L’archivio del tag «ucraina»

Ha sbagliato il segno

Igor Konashenkov, il portavoce del Ministero della Difesa, ha dichiarato che gli Stati Uniti sarebbero direttamente coinvolti nella guerra in Ucraina perché fornirebbero a Kiev le indicazioni sugli obiettivi da colpire con i sistemi missilistici HIMARS. Konashenkov ha poi precisato che l’amministrazione del presidente USA sarebbe responsabile «di tutti gli attacchi missilistici approvati da Kiev su aree residenziali e infrastrutture civili», i quali avrebbero provocato la morte di massa di civili.
Non ricoprendo alcun ruolo nella amministrazione di Joe Biden, non posso commentare in modo argomentato le stronzate dichiarate da Konashenkov. Però posso ricordare – a tutte quelle persone che si sono in qualche modo imbattute nelle sue recenti dichiarazioni – che gli USA forniscono all’Ucraina gli armamenti a lungo raggio con una condizione: che non vengano usati per colpire il territorio russo o la Crimea.
Di conseguenza, Igor Konashenkov e tutti suoi superiori (ma anche i colleghi) dovrebbero pregare poiché gli USA continuino a essere «direttamente coinvolti».


Aggionare la terminologia

Da anni osservo la strana abitudine dei giornalisti italiani – ma spesso anche quelli europei in generale – di definire con il termine «oligarca» qualsiasi uomo ricco con la cittadinanza di qualche Stato dell’area ex sovietica… Ma porzo Zeus, aggiornatevi! In Russia, per esempio, gli oligarchi non esistono dai primi anni 2000 perché i super-ricchi attuali, a differenza di quelli degli anni ’90 (anche se in alcuni rari casi sono le stesse persone), non possono più tentare di influenzare qualcosa o qualcuno con i propri soldi. Ora c’è qualcuno a concedere ai ricchi la possibilità di tenere i soldi in tasca e di essere fisicamente liberi. Più o meno tutti sanno che può smettere di concedere quella possibilità in qualsiasi momento. Più o meno tutti sanno anche come si chiama quel qualcuno: teoricamente il suo posto di lavoro sarebbe nel Cremlino di Mosca.
In Bielorussia gli oligarchi sono impossibili perché lo Stato è di fatto governato dal presidente-proprietario, il quale decide anche sui principali flussi finanziari.
Nelle ex-repubbliche sovietiche asiatiche le persone più ricche sono i membri delle dinastie (sì, sono di fatto delle dinastie, anche se la carica massima dello Stato si chiama «presidente» o qualcosa del genere). Non possono essere degli oligarchi nei confronti di loro stessi.
Nelle ex-repubbliche sovietiche caucasiche solitamente ognuna delle persone più ricche sostiene economicamente qualcuno dei politici più popolari del momento. Il fenomeno del genere, anche se in una forma molto più velata e regolamentata, esiste anche dalle altre parti del mondo. Ma nell’ottica dell’argomento di oggi è importante sapere che in Cuacaso c’è una «rotazione» dei politici e dei loro sponsor.
Nelle ex-repubbliche sovietiche baltiche la situazione politica è abbastanza strana, ma spesso esteticamente molto simile a quella europea, quindi non ha molto senso parlare degli oligarchi.
Chi ci rimane? Giusto: l’Ucraina. La sua situazione è da decenni uno strano mix tra le situazioni baltica, russa e caucasica. Infatti, l’economia è abbastanza libera, ma influenzata in un modo sensibile dalla corruzione e dalla presenza dei grandi ricchi che finanziano i politici in base alle necessità correnti. Ne sto scrivendo proprio oggi perché pure i giornali italiani hanno scritto (ieri) della morte del 74-enne imprenditore ucraino Oleksiy Vadatursky (la notte tra il sabato e la domenica è stato ucciso dal bombardamento russo della città di Mycolaiv). Ecco: pure lui è stato definito un oligarca, anche se era il 24-esimo uomo più ricco dell’Ucraina con un patrimonio di 430 miloni di USD (capisco che a un comune mortale sembrano tantissimi). Era il proprietario della azienda «Nibulon», la terza azienda agricola ucraina per il fatturato. In particolare, l’azienda è impegnata nella produzione e nell’esportazione di prodotti agricoli, nonché nella costruzione di navi e nei trasporti. Ma, soprattutto, non mi ricordo di avere mai sentito di un particolare interesse di Vadatursky per la politica: tranne il fatto che era un sostenitore dell’ex presidente Poroshenko (un tipo già ricco di suo) e uno sponsor finanziario del contrato della invasione russa (come tantissimi altri imprenditori ucraini). Sicuramente aveva un certo interesse politco e una propria visione dello sviluppo ottimale dello Stato – come ce l’hanno tutti gli imprenditori del mondo – ma dei suoi tentativi di influenzare il corso globale delle cose (e, soprattutto, farlo con successo) non si sa praticamente niente. Quindi non so proprio in quale di tanti sensi possibili e immaginabili possa essere definito un oligarca.
Di conseguenza, per l’ennesima volta ricordo a tutti di non usare a caso delle parole così specifiche.
Ovviamento, tutto quello che ho appena scritto non significa che io non sia dispiaciuto per la morte di Oleksiy Vadatursky e per la guerra in Ucraina in generale.


