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Il patriarca rischia!

L’insediamento di ieri del nuovo presidente russo (non ho ancora imparato bene il suo nome) è un argomento per nulla interessante. Si è trattato solo dell’ennesimo rituale religioso-magico, avremmo anche potuto ignorarlo completamente. Non si è visto (e non poteva essere visto) alcunché di nuovo, inaspettato o influente sulla nostra vita in quella sceneggiata…
Solo un piccolo episodio, in un certo senso curioso, mi ha rallegrato un po’: il patriarca Kirill ha augurato a Putin di rimanere al potere fino alla fine della sua vita. Lo ha detto durante un servizio di preghiera in occasione dell’insediamento di Putin nella Cattedrale dell’Annunciazione del Cremlino:

La benedizione di Dio, la copertura della Regina dei Cieli possa rimanere con voi tutti i giorni della vostra vita, fino alla fine dei tempi, come diciamo noi. E con audacia dirò: Dio conceda che la fine della sua vita significhi la fine della vostra permanenza al potere. Voi avete tutte le carte in regola per svolgere questo grande servizio alla Madrepatria per un periodo di tempo lungo e di successo.

Se non Kirill, ma qualche altro sacerdote (a differenza di Kirill, rispettato dalle persone normali) avesse detto esattamente la stessa cosa, lo avrebbero incarcerato immediatamente. Perché è impossibile dire, in relazione a Putin, qualcosa del tipo «preghiamo che tu muoia e faccia dunque in modo che l’incarico finalmente si liberi»!
E ora i sacerdoti e i laici hanno un modo relativamente (purtroppo, molto relativamente) sicuro per esprimere il loro atteggiamento nei confronti di Putin: semplicemente citare la suddetta frase di Kirill.


Un problema dimenticato

Ieri, parlando dell’attentato al Krokus Hall City del 22 marzo, Putin ha detto che «la Russia non può essere l’obiettivo degli attacchi terroristici dei fondamentalisti islamici» perché secondo le sue «fonti» i terroristi avrebbero avuto l’obiettivo di «danneggiare l’unità nazionale russa» (di uno enorme Stato multinazionale? Boh…).
Insomma, fa di tutto per non ammettere di essere stato avvisato dell’attentato con settimane di anticipo dagli americani. Allo stesso tempo, io sono sorpreso dal fatto che nel corso delle due settimane passate dal giorno dell’attentato non abbia accusato l’Ucraina con quella intensità che tanti si aspettavano. Nei primi giorni tale fenomeno poteva anche essere spiegato con un alto grado di disorientamento mentale del personaggio. Mentre nel periodo successivo avrebbe anche potuto inventare dei cosiddetti «risultati delle indagini»: ma non abbiamo visto nulla di particolare.
Altrettanto interessante, però, è il fatto che tutti gli altri solo grazie a quell’attentato si sono accorti di avere una visione molto limitata del mondo. Negli ultimi due anni ci siamo abituati ad avere al centro della nostra attenzione le guerre in Ucraina e in Israele, ma ci siamo dimenticati che per i terroristi dell’ISIS rimaniamo (noi, tutti gli occidentali) degli infedeli che, per esempio, non hanno mai lasciato la Siria agli islamisti. E, di conseguenza, che «andiamo puniti». Putin, poi, per una varietà di motivi era realmente convinto di essere l’ultimo a rischiare: per esempio, perché da anni cerca di fare l’amicizia con i vari gruppi estremisti in giro per il mondo.
Ma se ignoriamo il (o ci dimentichiamo del) problema, esso non sparisce.


Altri sei anni

La settimana scorsa avevo per la mente un altro argomento per il video domenicale, dunque recupero oggi ciò che avrei potuto fare sette giorni fa.
Il designer russo Egor Zhgun (in Russia è abbastanza noto da anni per alcune sue opere grafiche animate e non) ha pubblicato, nell’occasione della recente «rielezione» di Putin all’ennesimo mandato presidenziale, la terza puntata del proprio cartone animato che riassume gli ultimi anni, appunto, della presidenza di Putin. Come le precedenti due, anche questa puntata contiene tantissimi dettagli: suppongo che la maggioranza di essi dovrebbe esservi facilmente comprensibile.

