L’archivio del tag «politica»

Alla ricerca dell’errore

Dalle varie letture e, in diversi casi, dalle conversazioni private con gli amici e conoscenti europei, ho appreso alcuni punti comuni nella analisi di quanto è accaduto dal 24 febbraio 2022 a oggi. Uno di quei punti caratterizzati da una logica comprensibile e in parte condivisibile è: «abbiamo sbagliato a lasciare Putin convincersi di poter fare qualsiasi cosa». Si tratta di un giusto e buono tentativo di individuare l’incrocio al quale è stata presa la strada sbagliata. Ma, purtroppo, non tutti hanno una memoria sufficientemente buona: il problema sta nel fatto che tutti (o quasi) si riferiscono alla annessione della Crimea nel 2014…
Mentre in realtà l’errore è molto più datato: risale ai tempi quando Putin si è convinto: ciò che non può essere banalmente comprato con i soldi (le Olimpiadi invernali, il Mondiale di calcio, un cancelliere tedesco, un Presidente francese, un noto politico italiano etc.), può essere preso con la forza perché l’Occidente non avrà il coraggio di dirmi qualcosa. Il primo territorio preso con la forza non è stata la Crimea. Il primo è stato un pezzo della Georgia nell’agosto del 2008.
Provate a ripensare a quegli eventi di 15 anni fa. Magari, leggendo qualcosa di utile e interessante.


Eventi politici innominati

A volte è particolarmente bello leggere i comunicati ufficiali dei vari Enti russi. Per esempio: in un’analisi dei rischi dei mercati finanziari, la Banca centrale russa ha osservato che gli «eventi politici interni in Russia» del 23–25 giugno (quali? ahahaha) hanno avuto un impatto limitato sulla dinamica del rublo: i cittadini russi hanno prelevato «appena» cento miliardi di rubli (poco più di un miliardo di euro secondo il tasso di cambio di quei giorni). In particolare, nelle regioni di Rostov, Voronezh e Lipetsk la domanda di contanti è aumentata del 70–80%.
Solo con un certo «sforzo» potremmo ricordarci che in quei giorni si era sviluppata la «rivolta» di Prigozhin…
E ci rendiamo conto un’altra volta di quante speranze nella serietà delle intenzioni di quel personaggio venivano nutrite dai cittadini comuni.


La lettura del sabato

La lettura di approfondimento settimanale questa volta era ancora più facile da scegliere. Nell’articolo segnalato oggi si cerca di capire quale futuro aspetti tutta la CMP Wagner dopo la stranissima «rivolta» di Prigozhin del finesettimana scorso.
Effettivamente, la Wagner faceva un sacco di cose particolari, spesso le faceva con un successo più o meno rilevante e praticamente sempre le faceva con i soldi dello Stato (ricevuti direttamente per delle finalità precise o attraverso i vari contratti di Prigozhin con degli enti statali per la fornitura di cibo, servizi di propaganda, servizi militari etc.).
Sicuramente tutta quella macchina ben organizzata non verrà lasciata sparire inutilmente: è sempre una attività che potrebbe essere comoda a qualcuno, anche allo Stato russo.


I sondaggi russi creativi

È interessante vedere, nell’ottica degli ultimi eventi, i risultati dei sondaggi condotti dall’ente russo «Levada Center» (una organizzazione russa indipendente e non governativa, che conduce sondaggi e ricerche sociologiche).
I sondaggi sulla figura di Evgeny Prigozhin: nel sondaggio del 25–28 giugno, il 29% degli intervistati ha dichiarato di vedere positivamente l’attività di Prigozhin (l’11% che approva pienamente le sue attività, il 18% che le approva parzialmente). Rispondendo alla stessa domanda il 22–23 giugno, il 30% degli intervistati aveva dichiarato di approvare pienamente le attività di Prigozhin, mentre il 28% ha dichiarato di approvarle parzialmente.
I sondaggi sulla figura del Ministro della «Difesa» Sergei Shoigu: una settimana fa il 60% degli intervistati approvava le sue attività (il 30% approvava pienamente e il 30% solo in parte), mentre ora il grado di approvazione è al 48% (il 24% in totalmente e il 24% in parte).
I sondaggi sulla figura di Vladimir Putin: il grado di approvazione è quasi invariato. Prima della «rivolta», l’82% degli intervistati aveva dichiarato di appoggiare in tutto o in parte le sue attività; il giorno della «rivolta» il 79%; e dopo la rivolta ancora l’82%.
Allo stesso tempo, i politici regionali dichiarano che il Cremlino ha comunicato loro che il livello di fiducia di Putin è sceso del 9–14%. E, di conseguenza, in questi giorni viene organizzata una tournée di Putin nelle regioni russe mai vista prima: si sta comportando quasi come un comune politico occidentale che per qualche motivo si interessa del rapporto reale con i potenziali elettori.
Ma il problema è: la cerchia di Putin (ma anche il pubblico internazionale) ha improvvisamente visto che il presidente, in realtà, non ha due cose. In primo luogo, non ha l’appoggio reale delle numerose strutture armate create negli ultimi due decenni (alcune non lo hanno difeso contro Prigozhin nascondendosi non si capisce dove, altre «erano bloccate nel traffico» come i combattenti di Kadyrov). In secondo luogo, nessuno di quei oltre l’80% dei cittadini si era organizzato per difendere – almeno attraverso delle manifestazioni da piazza – l’"amato" presidente.
Di conseguenza, nonostante tutti i sondaggi possiamo sperare che Putin ora rischi un po’ di più a essere «scaricato» da chi si sente più forte di lui.


