L’archivio del tag «soldi»

Contiamo i soldi altrui

Signora e signore, sono una famiglia povere, senza lavoro, senza la casa…

Ah, no, non si dice più così sulla metropolitana. Ora si dice «sono un piccolo imprenditore edile che ha perso tutto»…

E ora passiamo a un argomento serio. Penso che il 99,999% dei miei lettori conosca la Wikipedia e la consulti abbastanza frequentemente. Posso quindi evitare l’introduzione inutile e dire che gli amministratori della famosa enciclopedia sono dei pervertiti.

Vi sarete accorti anche voi che in questi giorni quei strani soggetti hanno deciso, per l’ennesima volta, di chiederci l’elemosina attraverso un banner gigantesco. Eccolo:

Secondo i dati diffusi dalla stessa Wikipedia, però, nell’agosto del 2016 l’intero progetto è stato visitato 15,69 miliardi di volte. Non è un record «personale», è solo il dato più recente tra quelli disponibili.

E ora proviamo a eseguire una semplice operazione aritmetica: proviamo a convertire le visite in soldi. Immaginiamo la soluzione pubblicitaria più semplice: Google Adsense. Essendo vincolato dai termini contrattuali, non posso dirvi quanto rende la pubblicità di Google sul mio sito. Però posso sintetizzare che per guadagnare 1 euro ci vogliono circa mille visite (perché, purtroppo, non tutti cliccano sui banner). Dividiamo 15,69 miliardi per 1000 e otteniamo la somma di 15.690.000 euro.

Nell’agosto del 2016 la Wikipedia avrebbe potuto guadagnare 15.690.000 euro con un semplicissimo banner!

Con un fottutissimo banner avrebbe potuto guadagnare più di 15 milioni di euro.

Insomma, la Wikipedia avrebbe potuto essere uno dei siti più redditizi del mondo, raccogliendo i fondi non solo per la copertura dei costi correnti, ma pure per lo sviluppo dei nuovi progetti. Per qualche strano motivo, però, gli amministratori della Wikipedia preferiscono a chiedere l’elemosina.

Non so sia un trucco per evitare le tasse e, allo stesso tempo, riempire le tasche… Come diceva un noto politico italiano, «a pensare male si fa peccato, ma molto spesso ci si azzecca».


Brexiti chi può

Guardate bambini, questa signora danese si chiama Margrethe Vestager e nella vita fa la grande burocrate commissaria europea per la concorrenza. Oggi si parlerà del suo fantastico operato volto all’impoverimento dell’Europa.

Il 30 agosto sul sito della Commissione europea è stato pubblicato un dettagliato comunicato stampa sulla decisione della Commissione stessa circa le relazioni tra il fisco irlandese e due controllate della Apple (Apple Sales International e Apple Operations Europe). In un altro documento, pubblicato sempre il 30 agosto, troviamo i commenti della euro-commissaria Vestager.

Si tratta di una curiosa decisione in stile socialista. In sostanza, la Commissione ha osservato una usanza instaurata più di 25 anni fa e in conformità con la legge, l’ha definita illegale post-factum, e ha infine «ordinato» alla Apple di restituire allo Sato irlandese 13 miliardi di euro più gli interessi.

Perché è successo ciò? E’ successo perché nel 2013 gli eurocrati hanno inventato dei principi della tassazione «giusta» e nel 2014 hanno ingaggiato la danese di sinistra Margrethe Vestager per lo svolgimento delle indagini sui regimi fiscali degli Stati come Belgio, Irlanda, Lussemburgo o Paesi Bassi. Le indagini e le conseguenti decisioni della Commissione si basano sul presupposto che ogni regime favorevole alle grandi imprese (come Amazon, Apple etc) violino il concetto della «tassazione equa». In tale ottica non viene fatta alcuna distinzione tra una impresa che apre in Europa una sede fittizia e una impresa che assume personale locale e investe nelle infrastrutture e nella istruzione.

