Penso che la canzone «Highway Star» sia ben nota anche alle persone che non sono mai state dei grandi fan dei Deep Purple. Come tanti altri grandi classici musicali, la canzone è nata per caso: a settembre del 1971, mentre i Deep Purple stavano andando a Portsmouth in autobus durante il loro tour in Gran Bretagna, qualcuno dei giornalisti presenti a bordo aveva chiesto a Ritchie Blackmore come facesse il gruppo a scrivere le canzoni. A quel punto Blackmore aveva preso una chitarra acustica (secondo altri fonti un banjo) e iniziato a suonare un riff della nota Sol a ripetizione. Ian Gillan, da parte sua, aveva iniziato a improvvisare un testo, composto anche dalle frasi prive di alcun senso particolare (tipo «… Steve McQueen, Mickey Mouse and Brigitte thingy»). A dicembre dello stesso anno, durante le registrazioni in studio, il gruppo aveva dunque perfezionato il testo e la musica della canzone. Nello stesso periodo il basista Roger Glover aveva inventato il titolo della canzone.
La versione nota a tutti fa dunque parte dell’album «Machine Head» del 1972:
Come tutte le canzoni ben riuscite, anche la «Highway Star» è stata successivamente cantata da diversi altri gruppi musicali. Oggi vi propongo due di quelle cover. La prima è del gruppo Metal Church (inserita anche nell’omonimo album d’esordio del 1984):
La seconda cover, secondo me molto più interessante dal punto di vista musicale, è del gruppo italiano Quintorigo (contenuta nell’album «Grigio» del 2000):
Quest’ultimo è un bel esempio di utilizzo moderno degli strumenti classici, inspiegabilmente snobbato dalla maggioranza dei musicisti. Probabilmente, è anche una questione della capacità.
L’archivio del tag «rock»
Alla fine di settembre avevo postato due canzoni di Sting nella mia rubrica musicale. Prevalentemente per motivi di giustizia storica dovrei postare anche qualcosa dei Police, il gruppo di origine di Sting.
Il gruppo mi sembra molto meno interessante del cantante-solista, ma ha comunque prodotto qualche canzone ascoltabile.
In qualità della prima metterei la «Every Breath You Take» (dall’album «Synchronicity» del 1983):
E la seconda potrebbe essere la «Roxanne» (dall’album «Outlandos d’Amour» del 1978):
Qualche settimana fa ho fatto una scoperta in materia dei video musicali personalmente per me quasi scioccante. Ho scoperto che il video della canzone «My Favorite Game», il quale ricordavo dai tempi di adolescenza, inizia e finisce con le scene che in televisione sono sempre state inspiegabilmente tagliate. Ma quelle scene influiscono sensibilmente sul senso del video:
[in effetti, mi ero sempre chiesto come facesse ad andare avanti con la macchina anche allontanandosi dai comandi].
A questo punto, in qualità della seconda canzone dei Cardigans metterei la «Carnival» (scelta a caso) dall’album «Life» del 1995.
A volte i ricordi giovanili diventano, per qualche strano motivo, più importanti della musica.
Alla maggioranza delle persone, secondo le mie osservazioni, Sting è ben noto, ma solo grazie alle sue canzoni pubblicate tra la metà degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90. Uno degli esempi migliori è la «Englishman in New York» (dall’album «… Nothing Like a Sun» del 1987):
Nonostante i naturali mutamenti dovuti all’età (non solo quella di Sting), penso che a volte riesca ancora a produrre qualcosa di interessante. Tra le canzoni meno vecchie potrei scegliere, per esempio, la «I Love Her But She Loves Someone Else» (dall’album «The Last Ship» del 2013):
Come tanti altri gruppi inglesi degli anni ’60, anche The Animals all’inizio della loro carriera cedettero alla moda di cantare le note canzoni americane simulando per di più l’accento americano. Il risultato più noto di tale pratica (per il gruppo in questione) è stata la canzone «The House of the Rising Sun» (inclusa anche nella versione statunitense dell’album «The Animals» del 1964):
Secondo me, però, non meno interessante è la loro interpretazione della «I’m Crying» (versione del 1964):
A volte le preferenze delle grandi masse sono poco comprensibili (ma questo non significa che la prima delle due canzoni faccia schifo).
Esistono i cantanti che sanno cantare (relativamente pochi).
Esistono i cantanti che non sanno cantare ma si ostinano nel tentare di farlo (tantissimi, direi la maggioranza schiacciante).
Esistono i cantanti che non sanno cantare, lo sanno e quindi per non fare una brutta figura semplicemente parlano, cercando di seguire il ritmo della musica (numerosi, ma non tantissimi).
Tra i rappresentanti della terza categoria dei cantanti a volte capitano degli esempi interessanti, meritevoli di attenzione. Il post musicale di oggi è dedicato a uno di loro: Mark Knopfler.
La sua prima canzone selezionata per oggi è la «Silvertown blues» (dall’album «Sailing to Philadelphia» del 2000):
Mentre la seconda è la «What It Is» (dallo stesso album):
Il post musicale di oggi si apre con una lezione di Joanna Connor su come far divertire i propri vicini di casa senza farli diventare dei nemici mortali (solo la gente con scarsa fantasia si ripete ogni anno con le solite grigliate).
In qualità del secondo video metterei un breve pezzo della sua esibizione al Western MD Blues Festival.
Mi ricordo che anni fa, quando avevo visto per la prima volta Joanna Connor in un video (e non conoscendola ancora), non riuscivo proprio a concentrarmi sulla musica. Ma poi mi sono abituato.
All’inizio di settembre avevamo già incontrato Chris Isaak nella mia rubrica musicale. Oggi propongo di approfondire la ricerca del perché del suo soprannome «Elvis dei giorni nostri» (datogli negli anni ’80 del XX secolo). A tal fine ascoltiamo due sue canzoni.
La prima è la «You Owe Me Some Kind of Love» (dall’album «Chris Isaak» del 1986):
E la seconda è la «Baby Did A Bad Bad Thing» (dall’album «Forever Blue» del 1995):
Sarà giustificato il soprannome?
Devo raccontarvi chi era Elvis Presley? Non penso.
Dato che quattro giorni fa, l’8 gennaio, avrebbe compiuto 84 anni, lo ricorderei nella mia rubrica musicale con due brani – entrambi dall’album «His Hand In Mine» del 1960. Nonostante fosse morto oltre quarant’anni fa, penso che molte sue canzoni siano ancora ascoltabili.
La prima canzone è «His Hand In Mine».
E la seconda è «I’m Gonna Walk Dem Golden Stairs».
Un mese e mezzo fa avevo postato due canzoni di Alan Parsons’ Project. E subito avevo pensato di dover postare, un giorno, anche qualcosa di Alan Parsons stesso. Sarebbe logico, vero? Ebbene, il momento è giunto.
In realtà la differenza principale tra Alan Parsons’ Project e Alan Parsons è la libertà di Parsons di registrare cosa e come egli voleva (senza concordare il tutto con il collega dell’APP Eric Woolfson). Mentre per il resto il modo di lavorare è rimasto lo stesso.
Beh, la libertà è una prova che ognuno supera come può.
La prima delle canzoni di Alan Parsons scelte è la «Back Against the Wall» (dall’album «Try Anything Once» del 1993):
Mentre la seconda è la «Wine from the Water» (sempre dall’album «Try Anything Once» del 1993):