Il Washington Post scrive che l’Ucraina avrebbe fornito aiuti militari agli oppositori del regime di Bashar al-Assad in Siria poco prima del suo rovesciamento: quattro o cinque settimane fa l’intelligence ucraina avrebbe consegnato 150 droni ai ribelli e ha inviato in Siria 20 persone esperte nel pilotaggio di droni.
In precedenza, le autorità ucraine avevano già riferito della loro intenzione di combattere contro i mercenari russi in Siria. Per esempio, a giugno il Kyiv Post aveva pubblicato un articolo sulle forze speciali ucraine che combattono al fianco dei ribelli contro il governo di Bashar al-Assad e l’esercito russo che lo sostiene. A luglio, poi, si è saputo che l’esercito ucraino aveva colpito una base aerea russa all’interno del Paese.
Non ho dei motivi per non credere a tutte le notizie appena citate anche se a prima vista potrebbero sembrare illogiche. È vero che l’esercito ucraino dovrebbe essere concentrato sulle problematiche molto più attuali, ma i suoi interventi in Siria – sicuramente di portata non particolarmente ampia – perseguivano, in realtà, un importante obbiettivo diplomatico. Infatti, la sconfitta putiniana in Siria (considerato quanto si era in precedenza impegnato a sostenere Assad, si tratta di una sconfitta e di una sconfitta sua) è un brutto colpo per la sua immagine. Ora i leader degli Stati occidentali dovrebbero vedere con la massima chiarezza che l’esercito putiniano è ancora più debole di quanto vediamo sull’esempio della guerra in Ucraina. In sostanza, sta già dando il massimo e non ha le risorse per altre missioni importanti per Putin. Di conseguenza, non dovrebbe avere le risorse nemmeno per agire con ancora più intensità sul fronte ucraino.
Tutto questo induce a pensare che la posizione di Putin nelle ipotetiche trattative sulla situazione in Ucraina non può essere forte. I sostenitori della Ucraina sanno dunque come comportarsi. E meno male.
L’archivio del tag «putin»
In un nuovo rapporto del Laboratorio di ricerca umanitaria della Yale School of Public Health si dice che le autorità russe stanno conducendo un programma sistematico e su larga scala per la deportazione di bambini dall’Ucraina e la loro successiva adozione forzata e rieducazione in Russia. Questa operazione con l’intento di «russificare» i bambini ucraini è stata avviata, come si sottolinea nella suddetta ricerca, personalmente da Vladimir Putin e dai suoi subordinati. Gli autori della ricerca hanno identificato in modo certo i nomi di 314 bambini che sono stati portati illegalmente dai territori annessi delle regioni di Donetsk e Luhansk in Russia e mandati in adozione forzata. In totale, più di 30 mila bambini ucraini minorenni sono stati portati nel corso della guerra.
La ricerca ha una sua importanza nel contesto del fatto che a marzo 2023 la Corte penale internazionale dell’Aia – ancora non auto-compromessa dalle ben note stronzate successive – ha emesso un mandato d’arresto per Vladimir Putin e Maria Lvova-Belova (la difensore civico russo per i diritti dei bambini). I due sono sospettati di aver deportato illegalmente in Russia bambini provenienti dai territori occupati dell’Ucraina.
Nel contesto di tutto quello che sta combinando Putin almeno negli ultimi anni potrebbe, invece, sembrare una accusa – della Corte e/o della Yale School of Public Health – infinitamente piccola. Ma è una impressione superficiale e scorretta per almeno tre motivi. In primo luogo, non so perché si debba perdonare qualcosa a Putin. In secondo luogo, non so perché la vita dei bambini – non nel senso puramente biologico, ma in quello più ampio – debba contare meno di tutte le altre vite. In terzo luogo, sono contento per ogni mezzo con il quale a Putin verranno creati anche i problemi meno sensibili della sua vita.
Di conseguenza, sarò contento per la comparsa di ogni possibile ricerca sui suoi crimini.