Se non capite qualcosa, chiedete pure.
Io, intanto, aggiungo i due video precedenti. Continuare la lettura di questo post »


La lettera dei 39 premi Nobel

L’altro ieri il «T-invariant» (un media degli scienziati russi che vivono all’estero) ha pubblicato una lettera aperta contro il regime di Putin, firmata da 39 premi Nobel (e da centinaia di altre persone). I firmatari – tra cui scienziati, economisti e scrittori – hanno chiesto ai leader mondiali di aumentare il sostegno alla Ucraina nella sua lotta all’invasione russa, di proteggere i prigionieri politici in Russia e di non riconoscere Putin come presidente russo legittimamente eletto. Ma leggete la lettera stessa: è inutile tentare di riassumerla.
Io, intanto, posso dire quanto segue.
I primi due dei punti che ho elencato sono dei motivi abbastanza validi per unire le brave persone sotto un’unica «bandiera» (in pratica, tali appelli non risolvono e non possono risolvere nulla). A causa di una sola lettera firmata da celebrità, i leader mondiali, ovviamente, non si sveglieranno e non diranno «è vero, perché non ci abbiamo pensato prima?!», mentre i firmatari sentiranno che almeno non sono rimasti muti di fronte a quello che succede, ma hanno tentato di indirizzare l’opinione pubblica in una giusta direzione.
Purtroppo, il terzo punto della lettera è molto controverso, anche se pure altre brave persone (realmente brave) ne parlano da settimane. Purtroppo, nella realtà odierna Putin è ancora il principale funzionario della Russia. Di conseguenza, se qualcuno dei leader mondiali un giorno volesse o dovesse discutere del rilascio degli ostaggi occidentali, dello scambio di prigionieri di guerra o di prigionieri politici russi, o, a un certo punto, anche della fine della guerra in Ucraina, dovrà farlo proprio con Putin dall’altra parte del tavolo (finché egli sarà vivo e in grado di parlare). E come si può discutere di tutto questo con un presidente che voi stessi non riconoscete?
Insomma, i 39 premi Nobel si sono rivelati dei grandi idealisti. Anche se sono delle brave persone.


L’unico convinto

La Bloomberg scrive, citando «quattro fonti legate al Cremlino», che le persone della cerchia ristretta di Putin ritengono che non vi siano prove del coinvolgimento dell’Ucraina nell’attacco terroristico alla sala concerti Krokus City Hall del 22 marzo. Allo stesso tempo, si scrive che Putin sa di quella convinzione, ma «intende ancora usare la tragedia per cercare di convincere i russi a entrare in guerra con l’Ucraina».
Ecco, si vede subito che l’articolo della Bloomberg è stato scritto dalla gente troppo abituata alla vita tranquilla, razionale e prevedibile in Occidente. Perché il non essere convinto della ragionevolezza delle proprie parole pronunciate pubblicamente non è un motivo sufficiente per non seguirle: almeno per Putin. Allo stesso tempo, sappiamo che Putin era convinto anche di altre cose inesistenti nella vita reale: per esempio, della possibilità di sconfiggere velocemente, in pochi giorni, l’Ucraina «che altrimenti viene inglobata nella NATO con l’obbiettivo di aggredire la Russia». Molto probabilmente nemmeno questa sua convinzione era condivisa dalla sua cerchia, ma il fatto non gli ha impedito di iniziare la guerra.
E, soprattutto, rimane il principio: l’attacco terroristico sarà sfruttato per giustificare tanti altri comportamenti pericolosi da parte dello Stato russo.
P.S.: molto probabilmente la Bloomberg vuole anche farci pensare che stia crescendo il malcontento della cerchia stretta di Putin. ma in questo caso, purtroppo, si tratta solo di una voce che circola da un po’ di anni e non si traduce (purtroppo) in alcunché di concreto.


Lutto per cosa o per chi

Molto probabilmente avevate letto o sentito anche voi che ieri, il 24 marzo, in Russia c’era una giornata di lutto dichiarata da Putin: formalmente, in relazione all’atto terroristico al Krokus City Hall del venerdì 22 marzo. Erano pure state diffuse delle immagini in cui Putin accende una candela nella chiesa della propria residenza…

