. Anzi, permette di allargare più facilmente i confini delle informazioni utili ricevute. È invece molto grave non sapersi adeguare alla normale evoluzione del mondo circostante. Perché il valore della conoscenza tende allo zero quando non si è in grado di fornirla al prossimo (in realtà anche di utilizzarla, ma ora parliamo solo di una casa editrice). La conoscenza conservata e/o servita con una modalità obsoleta diventa, purtroppo, solo un peso inutile. Di conseguenza, il fallimento del suo divulgatore che non si adegua alla vita dinamica è solo una questione di tempo.
In ogni caso, gli archivi, le opere pubblicate o in lavorazione e i cataloghi costituiscono un enorme cespite che non andrà di certo perso. Dobbiamo solo sperare che finiscano nelle mani di qualcuno che sia più preparato alla vita reale contemporanea.


La musica del sabato

La canzone «Good Golly Miss Molly» è stata in origine scritta per Little Richard e, come tante altre canzoni cantate da quest’ultimo, con gli anni è diventata un grande classico del rock. È dunque stata interpretata da moltissimi altri cantanti e gruppi. Lo stesso Little Richard ne aveva registrato due versioni: una veloce e una lenta. Io metterei la versione veloce perché Little Richard è entrato nella storia proprio con le canzoni veloci.

La versione lenta della canzone (interessante e un po’ psicodelica) che merita di essere pubblicata e ascoltata è quella dei Creedence Clearwater Revival (inclusa nel loro album «Bayou Country» del 1969):

Da ritmo apparentemente intermedio è la versione dei The Swinging Blue Jeans (registrata nel 1963):

Tra queste tre versioni c’è anche la mia preferita, ma per ora preferisco di non dire qual è.


Da vedere a casa (la puntata №1)

Visto che, purtroppo, ci ritroviamo quasi chiusi in casa per non si sa bene quanto altro tempo (le differenze con il lockdown non sono poi così grandi), dobbiamo nuovamente inventarci dei passatempi più o meno sensati. Presumo (o spero?) che tutti i miei lettori abbiano abbastanza perseveranza, fantasia, passione e comprensione di necessità per realizzare – nel tempo libero – dei progetti personali nei propri ambiti professionali. Quindi a me non rimane altro che contribuire iniziando a pubblicare la mia serie di proposte nell’ambito del divertimento.
Per esempio, potrei iniziare dalla lista dei film validi che a me è capitato di vedere più o meno recentemente, ma che qualcun altro poteva avere saltato. Come ben sapete, il cinema russo è un argomento a sé stante sulle pagine di questo blog (ricordo l’ultima puntata a tutti coloro che l’avessero persa), mentre con il post di oggi provo a fare una prima selezione di film europei e statunitensi consigliabili. Può capitare, almeno in teoria, che a voi ne sia sfuggito qualcuno.
Penso che cinque titoli alla volta possano essere sufficienti:
1. «La belle époque» di Nicolas Bedos (2019). Un film molto bello (in tutti i sensi) e molto tranquillo. Raccomandato anche a chi si accorge di uno preoccupante avanzamento della pigrizia intellettuale: si potrebbe provare a prendere il film come una ricetta.

2. «Il caso Collini» di Marco Kreuzpaintner (2019). È un bel film per chi sa riflettere sui Continuare la lettura di questo post »


La musica del sabato

Manuel de Falla è probabilmente il primo tra gli spagnoli a essere entrato nella famiglia dei grandi compositori europei di musica classica come un componente non inferiore agli altri. Per riuscire a farlo non ha dovuto uniformarsi ad alcuna tendenza: semplicemente, ha unito il flamenco spagnolo con la sonorità di una orchestra sinfonica. Nel corso della propria carriera musicale ha scritto delle composizioni di varie tipologie, ma io, per il post di oggi, ho voluto scegliere qualcosa che rappresenti al meglio la sua caratteristica appena menzionata.
Di conseguenza, la prima composizione scelta è la «Danza española» (dall’opera «La vida breve») suonata dalla orchestra ungherese di Budafolk (la solista è la violinista ungherese Katica Illényi). Alcune tendenze al pop di questa interpretazione sono giustificate dal fatto che si tratta pur sempre di una danza.

Mentre la seconda composizione selezionata per oggi è la «Serenata andaluza» (suonata dalla orchestra Frankfurt Radio Symphony, solista Javier Perianes):

Per oggi è così, ma molto probabilmente tornerò ancora a Manuel de Falla.


La musica del sabato

Il 23 ottobre è uscito il nuovo album di Joe Bonamassa: «Royal Tea». E dato che per me si tratta di un evento culturale importante, non posso non dedicarne un post della mia rubrica musicale.
La prima canzone del nuovo album che ho selezionato è «Why Does It Take So Long to Say Goodbye»:

E la seconda canzone tratta dallo stesso album è «A Conversation With Alice»:

Bene, almeno dal punto di vista musicale non è un anno perso.


Le lettere sfortunate

Quando stavo appena iniziando a studiare l’italiano, alcuni insegnanti mi avevano detto, tra le altre cose, che le persone più sgrammaticate si riconoscono anche dall’uso improprio della lettera H.
Nel corso degli anni, poi, ho dovuto scoprire da solo che lo stesso si potrebbe dire anche della lettera D. Vedere un errore del genere in una sede universitaria è particolarmente curioso:

P.S.: per la tranquillità degli altri (che in questo periodo scarseggia sempre più), portate pure la mascherina nei luoghi pubblici.