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Le somiglianze di Trump e Putin

Uno degli articoli per me più sorprendenti degli ultimi giorni – sorprendenti perché si basa su un paragone al quale non ho mai pensato in precedenza – è quello sulla somiglianza tra Donald Trump di oggi con Vladimir Putin del suo periodo presidenziale ormai da considerare iniziale. Lo spiega Peter Baker, il corrispondente del New York Times dalla Casa Bianca, che ha lavorato a Mosca nei primi anni 2000. Tra le altre cose, parla anche del rapporto dei due Presidenti con la stampa, ma il suo commento è interessante da vari punti di vista.
È una intervista che, ovviamente, potrebbe aiutare a capire qualcosa anche degli avvenimenti dei giorni nostri.


Putin propone un affare

Dato che Vladimir Zelensky, per qualche «strano» motivo, non vuole firmare un accordo di cessione totale sui metalli delle terre rare con gli USA, Putin ha prodotto una proposta geniale: la Russia è pronta a collaborare sui metalli delle terre rare con partner stranieri. Questo è ciò che ha detto al giornalista televisivo russo [di quelli particolarmente graditi, ovviamente] Pavel Zarubin:

Siamo pronti ad attrarre partner stranieri nei cosiddetti nuovi territori, i nostri territori storici, che sono tornati alla Federazione Russa. Anche lì ci sono alcune riserve [di risorse di terre rare]. Siamo pronti a lavorare con i nostri partner, compresi quelli americani.

Tradotto nel linguaggio umano da quello putiniano: la Federazione Russa è pronta a collaborare per estrarre metalli di terre rare nei territori che ha bombardato per tre anni, densamente saturato di campi minati e di bombe e missili inesplosi, allagato, riempito di cadaveri umani e animali, etc.. È inutile ipotizzare se i Putin sappia tutto questo: sono certo che non lo sappia (i consiglieri non lo scrivono nei loro rapporti e i registi non lo raccontano nei film «eroici» di guerra). Ed è inutile chiedersi se Trump lo ringrazierà per essersi offerto di fare il lavoro sporco «sul campo».
Semplicemente, la «collaborazione» sulla pratica si rivelerà o una grande occasione di appropriarsi una notevole quantità dei fondi statali stanziati, o una scusa per portare via tutto quello che non è ancora stato portato via dai «nuovi territori» nel corso dei tre anni di guerra. O, molto probabilmente, entrambe le cose insieme.


Ha trovato una nuova scusa

Al Cremlino di Mosca la domenica 23 febbraio (la Festa del difensore della patria) Putin ha consegnato le onorificenze statali ai dipendenti del Ministero della Difesa e della Rosgvardia e, come ho scoperto ieri, durante la cerimonia ha detto: «È così che è stato il destino, è così che Dio ha voluto, se posso dirlo: a voi e a me è stata affidata una missione così difficile ma onorevole, la missione di proteggere la Russia».
Stava parlando della professione militare in generale o della guerra militare speciale? Beh, dato che ha citato sé stesso e le persone che hanno scelto la loro professione in modo indipendente dalle forze esterne, e lo ha fatto in un momento storico ben determinato, è chiaro che stava parlando proprio della guerra. La quale, secondo la nuova versione di Putin, è «voluta da Dio»: non ha ancora scaricato la responsabilità su un personaggio supremo, ma lo ha già chiamato come testimone. Perché? Non perché il personaggio folcloristico che ha in mente avrebbe delle qualità necessarie per volere una guerra, ma perché i sacerdoti dei quali si fida tanto (e con i quali, come raccontano, si consulta prima di ogni decisione importante) gli hanno detto che è possibile farlo.
Anche se ho un dubbio: avrà già fatto dichiarazioni del genere in passato? Non saprei perché cerco di ascoltarlo meno possibile.
Ma, in ogni caso, mi chiedo: cos’altro vuole quel personaggio immaginario? Di questi tempi mi preoccuperei…


Calcolo troppo complesso

Il Financial Times scrive che gli Stati Uniti si sono opposti a definire la Russia un aggressore in una dichiarazione congiunta del G7 da rilasciare in occasione del terzo anniversario della invasione su larga scala dell’Ucraina (a partire dal 2022, ogni 24 febbraio, il G7 rilascia una dichiarazione a sostegno della Ucraina; l’anno scorso l’aggressione russa è stata menzionata ben cinque volte).
Effettivamente, secondo quell’amico di Trump che conoscete, la Russia si stava solo «difendendo», realizzando il proprio sacro diritto di prendersi più territori ucraini possibile e facendo la beneficenza politica sotto forma della eliminazione della modernità nei territori adiacenti. Secondo Trump è un comportamento assolutamente normale, la distruzione e le vittime sono solo effetti collaterali: la Russia non è un aggressore.
Seriamente parlando, però, devo constatare: non si capisce bene perché Trump insista ora a fare i regali simbolici a Putin anche a nome degli altri. Un politico (o diplomatico) normale avrebbe anche potuto «fare contento» Putin per riuscire a portarlo almeno a una fase iniziale delle trattative e/o distrarre la sua attenzione (Putin, ancora più delle persone normali, non è portato a trattare quando si sente sotto pressione o aggredito), ma fino a oggi Trump non mi ha fatto l’impressione di una persona capace di fare i calcoli nemmeno di questo livello di «complessità». Se ne fosse stato capace, avrebbe anche dimostrato dei risultati migliori in qualità di imprenditore.
Ma, ovviamente, la speranza è l’ultima a morire. Cosa ci resta – oggi – oltre alla speranza?