L’inno al Bayraktar

Il video di oggi è stato pubblicato più di due mesi fa, ma io l’ho scoperto solo questa settimana. Si tratta di una canzone ucraina (da ascoltare con i sottotitoli inglesi) dedicata ai mitici Bayraktar:

Al video partecipa un noto politico russo, il suo «ministro degli esteri» e alcuni dei peggiori propagandisti televisivi russi (dei quali, prima o poi, scriverò su questo blog).
Probabilmente riuscite a capire la logica secondo la quale non ho inserito la canzone in questione nella mia rubrica musicale del sabato.


Ingaggiare il nemico

È importante ricordare che le guerre non sono fatte solo di sparatorie e bombardamenti di vario genere. Le guerre sono fatte, tra tante altre cose, anche dei tentativi di «rubare» alla controparte il personale altamente specializzato (le persone che sanno operare con i meccanismi tecnologici moderni) e i relativi «attrezzi di lavoro». In merito a tale caratteristica delle guerre, per questo sabato consiglio un breve articolo dal quale potrebbe partire — se siete interessati — con uno studio più approfondito dell’argomento.
Non so se anche a voi verrà (oppure è già venuta?) l’idea che le guerre del futuro saranno combattute da remoto, «con le mani» degli ingegneri e dei servizi segreti (come viene anticipato dalla storia descritta nell’articolo segnalato). Invece di essere combattute con le masse di metalli ed esplosivi.


Il folklore politico russo

Nel segmento russo dell’internet russo girano i tredici punti che riassumono la posizione ufficiale e pubblica della diplomazia russa in merito alla guerra in Ucraina. Non conoscendo l’autore della versione originale, considero quei punti un prodotto del folklore e li pubblico così come sono:
1. Non nascondiamo gli obiettivi dell’operazione speciale, ma essi cambiano ogni settimana.
2. Stiamo solo difendendo il Donbass, ma andremo oltre.
3. Non ha senso negoziare, ma noi siamo per i negoziati.
4. Non stiamo occupando l’Ucraina, ma ci resteremo per sempre.
5. Tutto procede secondo i piani, ma non abbiamo ancora iniziato.
6. Non abbiamo sono perdite, ma esse sono coperte dal segreto di Stato.
7. Consideriamo il Presidente dell’Ucraina legittimo, ma vogliamo rovesciarlo.
8. Siamo contrari all’allargamento della NATO, ma non siamo contrari all’allargamento della NATO.
9. Non abbandoniamo mai i nostri, ma molti di loro non torneranno e noi non sappiamo dove siano.
10. Proteggiamo la popolazione di lingua russa, ma spareremo contro di essa per proteggerla meglio.
11. Le sanzioni ci fanno solo bene, ma le industrie stanno crollando.
12. La Gazprom è la ricchezza nazionale, ma molti paesi, abitazioni, scuole etc. non sono stati raggiunti dai gasdotti.
13. Le sanzioni ci fanno solo bene, ma chiediamo che vengano revocate!
Secondo me seguirà una continuazione.


