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I “terroristi”

Per qualche strano motivo, ho voluto condividere con voi qualcosa di realmente umoristico… Per esempio, un post su Telegram, la cui traduzione dal russo poteva esservi capitata ieri (lunedì):

L’esperienza mondiale e nostrana dimostra che i terroristi non possono essere affrontati con sanzioni internazionali, intimidazioni o esortazioni.
Capiscono solo il linguaggio della forza.
Solo metodi personali e completamente disumani.
Pertanto, è necessario far saltare in aria le loro stesse case e quelle dei loro parenti. Cercare e liquidare i loro complici, abbandonando l’idea banale del loro processo. Ma la cosa principale è distruggere i vertici delle formazioni terroristiche, indipendentemente da dove questi insetti si nascondano.

Non lo avevate letto? Ma sicuramente avete già capito a chi si riferisce l’autore!
E invece no, non avete capito. L’autore del testo umoristico è Continuare la lettura di questo post »


Il secondo attacco al ponte

Questa notte sul «Ponte di Crimea» – costruito dalla Russia dopo l’annessione della penisola – ci sono state due esplosioni: alle 3:04 (sulla parte automobilistica, danneggiando una arcata) e alle 3:20 (sulla parte ferroviaria, senza danneggiarla seriamente). L’Ucraina e la Russia sostengono che il ponte sia stato attaccato da droni di superficie ucraini.

Avrei potuto provare a scherzare sulle dichiarazioni del portavoce di Putin che detto «Siamo consapevoli dell’insidiosità del regime di Kiev», ma non è più un passatempo tanto divertente.
Avrei anche potuto constatare che l’Ucraina sta continuando a tagliare le strade alla logistica militare russa, ma lo sapete anche senza di me.
Quindi propongo qualche dichiarazione curiosa, quasi divertente, della stampa pro-governativa russa dedicata al ponte.

Il ponte di Crimea è una struttura strategica di prima categoria, al pari delle centrali nucleari o del centro di comando delle forze missilistiche strategiche. È sorvegliato di conseguenza, quindi gli appelli a «bombardare il ponte di Crimea» testimoniano o l’ignoranza di coloro che li invocano o il loro ottimismo patologico. O, più probabilmente, entrambe le cose.

Il ponte di Crimea è costruito con la tecnologia della cupola di un reattore di una centrale nucleare. Ciò significa che le campate del ponte possono resistere a un colpo diretto di un aereo. L’attraversamento è inoltre protetto dagli attacchi aerei da un sistema di difesa aerea stratificato rappresentato da una gamma completa di sistemi missilistici antiaerei: dai Pantsir alla divisione S-400 schierata a Feodosia.

Oltre alle armi puramente antiaeree in grado di respingere un massiccio attacco missilistico o aereo, sulle rive dello Stretto di Kerch sono schierate anche le più recenti attrezzature per la guerra elettronica. Se necessario, copriranno il ponte con un bozzolo invisibile dai radar e dalle testate di puntamento dei missili da crociera, faranno impazzire le attrezzature di bombardieri e droni.

Il ponte n. 1 è anche ben protetto dagli attacchi dal mare. I suoi sostegni sono protetti da speronamenti con spoiler. Gli accessi al ponte dal mare e dalla terraferma sono monitorati 24 ore su 24 da una brigata separata della Rosgvardia, coadiuvata dalle guardie di frontiera e dalle unità anti-dirottamento della Flotta del Mar Nero: queste ultime si assicurano che gli anfibi con esplosivi non si avvicinino ai supporti.

E poi aggiungo che prima del 24 febbraio 2022 il ponte di Crimea mi sembrava un potenziale bel regalo alla Ucraina del futuro, quella riunitasi con la Crimea e il Donbass e lasciata stare dalla Russia. Ora, invece, non sono contrario alla sua distruzione anche con dei mezzi militari.
E poi, non sono assolutamente dispiaciuto per le vittime russe degli attacchi: sapevano di andare in vacanza a) in un territorio occupato, b) nel corso di una guerra. Hanno subito le conseguenze delle quali erano ben informati e che si erano meritati.