I regali di Trump

Ieri pomeriggio il portavoce presidenziale russo Dmitry Peskov ha dichiarato: il Cremlino considera gli Stati Uniti il proprio principale «vis-a-vis» nei colloqui di pace con l’Ucraina. Questa è la migliore – per ora – illustrazione del fatto che Donald Trump non ha letto (o non lo ha capito) il proprio libro «L’arte dell’accordo».
Non so ancora in concreto di cosa abbia parlato con Putin nel corso della telefonata dell’altro ieri (non lo sapete nemmeno voi, nonostante tutte le voci), ma un concetto sembra essere chiaro: proponendo di trattare della pace in Ucraina direttamente con lui e non coinvolgendo l’Ucraina a condizioni di quest’ultima, ha fatto sentire Putin almeno come un partecipante alla pari, alla pari di Zelensky. Quindi Putin ha ricevuto questo regalo non in seguito a un lungo e doloroso scambio, ma immediatamente, gratuitamente. È stato dunque Trump a regalare una posizione forte al personaggio con il quale dovrà trattare per arrivare a un accordo. È un dato che possiamo presumere non dal contenuto della suddetta telefonata (che ci è, appunto, sconosciuta), ma dalle dichiarazioni pubbliche di entrambe le parti.
Un’altra cosa che non so ancora è come sarà trattato Putin nel corso del futuro incontro. Come l’aggressore e l’unica causa della guerra? O come una persona che deve risolvere un problema «capitato per caso» nelle vicinanze del suo Stato? Però vedo che, molto probabilmente, si sta per dargli un’altra grande soddisfazione: farlo tornare sulla scena internazionale dove fino a poco fa Zelensky era applaudito da tutti, mentre lui non era proprio voluto dalla gente normale. Da molti mesi Putin sta tentando di umiliare Zelensky dicendo che «non è più un presidente legittimo» (falso), che «si è imposto da solo il divieto di trattare con la Russia» (falso) etc. E ieri ha ricevuto un piccolo sostegno di Trump pure su questa strada.
Insomma, Trump si sta dimostrando un imprenditore un po’ di merda. Pare…


Finalmente!

Donald Trump e Putin hanno parlato al telefono per ben un’ora e mezza e, pare, hanno concordato di iniziare a concordarsi avviare colloqui di pace sull’Ucraina. Si può scherzare ancora una volta sul fatto che non sembra un modo di finire la guerra in 24 ore, ma ormai non sarà più divertente. Si potrebbe far notare che una simile dichiarazione sul contenuto di una lunga (per due Capi di Stato è lunga) conversazione non significa alcunché e non contiene alcun impegno concreto, ma questo è ovvio per tutti.
Quello che è più interessante è che, secondo il portavoce presidenziale Peskov, Putin avrebbe invitato – durante la conversazione – Trump a Mosca. E secondo Trump lui e Putin avrebbero concordato di visitare gli Stati l’un dell’altro. Questo è il momento in cui si possono iniziare a fare scommesse e prepararsi a fare soldi a palate (sia come scommettitori che come allibratori). Putin avrà il coraggio di andare negli USA? E se lo farà, non gli accadrà nulla durante il viaggio? E Trump avrà la follia e l’indipendenza dalle opinioni dei suoi consiglieri per andare in Russia?
Scommetterei un miliardo di euro sulla risposta negativa a ognuna delle domande. Ma gli allibratori non devono preoccuparsi per i loro capitali: io non interessato ai giochi d’azzardo, ahahaha…


