Paul Hindemith è uno dei più importanti compositori tedeschi della prima metà del XX secolo. Volevo scrivere «compositori classici», ma non sono ancora del tutto convinto sulla opportunità di applicare a egli proprio di quella espressione.
Per fortuna, la classificazione e le definizioni sono quelle cose che mi interessano meno della musica. Prima di tutto, la musica deve essere bella e interessante. Paul Hindemith riusciva a rendere la propria musica bella e interessante in un modo suo: molto spesso componeva per quelle combinazioni degli strumenti classici fino a quel momento considerate insolite. Potrei utilizzare proprio questa particolarità del compositore in qualità del criterio di scelta della musica da postare.
Inizierei dunque dalla sonata per contrabasso e pianoforte (composta nel 1949):
E poi aggiungo la sonata per trombone e pianoforte (composta nel 1941):
Per me la musica di Paul Hindemith è particolare, ma interessante.
L’archivio della rubrica «Cultura»
Il brano strumentale «Cat’s Squirrel» è stato eseguito e registrato, nel corso degli anni, da diversi gruppi rock e blues-rock. Tutti quei gruppi hanno accompagnato il titolo del brano con una nota strana: «una canzone popolare inglese». Mentre in realtà, come ben sanno gli esperti del blues, il prototipo di tale brano è il «Mississippi Blues», registrato nel 1953 dal bluesman Charles Isaiah Ross (noto anche come Dr. Ross):
Il nuovo nome del brano, quello pseudo-popolare-inglese, è comparso per la prima volta sulla copertina dell’album dei Cream «Fresh Cream» del 1966. Ecco la loro interpretazione:
Nel 1968, poi, sono stati i Jethro Tull a includere il brano, sempre con il nome «Cat’s Squirrel», nel proprio album del debutto «This Was».
Poco dopo la pubblicazione del primo album, il gruppo è stato lasciato da uno dei fondatori: Mick Abrahams. Quest’ultimo ha fondato, nello stesso 1968, il gruppo Blodwyn Pig. Anche con questo secondo gruppo ha spesso suonato il brano «Cat’s Squirrel»:
Il brano è stato suonato anche da alcuni altri gruppi, ma non vorrei appesantire troppo il post musicale di oggi. Forse un’altra volta…
Alla corte reale britannica esiste la figura del Master of the Queen’s Music (o Master of the King’s Music). Tale incarico fu creato nel 1626 dal re Carlo I. Il titolare dell’incarico fu originariamente al servizio del monarca d’Inghilterra, dirigendo l’orchestra di corte e componendo o commissionando musica secondo le necessità. Al giorno d’oggi, invece, l’incarico viene ricoperto da persone che si distinguono nell’ambito della musica classica, quasi sempre da compositori. Così, la Regina Elisabetta II ha nominato – durante il proprio regno – quattro Maestri della Musica della Regina, trasformando la nomina a vita in una nomina decennale: al fine di rendere l’incarico più attraente per i compositori contemporanei.
Nel 2014 Elisabetta II ha nominato, per la prima volta nella storia, una donna all’incarico di Master of the Queen’s Music: la compositrice britannica Judith Weir. Le tendenze musicali di Judith Weir sono abbastanza conservatrici, ma i critici musicali sostengono che la signora «sa come rendere misteriose le idee musicali semplici in modi nuovi». Purtroppo, solo gli eventi di cronaca recenti mi hanno spinto ad ascoltare qualche composizione di Weir. Ora provo a condividere con voi due degli esempi scoperti.
Inizio con la «Love Bade Me Welcome» su testi di George Herbert, un poeta metafisico e paroliere spirituale inglese del XVII secolo:
La seconda composizione di Judith Weir selezionata per oggi è la «Ascending into Heaven»:
E ora un Bonus Track: Continuare la lettura di questo post »
Nel corso delle ultime due settimane mi capitato di (ri)ascoltare – per un motivo triste – diverse canzoni occidentali dedicate a Mikhail Gorbachev. In tal modo mi sono ricordato di alcuni esempi notevoli del trash epocale (come, per esempio, la canzone «Tovarish Gorbachev» dei Midnight Moscow pubblicata nel 1987 o la canzone «Clap Your Hands (Michael Gorbachev)» del 1988 di Eva Csepregi). Ma, allo stesso tempo, mi sono ricordato anche di alcuni brani relativamente ascoltabili. Quindi provo a riportare due esempi di questi ultimi nel post musicale di oggi.
Inizierei con il gruppo The Shamen, che ha incluso il brano «In Gorbachev We Trust» nel proprio album omonimo del 1989. Sovrapponendo i ritmi ai filmati dei telegiornali, gli indie-rockers scozzesi hanno suggerito di vedere il leader sovietico come un guru spirituale il cui messaggio porta «giovinezza e libertà», mentre la sua comparsa sulla scena politica come il secondo avvento.
E poi aggiungerei il popolare video musicale/comico «Rock the Wall – Gorby 2» di Ronald Knapp (il vincitore del concorso americano per i sosia di Gorbaciov, che ha recitato con successo il Segretario Generale in programmi televisivi e cerimonie). Faccio notare che il video è stato realizzato nel 1987: due anni prima del crollo del muro di Berlino.
Bene, il post di oggi è stato più storico che musicale, ma abbiamo comunque ripassato un po’ di storia culturale del XX secolo.
Oggi è il primo sabato di settembre, quindi è la Giornata mondiale della barba!
Oggi è la Giornata mondiale della barba, quindi è l’occasione giusta per postare qualche canzone di Billy Gibbons, il cofondatore e membro eterno dei mitici ZZ Top.
