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Che bel film

Il mercoledì 12 marzo Putin si sarebbe recato – evidentemente per dimostrare che il ritiro delle truppe ucraine dalle zone ovest è il merito del suo genio militare – nella regione Kursk. La regione è talmente contenta del suo arrivo che gli alberi sono già coperti da foglie verdi, mente all’interno dell’edificio funziona l’aria condizionata. Con il capo di Stato Maggiore delle Forze Armate della Federazione Russa si scambiano tanti discorsi da contenuto quasi nullo, ma aiutandosi da mappe cartacee. Insomma, si tratta di un film molto interessante…

Ma la cosa più interessante è che Putin è vestito da guardia giurata di un supermercato (si trova a 1470 rubli, circa 14,70 euro):

Sì, nella produzione di questo film si sono impegnati proprio tutti.


Accusare gli altri

Putin ha dichiarato di essere d’accordo con la proposta della tregua per 30 giorni, ma che questa dovrebbe portare a una «pace a lungo termine». Ha dichiarato, ma si è anche interrogato:

Cosa faremo con l’area controllata dall’esercito ucraino nella regione di Kursk? Se interrompiamo le ostilità per 30 giorni, cosa significa? Che tutti [i militari dell’esercito ucraino] che sono lì se ne andranno senza combattere? Dovremmo lasciarli uscire da lì dopo che hanno commesso una marea di crimini contro i civili? O la leadership ucraina darà loro l’ordine di deporre le armi, di arrendersi? Come avverrà? Non è chiaro.
E come verranno risolte le altre questioni lungo tutta la linea di contatto? Si tratta di quasi duemila chilometri. E lì le truppe russe stanno avanzando in quasi tutti i settori. […] Come verranno utilizzati questi 30 giorni? Per continuare la mobilitazione forzata in Ucraina? Per rifornirla di armi? Per addestrare le unità appena mobilitate? O non si farà nulla di tutto ciò?
Allora la domanda sorge spontanea: come verranno affrontate le questioni del controllo e della verifica? Come possiamo garantire che non accadrà nulla di simile? Chi darà l’ordine di fermare le ostilità? E qual è il prezzo di questi ordini? Quasi duemila chilometri [di linea di contatto]. Chi stabilirà chi e dove ha violato un eventuale accordo di cessate il fuoco?

In generale, Putin rispetta rigorosamente la tradizione di incolpare gli altri per ciò che fa (o sta per fare) lui stesso. Non è una grande novità.
Ma, stranamente, è stato proprio lui a portarmi all’idea che il graduale ritiro dell’esercito ucraino dalla regione di Kursk, a cui stiamo assistendo in questi giorni (e che era comunque destinato ad accadere prima o poi), può essere spiegato non solo dall’andamento dei combattimenti non particolarmente fortunato per l’esercito ucraino. Le ragioni degli insuccessi sono una grande questione professionale a parte, ma il fatto che il destino delle forze armate ucraine nella regione di Kursk potesse diventare una delle «condizioni» di Putin poteva essere previsto e in qualche modo scongiurato. Ed è forse quello che sta accadendo ora. Ma questa è solo una delle teorie che mi vengono in mente.


Rappresentanti delle agenzie di intelligence occidentali avrebbero dichiarato alla Bloomberg che Putin non ha intenzione di fare concessioni nei negoziati sulla risoluzione della guerra russo-ucraina, ha avanzato richieste deliberatamente «massimaliste» nel periodo precedente ai negoziati ed è «pronto a continuare a combattere se non otterrà ciò che vuole».
O Bloomberg ha inventato di nuovo una notizia clickbait (come di solito fa), oppure Putin ha finalmente formulato una nuova versione degli obiettivi della guerra militare speciale (che ora venderà a Trump).
Quali siano queste richieste-obiettivi non è in realtà importante. In primo luogo, cambieranno molte altre volte nel corso dell’opera. In secondo luogo, è facile immaginarne molti (il disarmo della Ucraina, l’alienazione dei territori inclusi nella «Costituzione» russa, la non adesione della Ucraina alla NATO, ecc.).
L’unica cosa interessante della non-notizia inventata dalla Bloomberg è che ci viene ricordato ancora una volta che, indipendentemente da ciò che Putin dice in pubblico circa il proprio desiderio di porre fine a questa guerra, in realtà per lui è indifferente se la guerra finisce o meno. Se finisce la guerra, risolverà alcuni dei propri problemi e ne creerà di nuovi, se non finisce la guerra, potrà continuare la guerra a lungo senza pensare a nuove soluzioni per i vecchi problemi. Se finirà la guerra, lui potrà ottenere un certo allentamento delle sanzioni e dell’isolamento internazionale, ma dovrà far pensare a qualcuno degli assassini che tornano dal fronte e del riorientamento del complesso militare-industriale. Se non finirà la guerra, lui sarà in grado di giustificare eventuali problemi con la guerra in corso, ma creerà il rischio che un numero critico di persone si annoi fortemente della guerra. Nessuna di queste opzioni è peggiore per Putin, quindi per lui è indifferente.