La differenza tra i due tipi di aziende è però ben chiara a quegli Stati europei che cercano ancora di attirare gli investitori di un certo livello. Più di 25 anni fa tale differenza è stata compresa in Irlanda e gli effetti si vedono. Andiamo a vedere i dati ufficiali.

Nel 1991 (l’anno in cui è stata adottata la prima versione del regime fiscale favorevole alla Apple) l’Irlanda era uno Stato con la popolazione poverissima. Infatti, il PIL pro capite era di 14.073 USD (nel 1985 era di 6005 USD).

Nel 2013, cioè 22 anni dopo l’introduzione della pressione quasi nulla per la Apple, il PIL pro capite irlandese era di 50.503 USD.

Come potete facilmente immaginare, non la sola Apple beneficia in Irlanda di un trattamento fiscale favorevole. Il trattamento fiscale in questione è uno dei fattori fondamentali del famoso «boom innovativo» irlandese, del quale vi è sicuramente capitato di leggere negli ultimi anni. per la Commissione europea, però, la ricchezza della popolazione, l’innovazione tecnologica, la ricerca scientifica e tecnologica, l’istruzione e la crescita economica sono nulla nei confronti della riscossione delle tasse alte. Gli Stati-membri dell’UE vengono quindi invitati a far pagare le tesse ugualmente alte a tutti, facendo dunque fuggire gli investitori e tornando alla povertà. Con le tasse raccolte, intanto, prima delle ennesime elezioni si potrà fare qualche regalino ai cittadini rimasti senza lavoro.

Pensate che il modo sia talmente globalizzato che i grandi investitori non abbiano più delle destinazioni verso le quali migrare in cerca delle tasse meno alte? Triplo ahahaha! Ricordatevi che anche Stati sono in concorrenza.

Penso che in questi giorni il Governo irlandese stia (ri)facendo delle serie riflessioni sulla esperienza del Brexit. E non condannerei la loro eventuale decisione di rimanere fuori dall’UE.


Non sottovalutate i poliziotti

Come avrete già letto o sentito, domenica all’aeroporto a Minsk i Red Hot Chili Peppers sono stati «scambiati» per i Metallica dai poliziotti bielorussi. Questi ultimi hanno portato il gruppo nel proprio ufficio dove hanno chiesto di firmare dei cd, foto e poster dei Metallica.

La mia spiegazione è semplice come 0 + 0. I poliziotti bielorussi, come quasi tutti i loro colleghi dell’ex-URSS sono degli ottimi imprenditori. Sanno che la foto di un personaggio famoso firmata da un personaggio famoso vale più della carta sulla quale è stampata. Se i personaggi raffigurati e firmatari sono diversi, si potrebbe tentare di fare la somma dei valori.

Ah, in ogni caso l’attitudine alla imprenditorialità non corrisponde necessariamente a un alto livello intellettuale del soggetto.


Il futuro dei taxisti

Come probabilmente avete già letto o sentito ieri, il tribunale di primo grado parigino ha multato la filiale francese di Uber per il lancio dell’app UberPOP (vietata in Francia già da luglio 2015). L’app permette agli automobilisti privati di svolgere l’attività di trasporto di persone senza una licenza da tassista. Quindi l’Uber è stata multata con 800 mila euro, mentre due suoi dirigenti con 30 e 20 mila euro. E’ già stato annunciato il ricorso.

Ricordiamoci che in Francia, ancor più che in Italia, la lotta della lobby dei taxisti conntro il progresso assume varie forme: proteste di strada più o meno violente, legislazione pro-monopolio etc. La causa principale di tale comportamento è evidentemente i prezzi delle licenze che superano i 150 mila euro (in Italia possono arrivare a 200 mila euro). Questi soldi sono sempre stati considerati dai taxisti degli investimenti a lungo termine, da recuperare al termine/cambio della propria attività lavorativa. L’avanzare dell’Uber, a sua volta, comporta il deprezzamento di tale investimento (nessuno ti compra quel pezzo di carta se può lavorare liberamente con l’Uber) e l’azzeramento delle speranze per una vecchiaia tranquilla.

