Il martedì 29 marzo si erano tenuti in Turchia i cosiddetti «negoziati» tra la Russia e l’Ucraina. Il loro unico obiettivo era, per la Russia, quello di perdere un po’ di tempo. Infatti, la guerra sta continuando più o meno come prima. Prendiamo un giorno caso: il giovedì 31 marzo.
Il fuoco illumina il cielo notturno nella parte orientale di Kharkiv, dove l’esercito ucraino sta liberando la strada dai mezzi militari abbandonati e/o distrutti:
La gente si rifugia in una chiesa dopo essere fuggita dai villaggi vicini dove è entrato l’esercito russo. Bashtanka, regione di Mykolayiv:
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Tanti media occidentali scrivono dei «negoziati» tra la Russia e l’Ucraina in Turchia. Tale incontro (non il primo e non l’ultimo) è sicuramente un fatto di cronaca interessante, ma non lo è nel senso più globale: dal punto di vista politico o addirittura storico. Infatti, prima di iniziare a spendere tempo per seguire i fatti di cronaca simili, bisogna capire alcuni principi. Per esempio:
1. Putin (non mi va di scrivere Russia) non vuole fare i negoziati con l’Ucraina. Vuole fare i negoziati con una parte terza (possibilmente la NATO) che possa garantire il rispetto degli accordi raggiunti da parte degli ucraini. In parte è una manifestazione di disprezzo nei confronti dei vertici ucraini e in parte è una manifestazione della ovvia mancanza di fiducia verso l’intero Paese: nemmeno il migliore tra gli accordi possibili fermerà da solo i comportamenti ostili nei confronti dei militari russi che si trovano sul territorio ucraino.
2. I membri della delegazione russa attuale politicamente valgono più o meno 0 (zero). Anzi, il capo Vladimir Medinsky è un noto buffone (sì, lo chiamo in questo modo molto diplomatico) che da anni viene utilizzato dal Cremlino per mettere in circolazione e/o attuare le idee più assurde. Di conseguenza, qualsiasi accordo raggiunto o qualsiasi promessa fatta da questa delegazione può essere disdetto — in qualsiasi momento — unilateralmente da Putin. Quest’ultimo si sta riservando tale possibilità.
3. Putin non sarà assolutamente disposto a cessare la guerra e fare uscire le truppe senza prendere qualche territorio ucraino in più. Nel caso contrario farà molta più fatica a parlare di una vittoria. Una sconfitta, invece, non è compatibile con la psicologia di Putin.
Tenendo conto dei suddetti principi, aspettiamo che arrivino i negoziati seri, e non quelli fatti per creare l’illusione delle buone intenzioni.
Il giovedì 24 marzo eravamo arrivati a un brutto traguardo: un mese di guerra in Ucraina. Anche se in realtà non ha molto senso parlare di periodi più o meno lunghi: in guerra è brutto ogni singolo giorno.
Anche la situazione in cui la durata di una guerra si misura ormai in mesi non può certo essere definita bella.
Oggi pubblico il riassunto di questo mese.
Il giorno 1: la città di Chuguev nella regione di Kharkiv bombardata dall’esercito russo il 24 febbraio (Aris Messinis / AFP / Scanpix / LETA).
Il giorno 2: il corpo di un soldato russo alla periferia di Kharkiv (Vadim Ghirda / AP / Scanpix / LETA).
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Nel frattempo, Alexey Navalny – il più noto (meritatamente, direi) oppositore russo – è stato oggi riconosciuto colpevole di altri due reati. Dall’inizio del 2021 Navalny sta scontando una reclusione a 2 anni e 8 mesi per «truffa» (con tale termine il «giudice» aveva definito la precedente attività imprenditoriale di Alexey e del suo fratello Oleg); ora a quel periodo dovrebbero aggiungersi altri 13 anni giuridicamente altrettanto fondati. Considerato l’impegno politico di Navalny, la nuova condanna non è assolutamente una sorpresa… Anzi, era evidente sin dall’inizio che sarebbe stato fatto tutto il possibile per tenerlo in carcere per più tempo possibile, con qualsiasi pretesto.
Alexey Navalny (a sinistra) e i suoi avvocati ascoltano la condanna – la foto di Sergey Fadeichev, scattata nella «sala stampa» del carcere dove si è tenuto il processo.