Non so voi, ma io non capisco per cosa o per chi Putin sia in lutto. Di certo non per le 132 persone morte nell’atto terroristico: è sempre stato assolutamente indifferente alle vite umane (le vite dei russi e dei cittadini di altri Stati). Da oltre due anni sta conducendo una guerra criminale e completamente inutile con l’Ucraina. In questa guerra la quantità degli uccisi da entrambe le parti si misura ormai in centinaia di migliaia. Ogni giorno le truppe di Putin uccidono decine e centinaia di ucraini: sia i militari e gli arruolati (sul fronte), sia i civili (uccisi dai missili, dalle bombe e dai droni di Putin nelle loro case). Ogni giorno l’esercito ucraino elimina fino a mille russi che Putin ha – personalmente – inviato in Ucraina per uccidere ed essere uccisi. Non ha mai dichiarato il lutto per nessuno di loro.
E allora per cosa è in lutto? Per il fatto di averci comunicato praticamente da solo che i suoi servizi di sicurezza sono incapaci di prevenire un attacco terroristico di enorme portata, quando terroristi ben armati sono entrati con calma in una enorme sala da concerto e hanno iniziato a sparare metodicamente alle persone? Per l’incapacità (dichiarata sempre dal suo sistema di potere) dei suoi servizi di sicurezza di reagire in tempo a un simile attacco terroristico (come sappiamo, per quasi un’ora e mezzo le forze dell’ordine, i vigili del fuoco e le ambulanze sono rimasti a guardare un edificio in cui non c’erano terroristi, ma dove c’era la gente che moriva per la perdita di sangue e il monossido di carbonio?
Non penso che Putin sia particolarmente interessato a tutto questo. Putin ha bisogno delle forze di sicurezza soprattutto per proteggere lui stesso e per uccidere i suoi avversari o «nemici».
Probabilmente Putin ha dichiarato il lutto per la propria incapacità di ricomporsi rapidamente in un momento difficile e di rivolgersi ai cittadini del Paese con le giuste parole? Ma noi sappiamo come si comporta solitamente nei momenti di difficoltà improvvisa. Prima di tutto, si nasconde. O si occupa di qualcosa di diverso, facendo finta che non sia successo nulla. Poi, quando finalmente esce dal suo bunker, inizia a sparare stronzate: per esempio, che a criticarlo sono delle «puttane ingaggiate per dieci dollari» (intendeva le mogli dei marinai morti sul sottomarino Kursk), che l’elezione dei governatori delle regioni deve essere annullata immediatamente per affrontare meglio la minaccia terroristica, che ha trovato un’impronta ucraina (di taglia quarantotto?) dei terroristi dell’ISIS etc.
Boh, non so per quale di quei motivi abbia realmente dichiarato il lutto…


L’entità delle falsificazioni

I risultati delle ultime «elezioni» presidenziali russe presentati ufficialmente dalla Commissione elettorale centrale (con l’87,28% dei «voti» per Putin) hanno portato il concetto di falsificazione a un nuovo livello. Esse – le falsificazioni – sono diventate così grandi perché si sono chiaramente trasformate dalla classica aggiunta fisica nelle urne delle schede elettorali compilate all’attribuzione di un gran numero di voti «virtuali» al candidato-vincitore. Perché è fisicamente impossibile gettare tanta carta nelle urne di tutto il Paese.
Come ho letto, è molto più difficile analizzare tali nuove falsificazioni: non ci sono quasi più i dati realistici (dai singoli seggi) sui voti effettivamente espressi, i quali potrebbero essere utilizzati come base per calcolare il livello di falsificazione.
Allo stesso tempo, questa analisi diventa meno «utile»: perché il fatto stesso della falsificazione dei risultati elettorali è ancora più evidente delle occasioni precedenti, senza alcuna analisi.
Ma per comprendere il processo di evoluzione della procedura chiamata «elezioni» in Russia, è comunque utile leggere dei tentativi di analisi di qualità. Ma non si tratta più di una lettura di politologica, ma di una lettura puramente storica. Dunque, vi consiglio un articolo dettagliato in cui sono raccolti tutti i tentativi di analisi matematica delle falsificazioni alle ultime «elezioni» di Putin (non solo sul metodo del noto Shpilkin, ma anche su altri approcci al problema). Anche un non-matematico come me può leggere facilmente questo articolo. E sicuramente ci riuscirà.


Tra colleghi

Alcuni media russi scrivono del messaggio di congratulazioni inviato da Ismail Haniyeh, il leader dell’ala politica di Hamas, a Putin per la vittoria di quest’ultimo alle «elezioni» presidenziali della settimana scorsa. In base al suddetto messaggio, Hamas conterebbe di «rafforzare i legami di amicizia e sviluppare la cooperazione» con la Russia e augura a Putin di «lavorare con successo nell’interesse del popolo russo».
La notizia viene riportata con il riferimento al comunicato pubblicato dalla agenzia statale russa «RIA Novosti» (dunque esperta nella produzione di fake news di vario genere), ma non direttamente al messaggio di congratulazioni stesso nel canale Telegram di Hamas. Io non sono stato in grado di verificare l’effettiva esistenza del messaggio di congratulazioni nel canale bloccato da tempo, e non ho ancora trovato alcun link alternativo. Ma anche supponendo che tutto ciò che viene detto nella notizia sia vero, quella notizia è bellissima. Ero abituato a leggere le cose del genere solo nelle barzellette e testi satirici, ma ora vedo che qualche giornalista-oppositore si è infiltrato in un media statale russo e ha scritto delle congratulazioni fatte da un terrorista all’altro…
Quindi, anche se dovesse trattarsi di una notizia inventata, doveva essere pubblicata comunque.