Le somiglianze di Trump e Putin

Uno degli articoli per me più sorprendenti degli ultimi giorni – sorprendenti perché si basa su un paragone al quale non ho mai pensato in precedenza – è quello sulla somiglianza tra Donald Trump di oggi con Vladimir Putin del suo periodo presidenziale ormai da considerare iniziale. Lo spiega Peter Baker, il corrispondente del New York Times dalla Casa Bianca, che ha lavorato a Mosca nei primi anni 2000. Tra le altre cose, parla anche del rapporto dei due Presidenti con la stampa, ma il suo commento è interessante da vari punti di vista.
È una intervista che, ovviamente, potrebbe aiutare a capire qualcosa anche degli avvenimenti dei giorni nostri.


Putin propone un affare

Dato che Vladimir Zelensky, per qualche «strano» motivo, non vuole firmare un accordo di cessione totale sui metalli delle terre rare con gli USA, Putin ha prodotto una proposta geniale: la Russia è pronta a collaborare sui metalli delle terre rare con partner stranieri. Questo è ciò che ha detto al giornalista televisivo russo [di quelli particolarmente graditi, ovviamente] Pavel Zarubin:

Siamo pronti ad attrarre partner stranieri nei cosiddetti nuovi territori, i nostri territori storici, che sono tornati alla Federazione Russa. Anche lì ci sono alcune riserve [di risorse di terre rare]. Siamo pronti a lavorare con i nostri partner, compresi quelli americani.

Tradotto nel linguaggio umano da quello putiniano: la Federazione Russa è pronta a collaborare per estrarre metalli di terre rare nei territori che ha bombardato per tre anni, densamente saturato di campi minati e di bombe e missili inesplosi, allagato, riempito di cadaveri umani e animali, etc.. È inutile ipotizzare se i Putin sappia tutto questo: sono certo che non lo sappia (i consiglieri non lo scrivono nei loro rapporti e i registi non lo raccontano nei film «eroici» di guerra). Ed è inutile chiedersi se Trump lo ringrazierà per essersi offerto di fare il lavoro sporco «sul campo».
Semplicemente, la «collaborazione» sulla pratica si rivelerà o una grande occasione di appropriarsi una notevole quantità dei fondi statali stanziati, o una scusa per portare via tutto quello che non è ancora stato portato via dai «nuovi territori» nel corso dei tre anni di guerra. O, molto probabilmente, entrambe le cose insieme.


Ha trovato una nuova scusa

Al Cremlino di Mosca la domenica 23 febbraio (la Festa del difensore della patria) Putin ha consegnato le onorificenze statali ai dipendenti del Ministero della Difesa e della Rosgvardia e, come ho scoperto ieri, durante la cerimonia ha detto: «È così che è stato il destino, è così che Dio ha voluto, se posso dirlo: a voi e a me è stata affidata una missione così difficile ma onorevole, la missione di proteggere la Russia».
Stava parlando della professione militare in generale o della guerra militare speciale? Beh, dato che ha citato sé stesso e le persone che hanno scelto la loro professione in modo indipendente dalle forze esterne, e lo ha fatto in un momento storico ben determinato, è chiaro che stava parlando proprio della guerra. La quale, secondo la nuova versione di Putin, è «voluta da Dio»: non ha ancora scaricato la responsabilità su un personaggio supremo, ma lo ha già chiamato come testimone. Perché? Non perché il personaggio folcloristico che ha in mente avrebbe delle qualità necessarie per volere una guerra, ma perché i sacerdoti dei quali si fida tanto (e con i quali, come raccontano, si consulta prima di ogni decisione importante) gli hanno detto che è possibile farlo.
Anche se ho un dubbio: avrà già fatto dichiarazioni del genere in passato? Non saprei perché cerco di ascoltarlo meno possibile.
Ma, in ogni caso, mi chiedo: cos’altro vuole quel personaggio immaginario? Di questi tempi mi preoccuperei…


Calcolo troppo complesso

Il Financial Times scrive che gli Stati Uniti si sono opposti a definire la Russia un aggressore in una dichiarazione congiunta del G7 da rilasciare in occasione del terzo anniversario della invasione su larga scala dell’Ucraina (a partire dal 2022, ogni 24 febbraio, il G7 rilascia una dichiarazione a sostegno della Ucraina; l’anno scorso l’aggressione russa è stata menzionata ben cinque volte).
Effettivamente, secondo quell’amico di Trump che conoscete, la Russia si stava solo «difendendo», realizzando il proprio sacro diritto di prendersi più territori ucraini possibile e facendo la beneficenza politica sotto forma della eliminazione della modernità nei territori adiacenti. Secondo Trump è un comportamento assolutamente normale, la distruzione e le vittime sono solo effetti collaterali: la Russia non è un aggressore.
Seriamente parlando, però, devo constatare: non si capisce bene perché Trump insista ora a fare i regali simbolici a Putin anche a nome degli altri. Un politico (o diplomatico) normale avrebbe anche potuto «fare contento» Putin per riuscire a portarlo almeno a una fase iniziale delle trattative e/o distrarre la sua attenzione (Putin, ancora più delle persone normali, non è portato a trattare quando si sente sotto pressione o aggredito), ma fino a oggi Trump non mi ha fatto l’impressione di una persona capace di fare i calcoli nemmeno di questo livello di «complessità». Se ne fosse stato capace, avrebbe anche dimostrato dei risultati migliori in qualità di imprenditore.
Ma, ovviamente, la speranza è l’ultima a morire. Cosa ci resta – oggi – oltre alla speranza?