Di conseguenza, i tassisti francesi (ma pure quelli italiani), sono disposti a lottare contro la demonopolizzazione del proprio settore con tutti i mezzi disponibili.

Il loro problema sta nel fatto che inevitabilmente perderanno la lotta. Ciò succederà per due motivi. Il motivo minore è lo stesso della popolarità dell’Uber e altri servizi simili in Europa: i cittadini lo scelgono sono in tanti, in maggioranza rispetto ai taxisti. Il primo politico, nazionale o locale, che si accorgerà della ampiezza diseguale dei due gruppi, logicamente punterà a difendere gli interessi di quello più numeroso.

Il motivo principale della imminente sconfitta dei taxisti-monopolisti sta invece nell’avvicinarsi della epoca delle automobili senza i conducenti: considerati i recenti successi nella loro sperimentazione, possiamo vederle circolare per le vie delle città già tra pochi anni. Il peso dei taxisti tradizionali nel sistema del trasporto delle persone, a quel punto, sarà più o meno lo stesso dei gondolieri veneziani.

Non penso che qualche Stato arrivi al punto di vietare qualsiasi manifestazione del progresso tecnico o sociale al solo fine di tutelare i soldi dei taxisti. Oppure ne conoscete uno?


I Putin nei Panama Paprs

Riprendendo, in parte, il post di ieri, ribadisco un concetto che deve essere chiaro a tutti: il nome di Vladimir Putin mai comparirà sui documenti di Panama Papers o altri casi simili. Infatti, sono passati i tempi in cui i politici ricevevano le valigie piene di banconote nei parcheggi deserti per portarle poi di notte in qualche banca svizzera. Ora «consigliano», per esempio, di fare un regalo a qualche persona determinata o investire in qualche determinato progetto.

Sui documenti di Panama Papers resi pubblici al giorno d’oggi si trovano però quattro cartelle corrispondenti al cognome Putin:

Non sono sicuro che Alexandr (o Alexander) sia uno dei tre zii di Vladimir. Ma posso supporre che Igor (si tratta di una sola persona) sia Igor Alexandrovich Putin, uno dei cugini di Vladimir.

Igor, nato il 30 marzo 1953, per 24 anni fece il militare. Nei primi anni 2000 si trasferì nella pubblica amministrazione e dal 2010 al 2013 fu membro del consiglio direttivo della banca russa Master-bank (licenza ritirata il 20 novembre 2013). Non so di preciso cosa faccia ora.

P.S.: penso che l’uso di alcuni tempi verbali sia del tutto comprensibile dai miei fantastici lettori.


Gli Stati uniti dal Panama

Confesso il mio interesse verso la storia dei soldi di Putin e altri a Panama tende, per ora, verso lo zero. L’utilizzo dei «paradisi fiscali» non viola le leggi terrestri o divine ma, semplicemente, infastidisce gli Stati tanto tirchi da essere incapaci di offrire alle persone un regime fiscale che perlomeno non sappia di espropriazione. E per comprendere l’origine dalle ricchezze di certi politici, invece, mi serve tempo (anche se si sapeva da tempo, per esempio, che Putin non è una persona povera).

Quindi scriverò seriamente dell’argomento solo qualora dovessi scoprire qualcosa oltre l’originalissimo fatto che «tutti i politici sono dei ladri».


Ritirandosi non si risparmia

Relativamente al ritiro delle truppe russe dalla Siria in tanti hanno pensato, logicamente, alle positive conseguenze di tale mossa per lo Stato russo. In assenza di dati ufficiali, è calcolato dagli esperti del settore militare che un giorno di guerra in Siria costa alla Russia circa 2,5 milioni di dollari.

Mi sento però in dovere di dare una grande delusione a chi ci tiene tanto ai soldi dei contribuenti russi. Le missioni militari all’estero come quella in questione hanno una incidenza minima sulle spese dello Stato. Le principali quote di risorse destinate al Ministero della Difesa, infatti, in tempo di pace vengono spese per la produzione del nuovo materiale bellico e le esercitazioni dei militari.