La “rivolta” di Prigozhin

Provo a schematizzare le mie prime considerazioni… Per capire appieno quella iperveloce «rivolta» di Evgeny Prigozhin che sabato ha scosso un po’ tutto l’Occidente, bisogna capire le motivazioni di almeno quattro suoi protagonisti.
1. Evgeny Prigozhin. Bisogna ricordare che non è un personaggio pubblico né dal punto di vista attivo né da quello passivo. Questo significa che utilizza i social media per rivolgersi alle persone le cui attenzione e reazione gli interessano, ma non cerca il consenso popolare (anche se, ovviamente, c’è chi lo legge); allo stesso tempo, non è un personaggio pubblico dal punto di vista passivo perché i mass media russi ne parlano poco (al massimo dicono «guardate cos’altro ha detto quel pazzo»); più una testata è vicina allo Stato e meno parla di Prigozhin. In generale, si può dire che il personaggio è molto più noto e seguito in Europa che in Russia.
Ovviamente, in Russia non è necessario essere noto e/o popolare per conquistare e mantenere il potere. È sufficiente conquistare i principali posti di comando a Mosca. A quel punto la maggior parte della popolazione resterà totalmente indifferente al cambio del «capo» (sì, c’è questo interessante fenomeno sociale che può essere riassunto con la frase «l’importante è che mi lascino stare»), mentre l’esercito, le forze dell’ordine e i vari dipendenti statali cercheranno di puntare sul candidato al potere più probabile. La storia insegna che in Russia succede così da secoli.
Il problema è che Prigozhin, non essendo interessato alla vita pubblica in generale e agli impegni istituzionali in particolare, non aveva iniziato la «rivolta» per conquistare il potere. A Prigozhin interessano due cose: i soldi (da sempre) e la sicurezza personale (in un modo particolare negli ultimi mesi). I soldi costituiscono il motivo principale del suo lungo conflitto con il ministro della «Difesa» Shoigu: anni fa, molto prima della guerra in Ucraina, Prigozhin aveva tentato (come si deduce da alcuni indizi) diventare uno dei fornitori principali del cibo all’Esercito russo. Potete immaginare facilmente che si trattava di contratti molto ricchi. Ma quei contratti non erano stati ottenuti, quindi era iniziato quel conflitto con il ministro che durante la guerra in Ucraina ha messo a rischio la sicurezza fisica di Prigozhin. Infatti, egli ha fatto delle promesse a Putin, ma da un certo punto in poi non si è più sentito in grado di mantenerle: non sa più dove prendere altri combattenti e altre munizioni (molte munizioni non vengono fornitegli proprio dal Ministero di Shoigu). Di conseguenza, già mesi fa comprende il rischio di essere nominato un «traditore di Putin» e «colpevole degli insuccessi militari in Ucraina». Comprende che la minaccia per la sua vita arriva proprio da Putin, quindi tenta di salvarsi.
Purtroppo per lui, si è dimenticato che accettando la «proposta di Lukashenko», si è creato un nemico eterno. Infatti, Putin non dimentica e non perdona: finché è in vita, cercherà di punire il «traditore» Prigozhin. Ha dei mezzi per farlo in qualsiasi punto del pianeta.
2. Vladimir Putin. Probabilmente lo sapete anche senza di me, ma a Putin nella vita pubblica piacciono almeno due cose: essere associato solo alle notizie positive e apparire un tipo duro. Non ha mai parlato degli insuccessi militari in Ucraina (gli insuccessi sono la colpa dei generali, mentre le vittorie sono il merito di Putin), si era nascosto da qualche parte nei periodi meno favorevoli per l’Esercito russo e, inizialmente, non aveva reagito alla «rivolta» di Prigozhin. Ma la mattina del sabato 24 giugno era apparso in televisione con un discorso debolissimo. Anziché dire qualcosa come «Fottuto Prigozhin, ti do due ore per sparire, poi mi incazzo sul serio!», ha iniziato quasi a piangere del tradimento… Alla fine, avendo paura di fallire pubblicamente, non ha voluto nemmeno combattere o trattare con Prigozhin per il proprio potere. E ha affidato tutto a Lukashenko.
3. Sergey Shoigu. Ho già menzionato il suo lungo conflitto con Prigozhin. Ma ora ci interessa per un motivo molto più curioso: da mesi (forse anche da più mesi di noi) sapeva dell’aggravarsi dei rapporti con il capo di una grande banda armata, ma l’intero Esercito (del quale è Ministro) non si è preparato in alcun modo agli eventuali problemi. Non vedeva alcun pericolo? Allora è un cretino che debba essere ricoverato al più presto. O, forse, cerca di non farsi attribuire tutte le colpe per gli insuccessi in Ucraina passando per pazzo?
4. Aleksander Lukashenko. Sicuramente ora è felice come mai (tranne un giorno degli anni ’90) è stato nella propria vita: ha fatto un enorme favore a Putin, gli ha salvato la faccia, e ora può pretendere altri aiuti economici (li pretende da quando è al potere) fino alla fine dei giorni presidenziali di Putin. E/o dei propri. Si vedrà.
A questo punto vi concedo una pausa perché il testo è venuto un po’ troppo lungo.