I regali di Trump

Ieri pomeriggio il portavoce presidenziale russo Dmitry Peskov ha dichiarato: il Cremlino considera gli Stati Uniti il proprio principale «vis-a-vis» nei colloqui di pace con l’Ucraina. Questa è la migliore – per ora – illustrazione del fatto che Donald Trump non ha letto (o non lo ha capito) il proprio libro «L’arte dell’accordo».
Non so ancora in concreto di cosa abbia parlato con Putin nel corso della telefonata dell’altro ieri (non lo sapete nemmeno voi, nonostante tutte le voci), ma un concetto sembra essere chiaro: proponendo di trattare della pace in Ucraina direttamente con lui e non coinvolgendo l’Ucraina a condizioni di quest’ultima, ha fatto sentire Putin almeno come un partecipante alla pari, alla pari di Zelensky. Quindi Putin ha ricevuto questo regalo non in seguito a un lungo e doloroso scambio, ma immediatamente, gratuitamente. È stato dunque Trump a regalare una posizione forte al personaggio con il quale dovrà trattare per arrivare a un accordo. È un dato che possiamo presumere non dal contenuto della suddetta telefonata (che ci è, appunto, sconosciuta), ma dalle dichiarazioni pubbliche di entrambe le parti.
Un’altra cosa che non so ancora è come sarà trattato Putin nel corso del futuro incontro. Come l’aggressore e l’unica causa della guerra? O come una persona che deve risolvere un problema «capitato per caso» nelle vicinanze del suo Stato? Però vedo che, molto probabilmente, si sta per dargli un’altra grande soddisfazione: farlo tornare sulla scena internazionale dove fino a poco fa Zelensky era applaudito da tutti, mentre lui non era proprio voluto dalla gente normale. Da molti mesi Putin sta tentando di umiliare Zelensky dicendo che «non è più un presidente legittimo» (falso), che «si è imposto da solo il divieto di trattare con la Russia» (falso) etc. E ieri ha ricevuto un piccolo sostegno di Trump pure su questa strada.
Insomma, Trump si sta dimostrando un imprenditore un po’ di merda. Pare…


Finalmente!

Donald Trump e Putin hanno parlato al telefono per ben un’ora e mezza e, pare, hanno concordato di iniziare a concordarsi avviare colloqui di pace sull’Ucraina. Si può scherzare ancora una volta sul fatto che non sembra un modo di finire la guerra in 24 ore, ma ormai non sarà più divertente. Si potrebbe far notare che una simile dichiarazione sul contenuto di una lunga (per due Capi di Stato è lunga) conversazione non significa alcunché e non contiene alcun impegno concreto, ma questo è ovvio per tutti.
Quello che è più interessante è che, secondo il portavoce presidenziale Peskov, Putin avrebbe invitato – durante la conversazione – Trump a Mosca. E secondo Trump lui e Putin avrebbero concordato di visitare gli Stati l’un dell’altro. Questo è il momento in cui si possono iniziare a fare scommesse e prepararsi a fare soldi a palate (sia come scommettitori che come allibratori). Putin avrà il coraggio di andare negli USA? E se lo farà, non gli accadrà nulla durante il viaggio? E Trump avrà la follia e l’indipendenza dalle opinioni dei suoi consiglieri per andare in Russia?
Scommetterei un miliardo di euro sulla risposta negativa a ognuna delle domande. Ma gli allibratori non devono preoccuparsi per i loro capitali: io non interessato ai giochi d’azzardo, ahahaha…


Il luogo dell’incontro

La Reuters scrive che la Russia sta prendendo in considerazione l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti come sede di un possibile incontro tra Vladimir Putin e Donald Trump.
Da una parte, in teoria, sembra una scelta logica: nessuno di quei due Stati relativamente seri è membro della Corte penale internazionale che ha emesso il mandato di arresto per Putin.
Dall’altra parte, Donald Trump non sembra intenzionato a dare, finalmente, l’inizio a quelle 24 ore nel corso delle quali aveva promesso di finire la guerra in Ucraina: si limita a confermare – più o meno vagamente – l’intenzione di farlo quando viene posto di fronte a una ennesima domanda esplicita sull’argomento. Questo significa che non sappiamo se e quando il famoso incontro avverrà.
Da un’altra parte ancora, vediamo che per Trump lo show è molto più importante del contenuto e delle conseguenze reali di quello che fa. Vuole apparire (sottolineo: apparire) un figo che risolve tutto in una mossa. Ed ecco che è riuscito a ispirare una mia fantasia folle: Trump che si gira verso i propri collaboratori e dice qualcosa del tipo «ora prendete questo nano, caricatelo sull’aereo e portatelo direttamente in Olanda».
No, oggi ho fumato troppo. Tra un po’ mi riprendo e scrivo qualcosa di serio…