L’anno scorso avevo già postato due canzoni del gruppo, quindi ora posso dedicarmi alla musica dei suoi singoli componenti. Il cantante e chitarrista Billy Gibbons è il più famoso di tutti e, di conseguenza, mi sembra logico iniziare proprio da egli. Dal suo primo album da solista «Perfectamundo» (del 2015) ho selezionato — come da tradizione — due canzoni.
La prima canzone di oggi è la «Treat Her Right» (una cover della canzone scritta da Roy Head e Gene Kurtz nel 1965):
Mentre la seconda canzone di oggi è la «Sal y Pimiento»:
Viva la barba! Viva la musica!
Il 22 agosto era il 160-esimo anniversario della nascita del compositore francese Claude Debussy. Per festeggiare la data provo dunque a postare qualche composizione relativamente allegra di Debussy.
Inizio con «Le trimphe de Bacchus» (una suite composta nel 1882):
E poi metto «Le fantasie per piano e orchestra» (composte tra il 1889 e il 1890):
Potrebbe andare bene come un post musicale di auguri? Forse sì.
La carriera musicale autonoma del chitarrista e cantante statunitense John Hiatt è ufficialmente iniziata nel 1973, quando è uscito il suo primo album registrato in studio. Ma il post musicale di oggi – che esce proprio il giorno del settantesimo compleanno di John Hiatt – è dedicato al primo album dell’artista diventato largamente noto: il «Bring the Family» del 1987.
La prima canzone scelta da quell’album è la «Have a Little Faith in Me» (che successivamente è stata cantata, come è successo a diverse canzoni di John Hiatt, anche da molti altri artisti):
La seconda canzone dell’album scelta per oggi è la «Alone in the Dark»:
Molto probabilmente tornerò ancora a scrivere di John Hiatt perché egli ha collaborato, durante la propria carriera, con diversi artisti interessanti.
Il supergruppo The Traveling Wilburys era stato formato, nell’aprile del 1988, da Jeff Lynne e George Harrison; poco dopo ai due fondatori si erano uniti Bob Dylan, Roy Orbison e Tom Petty. L’intero gruppo si era unito in studio (quello di Bob Dylan) per registrare il B-side del singolo «This Is Love» di Harrison. La canzone scritta a tal fine era la «Handle with Care».
La casa discografica che doveva pubblicare il singolo aveva però ritenuto che il brano registrato dai The Traveling Wilburys fosse troppo bello per essere una semplice canzone di supporto. Proprio a questo punto il supergruppo aveva accettato l’idea di registrare il proprio primo album. Bob Dylan doveva però andare a breve in tour, quindi l’album «Traveling Wilburys Vol. 1» era stato registrato in appena dieci giorni. La seconda canzone facente parte di quel disco che ho selezionato per oggi è la «Rattled»:
Il 6 dicembre 1988 era morto Roy Orbison, ma l’attività del gruppo non si era fermata subito: nel 1990 era uscito il secondo album «Traveling Wilburys Vol. 3» (chiamato in questo modo perché molte persone chiamano con il nome Vol. 2 l’album di Tom Petty «Full Moon Fever», alla registrazione del quale avevano partecipato Lynne, Garrison e Orbison). Il Vol. 3 aveva però ottenuto un successo notevolmente inferiore rispetto al primo: non so se sia stato questo il vero motivo per il quale il gruppo non ne aveva pubblicati altri.
Mi era già capitato, all’inizio di quest’anno, di scrivere del duo americano The Everly Brothers. I due fratelli che ne facevano parte – Phil e Don – avevano nel 1973 litigato tanto fortemente da non poter più lavorare insieme per diversi anni. E, infatti, si erano riunti per ricominciare a comporre e suonare insieme solo nel 1983.
Durante i dieci anni di pausa (dal lavoro comune) ognuno dei fratelli aveva tentato una carriera da solista: in quel periodo Don aveva pubblicato tre album, mentre Phil ne aveva pubblicati cinque. Ma, ovviamente, non è la quantità che conta. Dal punto di vista qualitativo (ma pure in termini della popolarità misurabile con le vendite) Phil Everly aveva comunque ottenuto un po’ più successo del fratello Don, anche se nessuno dei due era riuscito ad avvicinarsi, da solista, alla popolarità passata del duo.
Alcune canzoni di Phil Everly meritano però di essere pubblicizzate nella mia rubrica musicale: potrebbero andare bene almeno in qualità del sottofondo estivo poco impegnativo ma non scarso.
Quindi la prima canzone scelta per oggi è la «God Bless Older Ladies» (dall’album «Star Spangled Springer» del 1973):
E la seconda canzone di oggi è la «She Means Nothing to Me» registrata assieme a Cliff Richard e inclusa nell’album «Phil Everly» del 1983:
Ehm, è venuto troppo leggero il post di oggi…
Nel 1840 il governo francese fu intenzionato a festeggiare, il 28 luglio, il decimo anniversario della Rivoluzione di Luglio. Proprio nella fase di preparazione di tale evento, commissionò al compositore Louis-Hector Berlioz una composizione musicale che avrebbe dovuto essere eseguita per strada. Così nacque la «Grande symphonie funèbre et triomphale». Il 28 luglio 1840 fu diretta dal compositore stesso per le vie di Parigi.
Esistono due versioni di questa sinfonia: quella originale per una orchestra militare di fiati e percussioni e quella rielaborata da Berlioz nel 1842 per aggiungere gli archi e il coro. Io preferisco pubblicare la seconda: perché mi sembra una opera più completa e autonoma.
Questa è l’ultima, nel senso cronologico, sinfonia di Hector Berlioz e, allo stesso tempo, la sua seconda composizione dedicata alla memoria dei caduti durante la Rivoluzione di Luglio: il primo è stato il Requiem del 1837.