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Le elezioni ucraine

Probabilmente alcuni di voi sanno che a marzo del 2024 in Ucraina avrebbero dovuto svolgersi le elezioni presidenziali; il presidente in carica Zelensky già in agosto 2023 aveva confermato la propria intenzione di candidarsi per il secondo mandato.
Ieri sera, però, nell’ormai tradizionale discorso serale alla nazione Zelensky ha detto:

We must realize that now is the time of defense, the time of the battle that determines the fate of the state and people, not the time of manipulations, which only Russia expects from Ukraine. I believe that now is not the right time for elections. And if we need to put an end to a political dispute and continue to work in unity, there are structures in the state that are capable of putting an end to it and giving society all the necessary answers. So that there is no room left for conflicts and someone else’s game against Ukraine.

[traduzione ufficiale dall’ucraino presa dal sito presidenziale]
Apparentemente Zelensky aveva la scelta tra due opzioni ugualmente peggiori: far svolgere le elezioni a marzo (quindi nel periodo regolare: in prossimità della scadenza del proprio mandato) ma solo su una parte del territorio ucraino (quello non occupato dall’esercito russo) oppure posticipare le elezioni ai tempi di pace (giustificandosi con lo stato di guerra vigente) ma rischiando di passare per dittatore in patria e all’estero.
Lo svolgimento delle elezioni ora, ai tempi di guerra, mette a rischio quelle unità nazionale e concentrazione che servono per condurre con successo la guerra. Il posticipo delle elezioni potrebbe mettere a rischio gli aiuti provenienti dall’estero (soprattutto dagli USA) in quanto alcuni politici potrebbero – a partire dal marzo 2024 – considerare Zelensky un presidente non legittimo.
A favore della scelta di Zelensky annunciata ieri per ora c’è solo una cosa relativamente concreta: i risultati delle ricerche sociologiche. Infatti, in un sondaggio condotto dall’Istituto Internazionale di Sociologia di Kiev nell’ottobre di quest’anno, l’’81% degli ucraini intervistati ha affermato che le elezioni dovrebbero tenersi dopo la guerra, mentre il 16% si è espresso a favore dello svolgimento delle elezioni nonostante la guerra.
Di conseguenza, per ora posso dire solo una cosa: Zelensky si è inventato un nuovo compito diplomatico difficile. Oltre a chiedere le armi all’Occidente, ora deve anche difendere la propria scelta sulle elezioni di fronte allo stesso Occidente. Io non sono in grado di dire se abbia fatto bene o male a non rischiare di distruggere l’unità politica interna nel corso di una guerra difensiva.


Il livello di inglese

Venerdì avevo scritto un post nel quale menzionavo la prank call fatta alla premier Giorgia Meloni. E poi ho pensato che forse dovrei mostrare anche il relativo video originale:

Direi che oltre al semplice fatto della telefonata potrebbe stupirci anche il livello di inglese di tutti i personaggi coinvolti…


Organizzazione dei Terroristi Uniti

Considerati gli eventi degli ultimi anni (se non decenni), non mi stupisco: il sabato 28 ottobre l’inutile (e spesso dannosa) banda chiamata ONU ha assicurato ancora una volta ad Hamas il proprio sostegno incondizionato: con 120 voti a favore ha adottato una risoluzione che chiede una tregua immediata in Medio Oriente; l’emendamento che condannava l’attacco terroristico di Hamas contro Israele è stato respinto. Quindi secondo l’ONU non c’è stato alcun attacco terroristico e nessun rapimento di ostaggi, l’esercito israeliano avrebbe semplicemente attaccato senza motivo il pacifico Hamas. Ora l’ONU chiede di fermare immediatamente l’operazione di risposta all’attacco terroristico e, immagino, di continuare a soddisfare tutte le solite pretese di Hamas.
Non so se un giorno potrò fare qualcosa contro i nemici dell’umanità, ma nel frattempo posso iniziare a ricordare i loro nomi. Ecco l’elenco degli Stati che hanno votato contro la risoluzione di condanna del massacro compiuto da Hamas il 7 ottobre 2023: Algeria, Bahrain, Bangladesh, Bielorussia, Repubblica Centrafricana, Bolivia, Ciad, Congo, Comore, Cina, Egitto, Gambia, Guinea, Guyana, Indonesia, Iran, Iraq, Kuwait, Kirghizistan, Libia, Libano, Malesia, Maldive, Mali, Mauritania, Kazakistan, Giordania, Marocco, Namibia, Nicaragua, Niger, Oman, Pakistan, Qatar, Federazione Russa, Arabia Saudita, Senegal, Somalia, Sudafrica, Sri Lanka, Sudan, Tagikistan, Siria, Tunisia, Turchia, Uganda, Emirati Arabi Uniti, Tanzania, Yemen, Zimbabwe.