Ecco, nelle ultime tre settimane mi è capitato di sentire più volte una stranissima teoria complottista: che l’invasione militare dell’Ucraina sarebbe stata avviata per distrarre ogni possibile attenzione dal nuovo processo a Navalny. Ebbene, secondo il mio autorevolissimo parere si tratta di una teoria stupidissima. Anche quando due fenomeni si verificano in contemporanea, non sono necessariamente correlati tra loro. Soprattutto quando qualcuno (indovinate chi) ha la certezza di un totale disinteresse di quasi tutta la popolazione per almeno uno di quei fenomeni.
Nella vita reale raramente si riesce a fare una cosa alla volta, quindi sono inevitabili anche le coincidenze più strane. Per esempio, il processo a un oppositore considerato ormai «messo al sicuro» e una guerra che si illudeva di poter concludere vittoriosamente in pochi giorni. Ma, purtroppo, si riesce a fare tutte queste cose. Purtroppo, è anche giustificata l’attesa del disinteresse di una parte della popolazione a uno o entrambi gli eventi.
L’unico aspetto positivo della suddetta coincidenza è una semplice evidenza: Alexey Navalny non passerà in carcere tutti quegli anni. Infatti, la guerra in Ucraina che stiamo osservando non può non essere il culmine (e quindi la fine) del potere di Vladimir Putin. Non ha la possibilità di vincere e non ha la possibilità di perdere tornando alla relativa normalità di prima. Quindi dobbiamo solo osservare per quanti mesi ancora riesce a resistere.
Più o meno tutti conoscono la bandiera russa contemporanea, quella con tre strisce orizzontali di colori bianco, blu e rosso. Ufficialmente a quei colori non è stato attributo alcun significato, mentre diverse persone cercano di interpretarli secondo le proprie preferenze politiche o in base alla propria concezione del bello. Dal punto di vista araldico, tutte quelle interpretazioni sono di natura non vincolante, delle semplici fantasie.
Quasi tutti, ormai conoscono anche la bandiera Continuare la lettura di questo post »
Ieri, l’8 marzo, Joe Biden ha annunciato il divieto dell’import del gas e del petrolio russi. Si tratta di una sanzione logica, ma dobbiamo ricordare che gli Stati Uniti (così come il Canada) non sono l’importatore principale delle materie prime russe in questione. L’importatore principale è l’Europa…
Ed ecco la Commissione europea propone agli Stati membri una bozza del piano di rinuncia al gas e al petrolio russi «molto prima del 2030». In particolare, le misure proposte dovrebbero ridurre la dipendenza europea dal gas russo di due terzi già entro la fine del 2022. Ehm… Non sarei in grado di valutare – velocemente, almeno – se sia un piano realistico, ma supponiamo pure che lo sia. Anche questa sanzione è logica. Sarà, soprattutto, una sanzione molto sensibile per l’economia russa in generale e per l’economia personale di molti personaggi vicini a Putin. [Potrebbe rivelarsi sensibile anche per l’economia europea, ma la pace, la libertà e i principi umani hanno un costo: nella vita ci sono dei momenti in cui non bisogna cercare di sottrarsene.] Di conseguenza, si può dire che sarebbe una sanzione pienamente («la più», direi) azzeccata. Nell’attesa di una redazione più e meglio definita del piano (del quale si potrà discutere con più serietà), vorrei solo ricordare ai miei lettori un altro aspetto.
Il gas e il petrolio russi sono attualmente già colpiti da sanzioni che io chiamerei «indirette». Infatti, gli acquirenti europei – e non solo quelli europei – già oggi hanno paura o addirittura non possono pagare il gas e il petrolio russi. Perché si tratterrebbe di fare dei pagamenti in dollari o in euro alle aziende russe che si trovano sotto le recentissime sanzioni.
Comunque sia il piano europeo di cui sopra, speriamo che l’inverno prossimo sia caldo!
E ancora di più speriamo – io lo spero – che la situazione odierna si risolva presto.
Ogni sera, da alcuni giorni ormai, passando in piazza Duomo (a Milano) verso le 19:15, vedo questa piccola manifestazione contro la guerra in Ucraina. Si tratta di poche decine di persone (una trentina o poco più? boh, non si capisce molto) con una lunga bandiera ucraina e pochi slogan esclamati in italiano, in russo e in ucraino (a giudicare dall’accento, sono prevalentemente gli ucraini).
Un po’ mi dispiace che siano in pochi a manifestare, anche se capisco benissimo che la sera di un giorno feriale non è il momento ideale per aspettare una ampia partecipazione delle persone impegnate in quella vita quotidiana che rimane sempre importante per i singoli e per la collettività.