L’altro ieri, il 27 novembre, Putin è arrivato con una visita di Stato in Kazakistan. Quel giorno aveva avuto un colloquio con il presidente kazako Kasym-Jomart Tokayev ad Astana, mentre ieri ha partecipato al vertice della OTSC (Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva) ad Astana.
Ebbene, il 27 novembre su uno schermo pubblicitario del centro di Astana (vicino al Teatro dell’Opera) è stata proiettata la bandiera della Ucraina al posto di quella russa. Il Ministero degli Interni del Kazakistan ha annunciato l’apertura di un procedimento penale per l’«incidente», lo schermo è stato presto spento e nella mattinata di giovedì 28 novembre non era ancora stato rimesso in funzione.
Io non so e non posso indovinare se l’«incidente» sia stato l’azione di una persona singola e indipendente oppure inventata da qualche funzionario: in una zona del genere di una città del genere sono possibili entrambe le opzioni. Ma, in ogni caso, il fatto mi diverte molto. Da una parte, il Presidente kazako Takayev non si è mai mostrato infinitamente grato a Putin per l’aiuto militare a gennaio 2022 durante le proteste di massa locali e non ha fretta di sostenerlo nella guerra contro l’Ucraina (politicamente è molto più vicino alla Cina). Dall’altra parte, in Kazakistan, oltre ai cittadini locali non proprio contenti per l’esistenza di un vicino come la Russia di oggi, vivono e lavorano tantissimi russi che per motivi politici si sono trasferiti dopo l’inizio della guerra.
Insomma, Putin ha fatto una delle proprie rare visite internazionali in un ambiente che difficilmente poteva dimostrarsi particolarmente amichevole nei suoi confronti. Non mi dispiace assolutamente che sia successo proprio così.
È proprio vero: durante il discorso di Putin sull’uso del missile balistico «Oreshnik» le sue mani si sono comportate in modo piuttosto strano. Anzi, non si sono comportate:
Le persone cattive scrivono che questo è il risultato di un montaggio amatoriale, il quale avrebbe avuto lo scopo di nascondere una qualche malattia di Putin che non gli permette di tenere le mani ferme. Le persone non tanto cattive, invece, ricordano questo episodio Continuare la lettura di questo post »
L’altro ieri The Washington Post ha scritto, riferendosi alle «proprie fonti», che Putin e Trump avrebbero avuto una conversazione telefonica il 7 novembre, nel corso della si è parlato anche della guerra russo-ucraina. Gli interlocutori del giornale hanno affermato che durante la conversazione il Presidente eletto degli USA ha messo in guardia Vladimir Putin da un’escalation in Ucraina.
Dmitry Peskov – il portavoce di Putin – ha da parte sua dichiarato che la telefonata in questione non ha avuto luogo.
Ebbene, le dichiarazioni di Peskov non ci interessano in quanto solitamente sono, nel migliore dei casi, di segno opposto alla realtà. L’argomento dichiarato della telefonata, invece, è molto curioso: cosa poteva intendere Trump per «una escalation in Ucraina»? Dopo tutto quello che ha fatto e sta facendo l’esercito russo in Ucraina, l’escalation può avere solo la forma di qualche arma di distruzione di massa. Quindi le presunte parole di Trump possono essere interpretate come «vai avanti così come lo stai facendo ora».
Poteva Trump dire una cosa del genere? Conoscendo il suo modo di esprimersi, direi che poteva.
Putin, invece, non poteva e non può ammettere che qualcuno gli abbia dato degli ordini su cosa e come fare. In generale, si sa che non gli piace essere sotto pressione. Allo stesso tempo, non sente di essere in grado di discutere pubblicamente con Trump. Di conseguenza, negherà quella telefonata in ogni caso, indipendentemente dal fatto che sia avvenuta o meno.
Ovviamente, ammesso che Trump si sia realmente dimenticato delle particolarità psicologiche di Putin.