Anche nella suddetta lista non trovo delle sorprese, ma questo è un altro argomento.


La lettura del sabato

Per qualche strano motivo Putin e i suoi collaboratori ritengono ancora importante fare una specie di «campagna elettorale» per la elezione di Putin alla Presidenza russa nel 2024. In tutte le elezioni presidenziali precedenti avevano dimostrato di poter aggiungere al candidato giusto quella percentuale dei voti che ritenevano necessaria; dopo l’inizio della guerra in Ucraina hanno più volte fatto intendere di poter fare qualsiasi cosa in generale. Non si capisce dunque tanto bene perché sprechino il tempo e le forze per fare la pubblicità positiva sia del candidato destinato a vincere che del semplice fatto della votazione.
Però lo fanno. Lo fanno spesso in modi che a un europeo potrebbero sembrare un po’ strani (anche se io non sono capace di immaginare bene quale impressione facciano: io osservo più o meno attentamente la politica russa da oltre trent’anni e ho visto di tutto, mentre la maggioranza degli europei comuni no). Questa volta, per esempio, hanno inventato una particolare lotteria nazionale… Proprio a essa è dedicato l’articolo che consiglio per questo finesettimana.


Il senso degli esperimenti nucleari

Il mercoledì 25 ottobre il Consiglio Federale russo (la Camera alta del Parlamento) ha approvato la legge sul ritiro della ratifica del Trattato sulla messa al bando totale degli esperimenti nucleari. Ovviamente, a breve la legge verrà anche firmata da Putin. In relazione a questi due eventi avrei potuto ricordare diverse banalità largamente note (per esempio, che il Parlamento russo approva solo le leggi che servono a Putin o che il ritiro della ratifica non equivale alla uscita dal Trattato), ma vado oltre.
Nel pomeriggio dello stesso giorno – il 25 ottobre – sul sito ufficiale del Presidente della Russia è comparso il comunicato secondo il quale Vladimir Putin avrebbe condotto l’addestramento delle forze di deterrenza nucleare. Come parte dell’addestramento, dal cosmodromo di Plesetsk è stato lanciato verso il sito di test in Kamchatka il razzo Intercontinentale Yars, mentre il razzo Sineva è stato lanciato dal mare di Barents dal sottomarino nucleare Tula. Inoltre, gli aerei a lungo raggio Tu-95MS hanno eseguito lanci di missili dall’aria.
La seconda notizia in certo senso conferma quella ipotesi che viene in mente già in relazione alla prima: Putin non ha alcun bisogno e/o intenzione di testare delle «nuove» armi nucleari perché tutto quello che c’era da testare è già stato testato decenni fa. Si sa già come funzionano le armi nucleari. Però Putin non se il sistema delle armi nucleari che ha a disposizione dai tempi sovietici funzioni ancora. Sarà tutto rovinato dal tempo? Parzialmente venduto dai vertici militari corrotti? Tutta la catena degli ufficiali è disposta a fare la propria parte del lavoro se Putin dovesse premere il famoso buttone rosso? Purtroppo per lui e fortunatamente per noi, Putin non è sicuro di poter rispondere positivamente a tutte le domande elencate. Dunque spera di testare – con «l’autorizzazione del Parlamento» – il funzionamento del sistema e non delle armi.
Secondo il mio autorevolissimo parere, vuole testare il sistema non per bombardare i nemici, ma per sapere se ha ancora uno strumento per terrorizzare il mondo. Ci aveva provato con il «secondo esercito del mondo», ma ha fallito: guardate quanto sono piccoli i successi militari in Ucraina. Poi aveva provato a «far congelare l’Europa» senza il gas russo, ma già l’inverno scorso è stato superato dall’Europa con molta tranquillità. Ora gli resta la minaccia della bomba atomica e vuole essere sicuro di avere i mezzi.
Vedremo.


Le bandiere a Stepanakert

Ilham Aliev – il presidente dell’Azerbaigian – ha visitato, la domenica 15 ottobre, Stepanakert (la città principale di Nagorno Karabakh, un territorio recentemente preso sotto controllo da Azerbaigian in seguito a una azione militare). Come testimoniano le riprese video ufficiali, nella città dalla quale sono scappati quasi tutti i residenti armeni Aliev, tra le altre cose, ha camminato con gli scarponi militari sopra la bandiera della ormai ex Repubblica di Nagorno Karabakh e ha alzato la bandiera dell’Azerbaigian.

Ognuno fa il figo come può.