Il “grande” 87,3%

Secondo i risultati ufficiali delle «elezioni» presidenziali russe, a Putin sono stati attribuiti i 87,28% dei voti espressi, l’affluenza sarebbe stata del 77,4%. Si tratta di un record per la Russia contemporanea: sia in termini di numero di «voti» per il vincitore che di affluenza totale. Inoltre, a Putin sono stati assegnati più voti di quanti ne siano mai stati assegnati a Alexander Lukashenko: Putin si è avvicinato ai record degli autocrati dell’Asia centrale, che di solito ottengono più del 90% dei voti.
C’è qualcosa di significativo in questo risultato «elettorale»? No, assolutamente no. È solo una piccola curiosità storica. I collaboratori di Putin avevano la possibilità di farlo contento con qualsiasi percentuale inventata dal nulla, e lo hanno fatto. Putin è contento, come può essere contento, per esempio, un maratoneta che per la semplice voglia di sentirsi un vincitore di qualcosa si sceglie da solo i concorrenti e i giudici (a meno che non sia tanto pazzo da convincersi che pure quella sia una gara vera).
Noi, invece, abbiamo scoperto solo una cosa: c’è ancora una quantità sufficiente di funzionari statali disposti a falsificare le elezioni a favore di Putin, quindi definibili fedeli a Putin. [Per «falsificare» in questo caso intendo «scrivere i numeri dei risultati senza nemmeno contare le schede».] Allo stesso tempo, non dobbiamo pensare che quei funzionari siano totalmente pazzi: capiscono la i risultati delle «elezioni» da loro inventati non rispecchiano la popolarità di Putin, dunque non dimostrano la sua forza e/o la disponibilità del popolo di difendere il proprio presidente.
Non ci sono altre deduzioni politologiche sensate che si possono trarre da queste elezioni. Anche se i vari commentatori professionali, dovendo in qualche modo giustificare i propri stipendi, nei prossimi giorni produrranno tanti testi e discorsi che, in sostanza, parleranno del nulla…
Io, invece, dovrei commentare anche l’alta affluenza. Ma questo è un argomento diverso da quello appena trattato. Ne scriverò domani (penso) perché non mi piace mischiare insieme troppe cose.


Il colore del voto di protesta

Ieri pomeriggio ho avuto l’ennesima conferma del fatto che spesso do per scontate delle cose che non lo sono per una parte più o meno ampia dei miei lettori. Per esempio: nel video dedicato alle manifestazioni di protesta nei seggi elettorali russi che ho postato ieri si vede una ragazza che versa del liquido verde nell’urna elettorale (non è stata l’unica a farlo, in giro per la Russia si sono verificati alcuni altri episodi dello stesso tipo). Nel pomeriggio di ieri ho capito che tale gesto va spiegato ai miei lettori italiani. Più precisamente, spiego 1) che liquido era e 2) perché è stato scelto proprio quel liquido.

1) Quel liquido è la soluzione acquosa o alcolica dallo 0,05% al 2% di verde diamante ed è utilizzato sul territorio dell’URSS, già da oltre un secolo, come medicinale antisettico (il suo nome popolare è «zelionka»). È indicato per la disinfezione di cicatrici fresche post-operatorie e post-traumatiche, abrasioni e tagli. È uno degli antisettici più attivi e ad azione rapida. In Italia non mi è mai capitato di vedere questo farmaco: non so se qualcuno degli italiani lo conosca, non so nemmeno come tradurre in italiano il suo nome ufficiale…

2) Quel liquido è stato scelto per esprimere il proprio dissenso alla quinta «elezione» di Putin alla Presidenza della Russia assolutamente non a caso. Infatti, nel lontano 2017 il personaggio, ucciso un mese fa, che avrebbe dovuto essere il vero candidato-concorrente al «vincitore» delle «elezioni-2024» era stato aggredito in un modo abbastanza innocente secondo i criteri dei giorni nostri: gli era stata gettata in faccia una grande quantità di quel liquido disinfettante di colore verde. All’epoca tale aggressione aveva provocato solo una piccola lesione a un occhio… Ma oggi quella aggressione viene ricordata al mandante di tutte le aggressioni e, infine, della morte.

Al posto del colore verde avrebbe potuto essere il colore rosso (di un altro liquido che Putin ha sulle mani), ma nel contesto specifico delle elezioni che si svolgono poco dopo la morte del suo oppositore principale il colore verde ha il significato altrettanto forte e chiaro. Almeno per i russi che capiscono il contesto.
Ora, spero, lo capite anche voi.