L’eliminazione del termine

The Telegraph scrive l’Università di Cambridge ha deciso di eliminare dal programma di studi ogni riferimento agli «anglosassoni» come gruppo etnico separato. Come spiegato dal dipartimento di lingue anglosassoni, norvegesi e celtiche (ASNC) dell’università, questa decisione è stata presa come parte della lotta al razzismo e non per promuovere «miti di nazionalismo». Secondo il nuovo concetto, gli accademici ritengono che non sia mai esistita un’identità etnica britannica, inglese, scozzese, gallese e irlandese duratura e coerente.
The Telegraph osserva, poi, che l’"anglosassone" avrebbe acquisito una connotazione negativa negli ultimi anni a causa del suo uso da parte dei razzisti, soprattutto statunitensi.
Io, invece, posso osservare che il termine «anglosassoni» viene da anni abusato da molti rappresentanti ufficiali e ufficiosi di quello Stato che oltre un anno fa (secondo molti oltre nove anni fa) ha iniziato una guerra tipicamente nazista contro coloro che definisce «nazisti» con una logica tipicamente razzista. Non so se l’Università di Cambridge abbia tenuto conto anche di questo fenomeno: probabilmente ha preferito rimanere – almeno per ora – scientificamente neutrale. Prima o poi lo sapremo.


Erdogan rieletto

Tra tutti i possibili argomenti in qualche modo correlati alle elezioni presidenziali turche mi ha stupito maggiormente una relativa tranquillità dei rappresentanti dello Stato e della propaganda russi. Infatti, Recep Tayyip Erdoğan non solo è un presidente politicamente comprensibile a Putin, ma anche un presidente comodo per la sua prevedibilità: i due regimi «si conoscono» da vent’anni e sanno come trattare con successo in tutte le situazioni possibili e immaginabili.
Di conseguenza, mi è sembrato strano di non vedere un particolare tifo statale russo per Erdoğan e di non sentire di alcuna teoria abbastanza credibile circa l’interferenza russa nelle elezioni turche. Nemmeno la teoria sulla interferenza nelle elezioni presidenziali americane era tanto credibile (o, almeno, la sua portata era stata un po’ esagerata), ma questa volta proprio non ho letto o sentito delle cose del genere.
Saranno stati troppo sicuri della vittoria di Erdoğan.