Il giovedì 7 novembre Putin aveva parlato – nel corso di una esibizione pubblica di quasi tre ore – anche della elezione di Trump alla Presidenza americana: molto probabilmente ne avete sentito qualcosa anche voi. Per me, personalmente, la frase più divertente è «… lavoreremo con qualsiasi Capo di Stato …». Per fortuna o purtroppo, i rapporti tra gli Stati (indipendentemente da quali siano) non possono essere azzerati (possono variare solo l’intensità e i motivi dei contatti), ma proprio nel caso di Putin saranno in realtà gli altri a decidere se come lavorare con lui.
Potrebbe saperlo anche lui, ma si rivolgeva al pubblico interno… Però tutto questo non rende la suddetta espressione meno slegata dalla realtà.
Il portavoce presidenziale russo Dmitry Peskov ha commentato negativamente (con l’espressione «Informazioni inesatte») le voci secondo le quali Vladimir Putin si sarebbe congratulato ufficiosamente – «tramite conoscenti» – con Donald Trump per la vittoria di quest’ultimo alle elezioni presidenziali statunitensi.
Sfrutto questa piccola «notizia» per ricordare due piccoli concetti.
Prima di tutto, i russi e i lettori «professionali» delle notizie russe ormai da anni sanno che in 99,99% dei casi quando Peskov nega l’esistenza di una cosa, significa che quella cosa in realtà ha (o ha avuto) luogo.
E poi c’è da ricordare che Putin non dovrebbe – a differenza di otto anni fa – essere particolarmente contento per la elezione di Trump. In parte perché sa che Trump non è «un amico della Russia» (come certi funzionari russi si aspettavano nel 2016), ma una persona imprevedibile che pensa ai propri interessi (l’ultimo aspetto è normale per tutti). E, dall’altra parte, Putin non dovrebbe essere particolarmente contento perché l’esito delle elezioni americane ideale per lui sarebbe stato il caos. Proprio quel caos che Trump aveva promesso (più o meno esplicitamente) di organizzare nel caso della sconfitta elettorale. Ma il risultato della prima fase delle elezioni 2024 non lo spinge ai comportamenti destabilizzanti negli USA perché non ne ha alcun bisogno nemmeno secondo la sua logica.
Di conseguenza, Putin non fa dei salti di gioia in pubblico e, allo stesso tempo, non si intromette nelle elezioni americane seguendo il saggio e severo consiglio dello stesso Trump.
Non so se lo sapete (e non so se tutti sono interessati a saperlo), ma per il martedì 22 ottobre è programmata l’uscita – contemporaneamente in 36 Stati del mondo – del libro di memorie di Alexey Navalny (non è necessario raccontare chi sia stato e perché non c’è più). La scrittura del libro era iniziata nel 2020, quando Navalny si stava sottoponendo alle cure in Europa, dopo il tentato avvelenamento con il novichok. Ma avendo per ora letto solo alcuni frammenti resi noti in anticipo, non volevo parlarvi del libro. Il pretesto del post odierno è un’altra lettura.
Pochi giorni prima della pubblicazione delle memorie di Navalny, la sua vedova Yulia Navalnaya ha rilasciato una grande intervista al quotidiano britannico The Times, nel corso della quale, tra le altre cose, aveva detto «Non auguro a Putin di morire. Voglio che finisca in una prigione russa».
Ebbene (ebbene?), finire in una prigione russa di oggi è peggio di morire: significa trovarsi in una struttura (e, spesso in un clima) fisicamente inadeguata alla vita umana ed essere torturato quotidianamente dalla maggioranza delle guardie e dalla maggioranza degli altri detenuti che non si preoccupano (gli esponenti di entrambe le categorie) della vostra vita e personalità. Ma non sono assolutamente sicuro che Putin, una volta finito in una carcere russa (se per qualche miracolo dovesse succedere), sarà messo nelle condizioni comuni dalle guardie penitenziarie che proprio a lui devono tutto: il lavoro, lo status dei padroni della vita, delle certezze sul proprio futuro… So che Putin ha paura della presenza fisica delle altre persone nelle sue vicinanze e degli ambianti non sterilizzati ma, comunque, penso una carcere russa (quella attuale, ovviamente) per lui sarebbe un grande regalo.