La produzione di un aereo militare (giusto per fare un esempio) dura alcuni anni. Una volta prodotto, l’aereo militare inizia a invecchiare con la velocità del pensiero di un ingegnere aerospaziale, quindi diventa presto obsoleto: va modernizzato o sostituito con uno più vicino alle tendenze generali del settore. Lo stesso vale per le bombe portate dall’aereo in questione. I piloti, poi, devono fare continue esercitazioni: pure questo comporta una serie di spese.

Insomma, la maggior parte delle risorse materiali impegnate nella missione siriana è stata in realtà spesa nei decenni precedenti. L’unica vera spesa aggiuntiva è rappresentata dagli stipendi dei militari. Questi ultimi non fanno più le esercitazioni, ma combattono, prendendo circa 200 mila rubli al mese (poco più di 2500 euro) per la missione all’estero. Considerate, però, che il budget militare della Russia per il 2015 è stato di 3 trilioni e 300 miliardi di rubli.

Direi che le motivazioni economiche del ritiro non meritino tanta attenzione.


Compro oro

Negli ultimi anni in Italia hanno aperto tantissimi negozi specializzati nell’acquisto dell’oro usato. All’inizio pensavo che si trattasse di una normale reazione alla crisi, ma la quantità degli esercizi continua a crescere nonostante il fatto che i più bisognosi avrebbero già dovuto vendere tutto. Non mi è tanto chiaro, poi, cosa facciano di tutta la merce acquistata e, di conseguenza, come riescano a campare avanti. Magari in alcuni casi sono quei negozi che servono solo per legalizzare i contanti…

Vabbè, non è di questo che volevo scrivere. Volevo avvisare i miei lettori di due cose. Prima di tutto vi ricordo che l’alto prezzo di mercato dell’oro non è più una certezza: sta lentamente scendendo da anni.

In secondo luogo, ricordatevi che non sono i negozi del genere ad essere sempre i posti migliori per vendere o valutare i vostri oggetti preziosi. Per conoscere e/o ottenere il valore reale, rivolgetevi a qualche gioielliere di conoscenza/fiducia.


Euro del…

Anni fa avevo già scritto un post sull’argomento. Oggi lo rifaccio perché vedo che tante persone non hanno mai avuto la curiosità di guardare attentamente quei importantissimi oggetti che maneggiano quasi tutti giorni. Ebbene, oggi facciamo uno piccolo studio sulla storia del rovescio delle euro-monete.

Come ben sapete, sul rovescio (cioè il lato uguale per tutti gli Stati) di tutte le monete dell’euro è raffigurata la mappa dell’Unione Europea. Non tutti sanno, però, che nel 2007 la mappa in questione è cambiata indipendentemente dall’allargamento della Unione. Attualmente le monete da 1 euro hanno questo aspetto:

Prima del 2007 sulla mappa delle monete mancava, giustamente, la Norvegia: essa non fa parte dell’Unione Europea. A causa di questo formalismo il rovescio delle monete europee aveva però un aspetto osceno. La Svezia lasciata in solitudine, infatti, sembrava un pene pendente:

Le Istituzioni europee, una volta scoperto l’inconveniente, avevano provveduto a correggere le monete aggiungendo la Norvegia sulla mappa. Si erano purtroppo dimenticati di pubblicizzare la propria buona azione.

«Prima e dopo»:


La Crimea sui rubli

Oggi, il 23 dicembre 2015, la Banca Centrale russa ha ufficialmente emesso la banconota da 100 rubli dedicata alla Crimea.

Il lato dedicato alla città di Sebastopoli (è raffigurato il monumento alle navi affondate, situato proprio in quella città):

Il lato dedicato alla Crimea in generale (è raffigurato il castello decorativo «Il nido della rondine»):

Dovrei scrivere, prima o poi, un testo serio sul fatto che l’annessione della Crimea è stata una azione giusta fatta nel peggior modo possibile. Lo prometto.