La velocità della reazione

Il Comitato esecutivo del Comitato olimpico internazionale ha annunciato la sospensione del Comitato olimpico russo fino a nuovo avviso. In particolare, ha dichiarato che il comitato russo ha violato la Carta olimpica quando ha incluso organizzazioni sportive delle regioni di Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhya che sono sotto la giurisdizione del Comitato Olimpico Nazionale dell’Ucraina.
Evito di ripetere per l’ennesima volta quanto poco mi interessano lo sport e le Olimpiadi. Ma trovo utile e interessante mettere in evidenza la velocità dei riflessi mentali dei membri del Comitato olimpico internazionale. In sostanza, potremmo sentirci [più] autorizzati a fare tutte le battute possibili sulle capacità «intellettuali» delle persone facenti parte del mondo dello sport: come ai vecchi tempi pre-" politically correct".


Un’altra cretina

Nel corso della conferenza stampa dedicata all’annuncio dei vincitori del premio Nobel per la chimica, al Segretario generale dell’Accademia delle Scienze reale svedese Hans Ellegren è stato chiesto: cosa ha guidato l’Accademia delle Scienze nell’assegnare il premio a uno scienziato russo: in particolare, vista la guerra in corso in Ucraina.
Hans Ellegren, considerate la sua professione e la situazione in cui è stata posta la domanda, non poteva certo chiedere alla giornalista cosa la abbia guidato nel fare le domande cretine. Io, invece, ho la grande fortuna di poterlo chiedere. Ho pure la fortuna di poter rispondere alle proprie domande.
Posso dunque ricordare che le scoperte scientifiche – come pure tutti i risultati intermedi delle ricerche e i rami abbandonati delle singole ricerche – contribuiscono allo sviluppo del pianeta intero. Non importa da chi siano stati fatti: indipendentemente dalla cittadinanza, luogo di nascita e/o di residenza, il colore dei capelli, il numero delle scarpe, le preferenze politiche etc. etc., i risultati scientifici «funzionano» sempre allo stesso modo.
In particolare, Alexei Ekimov – il fisico russo premiato ieri con il Nobel per la chimica – dal 1999 vive e lavora negli USA, non ha condotto le proprie ricerche appositamente per lo Stato russo, non si è espresso a favore della guerra in Ucraina. Di conseguenza, non si capisce perché il suo contributo al bene globale debba essere ignorato solo a causa del suo luogo di nascita. Vale anche per altre migliaia di scienziati russi che negli ultimi mesi stanno avendo dei problemi burocratici per colpa delle persone che il quoziente di intelligenza negativo come il giornalista di cui sopra.


Poteva impegnarsi in altro

Elon Musk sta facendo tutto il possibile per convincermi di essere scemo. Ieri, per esempio, ha pubblicato questo tweet (oppure ora si chiamano iksate?):

(pubblico lo screenshot perché le pubblicazioni online spesso spariscono, soprattutto  da Twitter  da X)
Secondo me potrebbe smettere di sprecare le forze. Mi sono convinto. O quasi…


Una reazione interessante

Lo avete già letto: il 20 settembre, cinque (pare) «peacekeepers» russi sono stati uccisi in Nagorno-Karabakh: il loro veicolo è finito sotto il fuoco di armi leggere azere. Non voglio ipotizzare che tipo di «peacekeepers» fossero: la prassi insegna che i militari russi possono solo tentare di condurre delle guerre di conquista (vedi l’Ucraina) o non fare nulla (vedi il Nagorno-Karabakh), ma non li ho ancora visti garantire o imporre la pace. Però in questi giorni ho visto una reazione interessante alla loro morte.
Sembra che il presidente azero Ilham Aliyev si sia scusato al telefono con Putin; il portavoce Peskov ha detto che «non conosciamo ancora tutti i dettagli di questa vicenda, ma almeno è in corso un’indagine»; non ci sono notizie sulla reazione di Putin stesso a quanto accaduto. Tutto ciò significa che Putin ha semplicemente accettato silenziosamente la notizia della uccisione dei militari russi: perché la sua formidabile e intransigente reazione ci sarebbe stata certamente riferita, anche in formato video (e ci ricordiamo benissimo che nel 2008 una situazione molto simile era stata un pretesto sufficiente per la guerra contro la Georgia). Ma Putin sa benissimo che tutte le sue forze militari sono ora impegnate in Ucraina, quindi non ci sono le risorse per affrontare l’Azerbaigian e il suo sponsor Turchia. Così se ne sta lì, con la paura di scoreggiare, da far vedere che sia successo qualcosa di degno di nota.
Un grande e terribile Putin…