Logico…

In una intervista di ieri (in russo) Putin ha dichiarato che «l’Ucraina ha il diritto di garantire la propria sicurezza, ma questo non deve peggiorare la sicurezza della Russia». È una dichiarazione della quale avremo quasi potuto ridere, soprattutto invertendo l’ordine dei nomi di due Stati.
Ma anche chi ride troppo presto ride male. Perché il contesto della dichiarazione di Putin è ancora più ridicolo: faceva parte del suo commento sul vertice della NATO a Vilnius. Uno degli obiettivi della guerra «preventiva» pubblicamente annunciati era quello di impedire l’estensione della NATO verso i confini russi (non si capisce perché tale estensione debba essere vista come un pericolo, ma almeno per ora lasciamo perdere). Tra gli effetti della guerra abbiamo già visto il raddoppio dei confini della Russia con la NATO (l’adesione della Finlandia) e la promessa (fatta proprio a Vilnius) di ammettere l’Ucraina con una procedura semplificata (proprio come si è fatto con la Finlandia; non era difficile da prevedere). Di conseguenza, in base alla logica di Putin la Russia ha fatto la guerra per migliorare e peggiorare la propria sicurezza allo stesso tempo.
Una logica molto logica, ancora più «logica» di prima.


Le banalità a grappolo

Il grappolo n. 1. Esiste la convenzione dell’ONU che proibisce l’uso delle bombe a grappolo e formalmente vale per gli Stati che l’hanno ratificata. Diversi Stati-membri della NATO l’hanno ratificata e non usano le bombe a grappolo. Gli USA non l’hanno ratificata e non usano le bombe a grappolo. La Russia non l’ha ratificata e usa le bombe a grappolo. L’Ucraina non l’ha ratificata e per ora non usa le bombe a grappolo (perché per ora non le ha mai avute). La morale: alla Ucraina potrebbe essere data la possibilità di usare gli stessi armamenti che usa l’aggressore (la Russia); sappiamo come usa le armi l’aggressore (contro i civili) e come le usa l’Ucraina (contro l’esercito).
Il grappolo n. 2. La NATO è una alleanza concepita, creata e mantenuta per non essere usata in guerra contro uno Stato come l’URSS o la Russia. Non è una alleanza concepita, creata e mantenuta per esporre a rischi atomici tutti i propri Stati-membri. È una alleanza concepita, creata e mantenuta per essere talmente grande da scoraggiare gli altri ad attaccarla.
Il grappolo n. 3. La NATO si trova di fronte a una semplice scelta economica-amministrativa: spendere dei soldi (in sostanza, dei contribuenti) per smaltire gli armamenti vecchi e/o bannati oppure farli usare (e dunque consumare) a chi può destinarle a una giusta causa. L’autodifesa della Ucraina mi risulta essere una giusta causa.


Zelensky e il vertice della NATO

La vice primo ministro ucraino per l’integrazione euro-atlantica Olha Stefanyshyn ha dichiarato, alla European Pravda, che il presidente Zelensky non ha ancora deciso se partecipare o meno al vertice della NATO che si terrà a Vilnius l’11 e il 12 luglio. La decisione non è stata presa perché non si avrebbe chiarezza sui «documenti finali che ci saranno sul tavolo». In sostanza, i vertici ucraini non sono sicuri (non senza motivo) che al vertice vengano formalizzati dei passi concreti verso l’adesione della Ucraina alla NATO.
Ecco: i politici sono spesso vincolati dalle esigenze diplomatiche, mentre noi no. Dunque almeno noi dobbiamo, purtroppo per l’Ucraina e per l’Europa, riconoscere una cosa ovvia: prima della fine della guerra l’Ucraina non sarà ammessa alla NATO. Il motivo è evidente: la NATO non vuole uno scontro diretto con uno Stato dotato della bomba atomica. Non lo vuole perché almeno formalmente è una alleanza di difesa e non di suicidio collettivo. Di conseguenza, è costretta ad aspettare la sconfitta e – nel migliore dei casi – il disarmo della Russia per poter ammettere uno Stato come l’Ucraina. Mentre nel frattempo è costretta ad apparire una alleanza inutile e «fifona».
Molto probabilmente Zelensky e i suoi collaboratori hanno già capito il suddetto concetto. Inoltre, hanno capito bene che gli aiuti militari per la guerra in corso vanno concordati con gli Stati singoli, compresi quelli facenti parte della NATO. E, naturalmente, preferiscono dedicare il tempo e le forze alle trattative su quegli aiuti.