La sociologia da arsenale

Non è la prima notizia del genere che mi capita di leggere e di condividere con voi, ma questo aspetto non la rende meno interessante.
In Polonia dal 28 giugno sta continuando la raccolta dei fondi per l’acquisto dei «Bayraktar» da donare alla Ucraina. La campagna di crowdfunding è in corso sulla piattaforma Zrzutka.pl, dove oltre 200 mila persone in meno di un mese hanno già raccolto quasi 5 milioni di euro (più di 23 milioni di złoty). La raccolta dei fondi è stata promossa da Slawomir Sierakowski, un giornalista e politologo polacco, il quale ha detto che essa – la campagna – continuerà ancora per diversi giorni, nonostante l’obiettivo inizialmente dichiarato sia già stato raggiunto: perché «c’è un gran numero di persone desiderose ad aderire». I soldi raccolti oltre l’obiettivo prefissato saranno trasferiti sul conto delle Forze Armate dell’Ucraina presso la Banca Nazionale Ucraina.

A questo punto penso che la raccolta dei fondi per l’acquisto degli armamenti costosi da donare alla Ucraina possa anche essere trasformata in una forma di ricerca sociologica. Una ricerca avente per l’obiettivo rispondere alla domanda «quanti residenti/cittadini dello Stato X sono disposti a sostenere attivamente l’Ucraina?». Probabilmente, molte persone vedranno per la prima volta nella vita l’utilità pratica della sociologia (anche se in realtà è utile anche in tanti altri sensi).


Gli 8 anni del MH17

Quasi una settimana fa, il 17 luglio, c’è stato l’anniversario di un avvenimento che sta rischiando di finire un po’ dimenticato con la guerra putiniana in Ucraina: l’abbattimento del Boeing della Malaysia Airlines MH17, avvenuto nel cielo dell’est ucraino nel 2014. Eppure, oggi lo potremmo considerare uno dei primi atti realmente folli di una guerra iniziata già oltre otto anni fa.
Proprio a questo argomento è legata la lettura che vi consiglio per questa settimana: le storie di cinque famiglie olandesi che hanno perso i propri figli in Ucraina nell’articolo «Our children were killed by Putin too» di Ekaterina Glikman.


Un’altra forma dell’anonimato

Sabato mi era già capitato di consigliarvi un articolo sull’anonimato di fatto imposto agli alti ufficiali russi che partecipano alla guerra in Ucraina. Da oggi la descrizione di tale situazione può essere integrata da un nuovo elemento curioso.
Il Ministero della «Difesa» russo ha diffuso la notizia sulla ispezione, fatta dal ministro Sergey Shoygu, del raggruppamento militare russo «Zapad» («Occidente» in italiano), che sta combattendo in Ucraina. Il ministro avrebbe visitato il posto di comando e avrebbe ascoltato il rapporto del comandante del raggruppamento, il tenente generale Andrey Sychevoy. Uno degli aspetti più interessanti della notizia consiste nel fatto che non è stato precisato dove e come combatte il raggruppamento «Zapad» (e nemmeno da quando viene comandato da Andrey Sychevoy).
Più o meno tutte le persone che hanno fatto degli studi — accademici o personali — delle materie militari si ricordano uno dei principi-base: ogni militare che partecipa a una guerra inizia a sentire, prima o poi, la necessità di essere riconosciuto come eroe. La mia osservazione potrebbe sembrare un po’ preoccupante, ma non posso non farla: nel termine medio-breve il suddetto principio potrebbe costituire una fonte di speranza.


Lo Stato-terrorista

Il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky nel suo discorso al termine del 141-esimo giorno di guerra si è rivolto, contrariamente alla prassi, non ai cittadini del proprio Stato, ma al «mondo democratico». E ha chiesto che dopo il bombardamento della città di Vinnytsya la Russia venga finalmente riconosciuta come «Stato terrorista».
In tale richiesta – in una certa misura emotiva – c’è anche un po’ di logica. Ma il vero lavoro diplomatico (quello non del tutto pubblico) della Ucraina dovrebbe oggi concentrarsi sullo scioglimento dell’ONU: perché, purtroppo, nemmeno gli Stati-terroristi possono essere cacciati dal Consiglio di sicurezza. Ma finché un terrorista continua ad avere un incarico tra le forze dell’ordine, qualsiasi definizione più o meno pesante assegnatagli non ha molto senso pratico.


L’effetto HIMARS

È bello confrontare due mappe: quella a sinistra che illustra i bombardamenti dell’8 luglio (da dove provenivano i bombardamenti), e quella destra che illustra la situazione dopo la distruzione dei depositi russi il 12 luglio. Il numero di bombardamenti è diminuito di dieci volte. Non ci sono più munizioni e non si sa quando verranno portati quelli nuovi.

Potrebbe essere la migliore spiegazione del perché fornire gli armamenti all’Ucraina.