Allo stesso tempo, spero che un giorno si ripetano delle grandi manifestazioni che abbiamo visto in giro per il mondo nel fine settimana passato. Anche se osservando da anni il mondo posso constatare che la partecipazione alle manifestazioni può solo diminuire. Però qualche altra grande manifestazione sarebbe stata utile: perché una delle cose che infastidiscono maggiormente Putin è l’amore non condiviso da parte dell’Occidente (in tutte le sue forme, cominciando dalla comunità dei leader politici). Se il termine amore vi pare poco appropriato nel contesto delle relazioni internazionali, sostituitelo pure con l’amicizia. Ma la sostanza è la stessa: in oltre ventitré anni Putin ha percorso la strada da un politico orientato ai buoni rapporti con l’UE e la Nato a un politico che inizia una guerra di conquista in Europa proprio perché si sente – almeno a partire dal 2008 – una persona rifiutata. Una persona rifiutata dalla collettività la cui attenzione e benevolenza ha cercato di conquistare con tutta la sincerità e (oppure «ma»?) con tutti i modi a egli noti. Una persona rifiutata che ora si è arrabbiata e quindi tira le pietre contro le finestre chi lo ha rifiutato.
(Una tristissima curiosità: si dice che ora sarebbe depresso per il fatto che il suo esercito «liberatore» non sia accolto con gioia dagli ucraini!)
Ci vogliono – forse – diverse e intense manifestazioni per convincere definitivamente Putin o almeno una persona della sua cerchia (sì, ne basterebbe una ma coraggiosa) che non ha più senso insistere.
In Europa più o meno tutti continuano ad aspettare l’invasione russa dell’Ucraina. Aspettarla temendola; aspettarla sperando che si eviti una nuova guerra in Europa. Io continuo a considerare quella guerra poco probabile (ho già scritto più volte che non reputo Putin capace di prendere le decisioni di questa portata), ma forse oggi conviene aggiungere alcune altre considerazioni.
1) Inizierei dall’ipotizzare il punto di vista della NATO. In questi anni Putin ha dimostrato di essere uno stratega, pensatore e politico assolutamente mediocre: può fare dichiarazioni radicali e inattese, ma non ha la capacità di raggiungere obiettivi politici. Allo stesso modo, non si è dimostrato capace di calcolare le conseguenze a lungo termine delle proprie azioni (non è uno stratega ma solo un tattico). Qualsiasi cosa faccia, l’effetto è sempre dannoso per lo Stato. Così è successo anche questa volta, quando gli è stato chiesto di spiegare il senso della concentrazione delle truppe russe vicino al confine con l’Ucraina: Putin ha improvvisamente cominciato a dettare gli ultimatum geopolitici alla NATO. Ed è stata una auto-fregatura colossale: approfittando del suo tono aggressivo, la NATO ha intenzionalmente alimentato una isteria sull’argomento «la Russia sta per attaccare» per fare finalmente ciò che volava fare da tempo voleva. Mancava solo un pretesto formale e presentabile per pompare l’Ucraina con le armi moderne e rafforzare le forze della NATO in Europa orientale. Quindi la retorica stupida di Putin sul «necessario» ritiro della NATO dall’Europa ha avuto l’effetto opposto: una scusa legale per la NATO per espandersi e rafforzarsi. Putin si è messo a giocare una partita troppo difficile per lui e ha ottenuto lo scacco matto in tre mosse.