Il luogo dell’incontro

La Reuters scrive che la Russia sta prendendo in considerazione l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti come sede di un possibile incontro tra Vladimir Putin e Donald Trump.
Da una parte, in teoria, sembra una scelta logica: nessuno di quei due Stati relativamente seri è membro della Corte penale internazionale che ha emesso il mandato di arresto per Putin.
Dall’altra parte, Donald Trump non sembra intenzionato a dare, finalmente, l’inizio a quelle 24 ore nel corso delle quali aveva promesso di finire la guerra in Ucraina: si limita a confermare – più o meno vagamente – l’intenzione di farlo quando viene posto di fronte a una ennesima domanda esplicita sull’argomento. Questo significa che non sappiamo se e quando il famoso incontro avverrà.
Da un’altra parte ancora, vediamo che per Trump lo show è molto più importante del contenuto e delle conseguenze reali di quello che fa. Vuole apparire (sottolineo: apparire) un figo che risolve tutto in una mossa. Ed ecco che è riuscito a ispirare una mia fantasia folle: Trump che si gira verso i propri collaboratori e dice qualcosa del tipo «ora prendete questo nano, caricatelo sull’aereo e portatelo direttamente in Olanda».
No, oggi ho fumato troppo. Tra un po’ mi riprendo e scrivo qualcosa di serio…


Che notizia…

Ieri l’agenzia Bloomberg ha deciso di pubblicare una grandissima rivelazione che in pochissimi – appena il 146% delle persone che seguono le notizie internazionali – sapevano già: Vladimir Putin chiederà, durante i colloqui con il Presidente eletto degli USA Donald Trump sulla guerra tra Russia e Ucraina, che l’Ucraina tagli nettamente i legami militari con la NATO e diventi uno Stato neutrale con un esercito limitato. Effettivamente, si tratta delle pretese avanzate da Putin nei confronti dell’Universo già dal momento antecedente l’inizio della grande guerra in Ucraina.
È assolutamente comprensibile perché Putin vuole una cosa del genere: non perché si è dimenticato che prima della guerra la NATO (come l’UE e tante altre organizzazioni interstatali) non consideravano proprio l’Ucraina come un potenziale Stato-membro. Lo vuole per poter attaccare di nuovo, in qualsiasi momento e con la massima comodità uno Stato vicino indifeso, possibilmente ancora meno difeso di prima.
Quello che per ora non mi è del tutto chiaro è quanto Trump conosca le abitudini di Putin: si dice che il Presidente eletto abbia la mentalità da imprenditore (per ora trascuriamo la qualità dei suoi successi imprenditoriali), ma questo dovrebbe significare che si aspetta da ogni propria controparte una certa tendenza a rispettare gli accordi presi. Mentre Putin ha la mentalità non da imprenditore, ma da faccendiere russo degli anni ’90: «prendi qualcosa che è custodito male e scappa»; di conseguenza, rispetta accordi solo fino al momento in cui non si sente abbastanza forte da violarli (in 25 anni ne abbiamo avuto tantissime conferme).
Ora voglio vedere se quanto lo capisce Trump. Ma la Bloomberg è troppo impegnata a inventare le notizie per indagare su questo fatto.


La lettura del sabato

In qualità della prima «lettura del sabato» dell’anno proverei a segnalarvi qualcosa di più globale del solito, qualcosa che dipende un po’ meno dagli avvenimenti degli ultimi giorni e si concentra un po’ di più sulle tendenze.
L’articolo segnalato oggi è dedicato ai tentativi di Putin di uscire dall’isolamento internazionale, alle possibilità del suo successo su questa strada e a quello che dipenderà dalla sua fortuna nei suddetti tentativi. Si tratta anche di una buona descrizione della posizione corrente dello Stato russo sulla scena diplomatica internazionale.


Putin continua a telefonare

Ieri Putin ha avuto la seconda conversazione telefonica (quindi per il secondo giorno consecutivo) con il Presidente azero Ilham Aliyev, durante la quale i due hanno continuato a discutere di varie questioni legate all’ «incidente» aereo della Azerbaijan Airlines ad Aktau. La conversazione è avvenuta dopo l’intervista rilasciata da Ilham Aliyev alla televisione azera: in essa Aliyev ha affermato che nei primi giorni dopo il disastro l’Azerbaigian «non ha sentito dalla Russia altro che versioni deliranti». Ha inoltre chiesto che Mosca ammetta la propria colpa nell’incidente dell’aereo, punisca i responsabili e paghi un risarcimento ai parenti delle vittime.
Per ora in tutti questi sviluppi diplomatici della storia mi interessa maggiormente il fatto che Putin 1) ha chiesto scusa a qualcuno (in questo caso ad Aliyev); 2) ha fatto ben due telefonate (e chissà quante altre ne farà ancora, se non già fatto); 3) ha fatto lo sforzo di inventarsi delle giustificazioni. Si ha quasi l’impressione che stia strisciando davanti al trono di un tipo potente – a livello locale ovviamente – che ritiene molto utile, quasi indispensabile per la propria sopravvivenza.
Certo, so che Aliyev è politicamente vicino alla «alleata» Turchia (che è forte), che è anche un «amico politico» di Putin nella regione e che ha un suo ruolo nell’import clandestino delle tecnologie (utili anche per la guerra) in Russia. Ma non pensavo che la paura di perdere un amico così utile fosse tanto forte.
Boh, vedremo.