Io, personalmente, gli auguro la sorte di Gheddafi, anche ritengo poco probabile pure questa opzione.
P.S.: il libro menzionato all’inizio del post è «Patriot», pubblicato dalla casa editrice Knopf. Uscirà anche in italiano.
Ho scoperto che il giornalista russo Mikhail Zygar ha scritto un articolo per Der Spiegel dove si sostiene che, secondo le voci, Putin si sarebbe recato a settembre nella regione di Tuva e in Mongolia per «incontrare gli sciamani» al fine di chiedere la loro benedizione per l’uso di armi nucleari. L’affermazione sull’incontro non è presentata come un fatto, ma, appunto, come un resoconto di voci.
La versione discussa da fonti vicine al Cremlino: il motivo sono gli sciamani. Questa è la terza visita di Putin in Mongolia nell’ultimo decennio: è stato più volte a Tuva.
La Mongolia e Tuva sono considerate la patria degli sciamani più potenti del mondo.
Vladimir Putin è noto da tempo per la sua particolare attitudine al misticismo. E, a quanto pare, combina il suo interesse per il misticismo ortodosso con le tradizioni pagane.
Ora a Mosca circola la voce che Putin abbia bisogno della benedizione degli sciamani per usare le armi nucleari. Senza il loro consenso, non potrebbe compiere un passo così grave per paura di irritare gli spiriti. E si dice che sia tornato dalla Mongolia soddisfatto.
Per quanto possa sembrare strano, sono disposto a credere facilmente a queste voci su Putin: avendo letto e sentito molto della sua attrazione per ogni tipo di misticismo pseudo-religioso. E se è tornato soddisfatto, significa che gli sciamani gli hanno sciamanizzato esattamente quello che già porta nella propria testa sull’uso delle armi nucleari e su tutte le altre eventuali questioni.
La Russia (e, forse, una parte del mondo) è in buone mani.
Ieri Putin ha affermato che gli attacchi dell’Ucraina con armi occidentali ad alta precisione contro il territorio russo significherebbero che i Paesi della NATO partecipano direttamente alla guerra, fornendo i dati necessari per gli attacchi dai propri satelliti. In realtà, non è la prima volta che parla di partecipazione della NATO alla guerra: lo aveva già fatto, per esempio, parlando degli istruttori occidentali nell’esercito ucraino. Ma ora tutto questo non ha molta importanza.
Supponiamo che la NATO partecipi alla guerra. E allora? Si può attaccare il proprio vicino, ma non si può difendere il proprio vicino? È stata superata un’altra «linea rossa»? Putin si offende e… E cosa fa? Inizia una guerra contro tutta la NATO cattiva? (no, non ha le risorse per farlo) Comincia a bombardare l’Ucraina con una particolare intensità? (lo sta già facendo, e da molto tempo) Inizia ad aprire la valigetta con il «bottone rosso»? (lo sta minacciando, in forme diverse, da molto tempo) Oppure si sfoga contro qualche dissidente interno? (anche questo modo di fare è abbastanza abituale)
In realtà, in questo caso particolare non bisogna prestare troppa attenzione alle parole di Putin. Ha solo deciso di ripetere ancora una volta la propria amata storiella: che il mondo intero sta attaccando la Federazione Russa, che la «operazione militare speciale» è stata iniziata «non senza motivo», e che il povero Putin è stato ingannato ancora una volta dagli occidentali. Lo fa solo per rinfrescare i vecchi concetti della propria propaganda nelle menti dei sudditi.
Non vedo dunque alcuna notizia.