La parata di ieri a Mosca

A giudicare da quello che ho letto, la parata militare svoltasi ieri a Mosca – nell’occasione del «Giorno della Vittoria» – è stato un evento noiosissimo in tutti i sensi.
Vladimir Putin ha pronunciato il solito discorso senza senso in base al quale l’URSS avrebbe salvato da sola l’intera umanità nella Seconda guerra mondiale, ora la Russia si troverebbe a difendersi dai nemici che vorrebbero smembrarla, l’Occidente starebbe diffondendo il nazionalismo aggressivo etc. etc..
A Mosca si sono presentati i leader di sette Stati che attualmente dipendono ancora dalla Russia economicamente e, in alcuni casi, in termini della sicurezza fisica.
La componente militare della parata è stata molto ridotta: meno uomini (i giornalisti dicono che la tendenza alla riduzione si osserva dal 2020), niente aerei (pare, a causa del famoso «attacco» dei droni contro il Cremino) e appena tre carri armati (tutti T-34-85 prodotti negli anni ’50).
Beh, i carri armati si possono anche spiegare: durante le parate di solito viene mostrata l’attuale potenza militare dello Stato, mentre noi sappiamo che la Russia sta attualmente mandando a combattere in Ucraina proprio i carri armati degli anni ’50 e ’60. Di conseguenza, la comparsa di quei rottami sulla Piazza Rossa è assolutamente logica.
Mentre l’unico aspetto interessante – anche se piccolo – è il passaggio dei 530 militari che hanno combattuto in Ucraina nel corso della guerra attuale. Per me è una nuova conferma del fatto che festeggiare la guerra è per Putin più importante di festeggiare la fine della Seconda guerra mondiale, ma lo avevo già scritto ieri.
Insomma, niente di interessante.


La lettura del sabato

L’articolo consigliato per questo sabato parla di come si manifesta ora, nel contesto della guerra in Ucraina, un fenomeno sociale russo con la storia secolare. Un fenomeno, per il quale non riesco nemmeno a scegliere un termine italiano capace di trasmettere pienamente il suo senso… In poche – e non una – parole, si tratta del denunciare una qualsiasi persona (conosciuta o sconosciuta a chi denuncia) per il suo atteggiamento palesemente o presumibilmente sgradito allo Stato, ma non necessariamente illegale, e con la piena consapevolezza di causare dei problemi anche gravi alla persona denunciata e senza necessariamente sperare di ottenere dei vantaggi in conseguenza allo sporgere stesso della denuncia. Non so qualcuno di voi riesca a suggerirmi un termine italiano adatto…
Ma, intanto, provate a leggere l’articolo: potrebbe esservi interessante.


Un cittadino da proteggere

Ieri sono stati presentati alla Duma gli emendamenti al disegno di legge sulla responsabilità per la cooperazione con le Organizzazioni internazionali di cui la Russia non fa parte. Gli autori formali degli emendamenti – cioè quelli che hanno ricevuto le relative mail dal Cremlino – propongono di integrare il Codice penale russo con il comma 3 dell’articolo 284 sulla «prestazione di assistenza nell’esecuzione di decisioni di organizzazioni internazionali a cui la Federazione Russa non partecipa o di organismi statali stranieri».
«Prestare assistenza nell’esecuzione di decisioni di […] organismi statali stranieri in merito al perseguimento penale di funzionari delle Autorità pubbliche della Federazione Russa in relazione alle loro attività di servizio, di altre persone in relazione al loro servizio militare o alla permanenza in formazioni di volontari» sarebbe considerato un reato. La riforma prevede fino a cinque anni di reclusione per il «reato» trattato.
Il deputato Vasily Piskaryov – il presidente del Comitato della Duma per la sicurezza e la lotta alla corruzione e uno degli «autori» degli emendamenti – ha dichiarato che gli emendamenti mirerebbero a proteggere i cittadini russi.
In realtà possiamo immaginare quale cittadino specifico si tenta di proteggere in tal modo. Altrettanto facilmente possiamo immaginare da quale Organizzazione si tenta di proteggerlo. E, a differenza dei deputati e degli autori degli emendamenti, possiamo immaginare che molto difficilmente Putin verrà rapito sul territorio russo (dove si applica il Codice penale russo) per essere portato all’Aja. Indipendentemente dalla modalità in cui verrà – eventualmente – consegnato alla Corte penale internazionale (dalla quale è ricercato), gli esecutori di tale consegna si organizzeranno abbastanza bene per sottrarsi alla applicazione del Codice penale russo.
Cosa sarà del Codice stesso dopo l’arresto di Putin è un’altra grande domanda, ma sicuramente sarà applicato non come ora.