2) Inoltre, possiamo provare a ipotizzare il punto di vista dei politici europei e statunitensi (in quest’ultimo caso in realtà possiamo parlare al singolare). A differenza di quanto succede in Russia e negli altri ex membri dell’URSS ora totalitari, i politici europei e americani dipendono fortemente dai loro elettori e fanno il possibile per conquistare la loro simpatia. Quindi di recente hanno scoperto un nuovo modo di conquistare dei grandi benefit politici con il minimo sforzo. Il trucco si chiama «Convincere Putin a non fare la guerra» e consiste in tre passaggi. Il primo passaggio: si afferma che Putin sta per iniziare una guerra. Poiché l’immagine internazionale di Putin è – meritatamente – quella che è, l’affermazione sembra credibile. Da questo deriva il secondo passaggio: esprimere costantemente preoccupazione, chiamare Putin e/o andare da lui ogni giorno per dei negoziati. In questa fase ogni nuovo giorno senza la guerra è presentato (o, se preferite, percepito) come una vittoria personale di quel politico occidentale che è «riuscito temporaneamente a dissuadere Putin». (In questo gioco Putin viene usato, usato come uno spaventapasseri, ma non se ne rende conto ed è contento per l’attenzione da parte dei grandi di questo mondo e orgoglioso per la propria «importanza globale»). Il secondo passaggio consiste – per il politico occidentale – nel presentarsi come un salvatore del mondo e della pace, ottenendo quindi dei bonus politici nel proprio Paese. Di conseguenza, è normale chi in tanti si sono messi ora in fila per «negoziare» con Putin: Biden, Macron, Scholz…
3) Infine, possiamo ipotizzare il punto di vista di Putin. Probabilmente Putin sta sospettando che le sue residenze siano spiate: da qualche dispositivo tecnologico o da una talpa. Quindi per scoprire con esattezza il punto della fuga delle informazioni, sfruttando le poche abilità acquisite grazie alla prima professione, si sposta da una stanza all’altra e pronuncia delle frasi diverse. Nel cesso dice: «Ordino al ministro della difesa di attaccare Kiev domani!». Nella camera da letto dice: «Voglio creare un sito di test nucleari nell’Artico!». Nel salotto dice: «ho finalmente deciso a fare una proposta di matrimonio alla regina Elisabetta!» Etc. etc… Insomma, in base alla frase diventata di dominio pubblico tenta di individuare il punto di fuga delle informazioni. A quanto pare, la cimice è nascosta nel cesso.
Pur non essendo un grandissimo esperto nelle questioni militari, avrei potuto tentare un confronto tra le dotazioni tecniche-militari russe e quelle della NATO. Ma questo, in ogni caso, è un altro argomento.
Il lunedì 7 febbraio a Mosca si erano incontrati Vladimir Putin e Emmanuel Macron. L’obbiettivo dell’incontro era quello di discutere dello stato attuale nei rapporti tra la Russia e l’Ucraina (in molti parlano di una possibile invasione, mentre a me quest’ultima continua a non sembrare particolarmente probabile). Apparentemente, non ci sarebbero [ancora] dei risultati visibili di quell’incontro, anche se coinvolgere Putin in una conversazione seria di quasi sei ore è in realtà un grande successo.
Quindi per ora possiamo commentare solo la modalità con la quale si è svolto l’incontro «in presenza»:
Dal punto di vista diplomatico è tutto semplicissimo. Prima di tutto bisogna ricordare che ormai da quasi due anni a tutti coloro che vogliono incontrare Putin dal vivo viene imposta una quarantena di due settimane (le uniche, rarissime, eccezioni sono fatte per gli incontri con dei leader stranieri: per esempio, si potrebbe ricordare l’incontro con Xi Jinping del 4 febbraio). Allo stesso tempo, bisogna ricordare che Putin vuole fortemente essere riconosciuto come un attore della grande politica internazionale, mentre Macron vuole da tempo diventare il principale leader europeo (dato che Angela Merkel ha «finalmente» liberato tale posizione). Di conseguenza, Macron è andato serenamente a Mosca per affrontare un incontro difficile, mentre Putin lo ha «autorizzato» a non fare la quarantena. Il mega-tavolo della foto riportata è, in sostanza, un compromesso.
A me sono piaciute tanto alcune reazioni popolari a tale compromesso. La migliore, secondo me, è questa:
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Il Ministero degli Esteri britannico sostiene che la Russia starebbe sviluppando un piano per portare al potere in Ucraina dei leader pro-Russia. E lo fa pubblicando una lista di quattro nomi…
Non elenco e non commento quei nomi non solo perché non direbbero alcunché a un italiano medio, ma anche perché, indipendentemente dalle dichiarazioni degli alti funzionari russi, si tratta dei nomi un po’ strani. Sono nomi delle persone che a prima vista sembrano scelte quasi a caso perché negli ultimi anni non si sono distinti – almeno sul campo pubblico – per alcun legame serio e/o indubbiamente «positivo» con la Russia.
L’ipotesi del tentativo di instaurare, in qualche modo, un governo pro-russo in Ucraina sembra logica e può essere analizzata, ma in essa possono essere inseriti tanti altri nomi non meno probabili: come se fossero delle lettere latine indicanti una infinità delle possibili variabili.
In questo preciso momento mi sembra comunque più utile e interessante seguire il conflitto politico-militare tra la Russia e NATO riguardante, in parte, il futuro dell’Ucraina.