L’archivio del tag «stampa»

L’organizzazione «Reporters senza frontiere» ha pubblicato la sua classifica annuale sulla libertà di stampa nel mondo. Su quella classifica, in particolare, vediamo che la Russia è scesa dal 155° al 164° posto (su 180 totali). Certo, è strano che non sia ancora scesa al 181° posto, ma la strada è bloccata da un concorrente fortissimo: la Corea del Nord.
Allo stesso tempo l’Ucraina – dove vige la legge marziale – è salita dal 106° al 79° posto della classifica nel corso dell’ultimo anno.
Trovo utile, a questo punto, mettere in evidenza la differenza tra due «censure di guerra» che nell’Occidente non tutti riescono a capire.
L’Ucraina ha imposto delle restrizioni alla diffusione di informazioni a causa della legge marziale. Un mese dopo l’inizio dell’invasione russa, è entrata in vigore una legge che limita la diffusione di informazioni militari. Ai giornalisti è stato vietato di pubblicare foto e video che mostrino le strutture militari, i movimenti delle forze armate, i luoghi di bombardamento e il numero di attrezzature militari. Il divieto non si applica ai materiali pubblicati dal Ministero della Difesa ucraino. Nelle condizioni di una guerra in corso sembra un provvedimento dotato di una sua logica interna.
In Russia, invece, oltre ai vecchi e ben noti problemi gravi con la libertà di stampa, con l’inizio della guerra si è aggiunta una nuova particolarità. In base alla nuova normativa, è vietato diffondere qualsiasi informazione diversa da quella comunicata pubblicamente dal Ministero della Difesa russo. Non importa che pubblichi la verità (circa i successi o insuccessi dell’esercito russo) o il falso (circa gli insuccessi o successi dell’esercito ucraino): anche se l’informazione diffusa potrebbe essere sfruttata a proprio favore dalla propaganda russa (ok, se fosse sufficientemente intelligente), hai comunque commesso un reato. In sintesi: non importa se hai diffuso un segreto o hai dichiarato il falso, l’unica colpa attribuibile e attribuita ai giornalisti è quella di non essere in linea con i comunicati del Ministero.
Negli ultimi mesi mi è capitato più volte di tentare a spiegare il concetto riguardante la norma russa ai giuristi italiani. Secondo la mia impressione, non tutti sono riusciti a capirlo. E alcuni, sempre secondo la mia impressione, hanno pensato che si trattasse di una delle mie solite battute.


La stampa italiana

Si possono e si devono dire molte cose negative della stampa russa, ma a volte mi stupisce tantissimo anche quella italiana. Per fortuna, mi stupisce in relazione ai dettagli notevolmente più ingenui e pacifici rispetto a quella russa. Tra ieri sera e stamattina ho scoperto due nuovi piccoli esempi che «salvo» in questo post per non dimenticare di approfondirli in seguito.
L’esempio numero 1. Al «Corriere della Sera» non sanno ancora – dopo secoli – che il sesto piano in Russia corrisponde al quinto piano in Italia (e in quasi tutto l’Occidente). Eppure, sarebbe utile avere – soprattutto in questo periodo – almeno un giornalista o redattore che si intenda anche dei piccoli dettagli della vita quotidiana russa.

[N.B.: la morte del manager in questione mi sembra molto sospetta, ma per ora non sono in grado di commentarla.]
L’esempio numero 2. Il giornale italiano «Il Tirreno» (che non ho mai sentito nominare fino a ieri) ha pubblicato, in sostanza, una voce diffusa da non si capisce chi sulla base della lingua che apparentemente non conosce. Il russo si parla (ancora) in moltissimi Stati dell’ex URSS (spesso con accenti ben riconoscibili) e, inoltre, ci sono moltissimi russi anti-putiniani che vivono stabilmente fuori dalla Russia. Ma il giornale « Del Cazzo » «Il Tirreno» ha deciso comunque di fare un regalo enorme alla propaganda russa, la quale sta già sfruttando l’a «articolo» sul mercato interno.

[N.B.: cazzius, potevano essere pure dei parenti di Zelensky stesso, il quale fino a due anni fa parlava malissimo l’ucraino.]


Gli esordi

In Italia, quasi sicuramente, nessuno la conosce, mentre in Russia la foto di questo articoletto da giornale è diventata un meme già alcuni fa:

Si tratta della prima menzione nota – almeno al giorno d’oggi – di Vladimir Putin su un giornale. La menzione che proprio oggi compie 30 anni perché è stata pubblicata l’8 aprile 1992. Ecco la mia traduzione (non tanto elaborata) del testo:

UN COLONNELLO DELLA KGB HA SACCHEGGIATO SAN PIETROBURGO
Un altro scandalo scoppiato a San Pietroburgo: una commissione parlamentare guidata da Marina Salieh ha chiesto la rimozione dall’incarico di Vladimir Putin, il presidente della commissione per le relazioni estere del municipio.
L’ex colonnello della KGB, non avendo alcuna delega dal governo [quello cittadino, E.G.], aveva rilasciato licenze per l’export del petrolio, legname, metalli non ferrosi e terre rare ad aziende dubbie e poco conosciute, spesso registrate alla vigilia dell’affare. Inoltre, nella maggior parte dei casi, le licenze sono state rilasciate in anticipo, prima della conclusione dei contratti con i partner occidentali, e senza alcuna documentazione della disponibilità delle merci. Mentre i prezzi di vendita sono stati ribassati di duemila volte inferiore a quelli esistenti.
La dogana, tuttavia, non ha permesso alla merce di passare il confine. La commissione sta girando l’indagine all’ufficio del pubblico ministero e al dipartimento dei dipendenti pubblici, quindi Putin potrebbe dover rispondere di fronte al proprio Ente per aver privato la città di 122 milioni di dollari [quelli americani, E.G.].
Natalia SHULYAKOVSKAYA

(«Megapolis-Ekspress», l’8 aprile 1992, N 15, pagina 19)
Il giornale moscovita «Megapolis-Ekspress» – di periodicità settimanale – è esistito dal 1990 al 2005 e nei primi anni era abbastanza serio. Già nel 1994 ha iniziato a trasformarsi velocemente in un classico esempio della stampa scandalistica, ma in questa sede tale fatto non ci interessa. Ora devo solo precisare che la foto del suddetto articolo viene spesso diffusa su internet assieme a una foto di Putin relativamente giovane: ma in realtà si tratta di una mossa pubblicitaria perché in origine l’articolo non era accompagnato da alcuna immagine.
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L’acqua per le locomotive

All’inizio del dicembre 2016 ero stato contattato da un ingegnere che mi aveva chiesto l’autorizzazione per una eventuale pubblicazione di due mie fotografie su una rivista specializzata. Aveva manifestato l’interesse, tra l’altro, per la foto della manichetta per l’acqua per le locomotive a vapore che io avevo pubblicato sul mio fotoracconto dedicato a Breno.

Naturalmente, avevo autorizzato la pubblicazione. Tutte le foto di cui sono autore possono essere pubblicate su carta o web se accompagnate dal mio nome e dal link al mio sito.

La rivista specializzata si chiama «Il mondo ferroviario», costa 7,50 euro e non so bene dove possa essere comprata (nelle edicole normali non l’ho mai vista). Di conseguenza, non so nemmeno se abbiano mai pubblicato le mie foto (non ho più avuto delle comunicazioni ufficiali). Se qualcuno di voi lo sa, mi faccia sapere!

In compenso, posso comunicare con tutto il mondo – e non solo quello ferroviario – attraverso il proprio blog. Esattamente con questo potentissimo mezzo di comunicazione vi informo oggi di un’altra grande notizia: ho trovato una manichetta per l’acqua per le locomotive molto più interessante di quella vista a Breno. Si trova a Casalmaggiore (in provincia di Cremona). Eccola:

Anzi, ce n’erano ben due, entrambe conservate benissimo. Avevano entrambe i lampioni e, in un caso, pure l’accesso al pozzo di servizio.

Pure la catena con il cui aiuto si girava la canna è al suo posto.
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La rabbia degli ignoranti

OK, Charlie Hebdo ha pubblicato una vignetta sul terremoto italiano e tanti italiani si sono incazzati. Sapete cosa dimostra questa combinazione di fenomeni? Dimostra che gli italiani arrabbiati hanno visto solo due di tante vignette di Charlie Hebdo: quella sull’Islam e quella sul terremoto italiano. Tutte le altre no.

Ma Charlie Hebdo reagisce in questo modo a tutti gli avvenimenti rilevanti nel mondo. Avreste dovuto saperlo. E pur sapendolo, avreste dovuto dire «Je suis Charlie» nel gennaio 2015. Perché il senso di quello flash mob non consisteva nel difendere una testata del cazzo (per scoprire che è sempre stata del cazzo, leggete almeno il mio post dell’8 gennaio 2015). Il senso del flash mob era quello di difendere il diritto di ognuno a manifestare la propria intelligenza o stupidità, il buono o cattivo gusto. Uno scemo non deve essere punito con un atto terroristico. Uno scemo deve essere punito con le vendite basse, rifiuto di eventuali contratti pubblicitari. Può e forse deve essere deriso. Ma non sparato da un terrorista.

Avevate fatto benissimo a scrivere #jesuischarlie. Ora fareste bene a non curarvi del Charlie, ma guardare e passare.

Concludo il post con la vignetta sull’aereo russo esploso il 31 ottobre 2015 in Egitto (224 persone morte, cioè tutti i presenti sull’aereo).


Murder in London

La copertina de «The Week» del 30 gennaio 2016. Bella, direi.

(Per coloro che avessero saltato la pubblicazione del rapporto sulla morte di Litvinenko, ecco il link).