500 giorni di guerra in foto

Ieri, l’8 luglio 2023, era il cinquecentesimo giorno della guerra in Ucraina. Il video domenicale di questa settimana riguarda proprio il suddetto «traguardo»: è fatto di 500 fotografie che mostrano le conseguenze della guerra sulla Ucraina.

Non voglio proprio altri numeri con gli zeri. Ma nemmeno altri.


Le mele con le mele

La Bloomberg, citando i dati dell’Istituto di economia mondiale di Kiel e del progetto analitico Oryx, sostiene che la Russia e l’Ucraina avrebbero pareggiato il numero di carri armati in loro possesso.
Secondo il database Ukraine Support Tracker dell’Istituto, la Russia ha iniziato l’invasione dell’Ucraina con quasi tremila e mezzo carri armati, ma durante i 16 mesi di guerra, secondo Oryx, ne ha persi poco più di duemila: tra questi ci sarebbero anche i 545 carri armati sequestrati dalle forze armate ucraine. L’Ucraina aveva circa mille carri armati al momento dell’invasione russa. Oryx ha confermato che le forze armate ucraine hanno perso più di 550 carri armati durante la guerra, ma queste perdite sono state recuperate, anche grazie ai carri armati russi catturati e alle forniture dei Paesi occidentali. Secondo l’Istituto di Kiel, dall’inizio dell’invasione sono stati consegnati a Kiev 471 carri armati, mentre altri 286 arriveranno in Ucraina successivamente.
Ecco, alle statistiche di cui sopra aggiungere un fatto già ben noto, ma molto utile da ricordare nell’ottica della comparazione: l’esercito russo sta cercando di recuperare le proprie perdite dei carri armati tirando fuori dai depositi i carri degli anni ’70, ’60 e ’50. Mentre alla Ucraina stanno arrivano molti carri armati notevolmente più moderni e prodotti negli Stati con una migliore cultura industriale. Di conseguenza, è il caso di dire che la quantità non l’unica cosa che conta.


I soldi di Abramovich

Le autorità britanniche hanno vietato alla Fondazione per le vittime di guerra di utilizzare il denaro ricevuto dalla vendita della squadra di calcio del Chelsea (circa 2,35 miliardi di sterline) da parte di Roman Abramovich al di fuori dell’Ucraina. Lo ha dichiarato Mike Penrose, il responsabile del fondo, in un articolo per il Times. Secondo quanto sostiene Penrose, prima della vendita del Chelsea, le autorità britanniche e Abramovich avrebbero raggiunto un accordo in base al quale la Fondazione avrebbe gestito il ricavato, utilizzandolo per aiutare «tutte le vittime della guerra in Ucraina». Questo accordo, scrive Penrose, è stato fissato nei documenti di vendita approvati dal governo britannico. Un anno più tardi, però, il governo britannico ha imposto una nuova condizione, secondo la quale la fondazione avrebbe ricevuto il denaro solo se avesse limitato le sue attività ai «confini geografici dell’Ucraina» (e io mi chiedo: quindi anche in Crimea?). La Fondazione non è d’accordo con questa condizione, poiché ritiene che i fondi disponibili dovrebbero essere utilizzati per aiutare i rifugiati ucraini in diversi Paesi, compreso il Regno Unito. Per esempio, la Fondazione potrebbe fornire assistenza alle persone e alle comunità che ospitano i rifugiati oppure assumere esperti internazionali per aiutare le organizzazioni ucraine in questioni come l’istruzione dei bambini che arrivano dall’Ucraina.
A prima vista, la decisione del governo inglese potrebbe sembrare molto strano e in qualche misura stupido. Ma posso anche immaginare la sua logica: nessuno vuole assumersi il rischio di destinare i soldi di un «oligarca» russo rimasto in Russia alle persone il cui status delle vittime non certo al 100%. E la certezza assoluta, purtroppo, non è possibile nemmeno in una situazione così tragica come una guerra. Per esempio: in ogni guerra esistono, purtroppo, i collaborazionisti (i quali, trovandosi sul territorio attaccato, almeno involontariamente utilizzeranno qualche parte dei soldi per il sostegno dell’economia locale). Oppure: chi sono tutti quei maschi ucraini giovani, in età da arruolamento nelle forze di difesa popolare, e apparentemente in piena salute che dopo l’inizio della guerra sono arrivati in Europa autodefinendosi profughi? (Io ne ho visti anche in Italia.) Potrei elencare anche qualche altra domanda, ma penso che i dubbi del governo inglese siano già un po’ più comprensibili. Ai profughi destineranno altri soldi.


Salvare Saakashvili

Il politico georgiano e ucraino Mikhail Saakashvili — l’ex presidente della Georgia e l’ex governatore della Regione di Odessa — dall’autunno del 2021 è sottoposto in Georgia a un processo penale di origine palesemente politica: gli attuali vertici dello Stato sono palesemente filo-putiniani e quindi cercano di torturare e punire uno degli avversari politici che in passato si erano dimostrati più efficaci, convinti ed emotivi. Da presidente georgiano era riuscito a portare la corruzione quotidiana da storia pluridecennale a un livello prossimo allo zero. Da governatore di Odessa, era riuscito a far assomigliare la burocrazia locale più a quella europea che a quella sovietica (traduco: è già un grande progresso). Privato della cittadinanza di entrambi gli Stati per il conflitto con i vertici del momento storico corrente, aveva deciso di tornare nella propria «prima» patria per continuare la propria carriera politica da riformatore, ma è stato arresto… Ora non mi metto a riassumere tutta la biografia e tutte le sfortune giudiziarie di Saakashvili: le persone realmente interessate possono andare a rileggerle anche in proprio.
In questa sede volevo fare due cose. Prima di tutto, volevo mostrarvi due foto: quella di come è apparso ieri alla ennesima audienza del processo…

… e quella che lo ritrae prima del processo (sì, pesava 116 kg per 195 cm di altezza):

Come potete vedere, le preoccupazioni circa lo stato di salute di Saakashvili pubblicamente espresse dai suoi avvocati, parenti e collaboratori non sembrano proprio infondate.
Presa la visione della prima immagine, il presidente ucraino Zelensky — che prima della guerra era un nemico politico di Poroshenko, il quale, a sua volta, aveva fatto il possibile per cacciare e privare della cittadinanza ucraina Saakashvili — ha dichiarato che «la Russia sta uccidendo, con le mani georgiane, un cittadino ucraino» e ha ribadito l’invito di consegnare Saakashvili alla Ucraina. «Ancora una volta, chiedo alle autorità georgiane di consegnare il cittadino ucraino Mikheil Saakashvili all’Ucraina per le cure e i trattamenti necessari. E invito i nostri partner a non ignorare la situazione e a salvare quest’uomo. Nessun governo in Europa ha il diritto di giustiziare le persone; la vita è un valore europeo fondamentale.»
Ed ecco che ho finito quella premessa che mi permette di re due cose banali: 1) finalmente lo stato di guerra può essere uno strumento utile per esercitare la pressione internazionale a favore di una vita umana concreta; 2) nonostante l’età e gli evidenti problemi di salute, Saakashvili potrà essere molto utile alla Ucraina post-bellica (ha l’esperienza, i contatti e la stima di molti occidentali per poter ottimizzare la ricostruzione).


La settimana scorsa The New York Times aveva scritto che alcuni funzionari dell’amministrazione di Joe Biden avrebbero espresso, privatamente, una preoccupazione circa il fatto che i progressi nella fase iniziale dell’offensiva ucraina sarebbero molto lenti. Ovviamente, gli esperti militari sapranno spiegare a quei funzionari che l’andamento di una guerra reale non può essere programmato e messo in pratica da una sola delle parti. Anzi, non può proprio essere programmato con una alta precisione. Ma, sempre ovviamente, i vertici ucraini hanno avuto un motivo di preoccuparsi per gli aiuti militari e diplomatici futuri.
Di conseguenza, il presidente ucraino Zelensky ha ritenuto necessario ribadire – nel corso della conferenza stampa con il primo ministro spagnolo Pedro Sanchez a Kiev – che l’Ucraina sarà pronta a negoziare con la Russia solamente dopo che le forze armate ucraine avranno raggiunto i confini del 1991. Paradossalmente, in quella specifica occasione avrebbe anche potuto ringraziare Evgeni Prigozhin per l’aiuto offertogli: per ora non si capisce ancora bene di quanto saranno ridotte le forze della Wagner sul fronte ucraino e quante risorse dell’esercito ufficiale russo saranno richiamate sul territorio russo per garantire la sicurezza del regime di Putin. Ma Zelensky, intanto, potrà ragionevolmente dire all’Occidente che per l’esercito ucraino si aprono delle nuove possibilità. E questo fatto mi rallegra.