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Le manifestazioni contro la guerra

Ogni sera, da alcuni giorni ormai, passando in piazza Duomo (a Milano) verso le 19:15, vedo questa piccola manifestazione contro la guerra in Ucraina. Si tratta di poche decine di persone (una trentina o poco più? boh, non si capisce molto) con una lunga bandiera ucraina e pochi slogan esclamati in italiano, in russo e in ucraino (a giudicare dall’accento, sono prevalentemente gli ucraini).

Un po’ mi dispiace che siano in pochi a manifestare, anche se capisco benissimo che la sera di un giorno feriale non è il momento ideale per aspettare una ampia partecipazione delle persone impegnate in quella vita quotidiana che rimane sempre importante per i singoli e per la collettività.
Allo stesso tempo, spero che un giorno si ripetano delle grandi manifestazioni che abbiamo visto in giro per il mondo nel fine settimana passato. Anche se osservando da anni il mondo posso constatare che la partecipazione alle manifestazioni può solo diminuire. Però qualche altra grande manifestazione sarebbe stata utile: perché una delle cose che infastidiscono maggiormente Putin è l’amore non condiviso da parte dell’Occidente (in tutte le sue forme, cominciando dalla comunità dei leader politici). Se il termine amore vi pare poco appropriato nel contesto delle relazioni internazionali, sostituitelo pure con l’amicizia. Ma la sostanza è la stessa: in oltre ventitré anni Putin ha percorso la strada da un politico orientato ai buoni rapporti con l’UE e la Nato a un politico che inizia una guerra di conquista in Europa proprio perché si sente – almeno a partire dal 2008 – una persona rifiutata. Una persona rifiutata dalla collettività la cui attenzione e benevolenza ha cercato di conquistare con tutta la sincerità e (oppure «ma»?) con tutti i modi a egli noti. Una persona rifiutata che ora si è arrabbiata e quindi tira le pietre contro le finestre chi lo ha rifiutato.
(Una tristissima curiosità: si dice che ora sarebbe depresso per il fatto che il suo esercito «liberatore» non sia accolto con gioia dagli ucraini!)
Ci vogliono – forse – diverse e intense manifestazioni per convincere definitivamente Putin o almeno una persona della sua cerchia (sì, ne basterebbe una ma coraggiosa) che non ha più senso insistere.


Tutti simulano la guerra

In Europa più o meno tutti continuano ad aspettare l’invasione russa dell’Ucraina. Aspettarla temendola; aspettarla sperando che si eviti una nuova guerra in Europa. Io continuo a considerare quella guerra poco probabile (ho già scritto più volte che non reputo Putin capace di prendere le decisioni di questa portata), ma forse oggi conviene aggiungere alcune altre considerazioni.
1) Inizierei dall’ipotizzare il punto di vista della NATO. In questi anni Putin ha dimostrato di essere uno stratega, pensatore e politico assolutamente mediocre: può fare dichiarazioni radicali e inattese, ma non ha la capacità di raggiungere obiettivi politici. Allo stesso modo, non si è dimostrato capace di calcolare le conseguenze a lungo termine delle proprie azioni (non è uno stratega ma solo un tattico). Qualsiasi cosa faccia, l’effetto è sempre dannoso per lo Stato. Così è successo anche questa volta, quando gli è stato chiesto di spiegare il senso della concentrazione delle truppe russe vicino al confine con l’Ucraina: Putin ha improvvisamente cominciato a dettare gli ultimatum geopolitici alla NATO. Ed è stata una auto-fregatura colossale: approfittando del suo tono aggressivo, la NATO ha intenzionalmente alimentato una isteria sull’argomento «la Russia sta per attaccare» per fare finalmente ciò che volava fare da tempo voleva. Mancava solo un pretesto formale e presentabile per pompare l’Ucraina con le armi moderne e rafforzare le forze della NATO in Europa orientale. Quindi la retorica stupida di Putin sul «necessario» ritiro della NATO dall’Europa ha avuto l’effetto opposto: una scusa legale per la NATO per espandersi e rafforzarsi. Putin si è messo a giocare una partita troppo difficile per lui e ha ottenuto lo scacco matto in tre mosse.
2) Inoltre, possiamo provare a ipotizzare il punto di vista dei politici europei e statunitensi (in quest’ultimo caso in realtà possiamo parlare al singolare). A differenza di quanto succede in Russia e negli altri ex membri dell’URSS ora totalitari, i politici europei e americani dipendono fortemente dai loro elettori e fanno il possibile per conquistare la loro simpatia. Quindi di recente hanno scoperto un nuovo modo di conquistare dei grandi benefit politici con il minimo sforzo. Il trucco si chiama «Convincere Putin a non fare la guerra» e consiste in tre passaggi. Il primo passaggio: si afferma che Putin sta per iniziare una guerra. Poiché l’immagine internazionale di Putin è – meritatamente – quella che è, l’affermazione sembra credibile. Da questo deriva il secondo passaggio: esprimere costantemente preoccupazione, chiamare Putin e/o andare da lui ogni giorno per dei negoziati. In questa fase ogni nuovo giorno senza la guerra è presentato (o, se preferite, percepito) come una vittoria personale di quel politico occidentale che è «riuscito temporaneamente a dissuadere Putin». (In questo gioco Putin viene usato, usato come uno spaventapasseri, ma non se ne rende conto ed è contento per l’attenzione da parte dei grandi di questo mondo e orgoglioso per la propria «importanza globale»). Il secondo passaggio consiste – per il politico occidentale – nel presentarsi come un salvatore del mondo e della pace, ottenendo quindi dei bonus politici nel proprio Paese. Di conseguenza, è normale chi in tanti si sono messi ora in fila per «negoziare» con Putin: Biden, Macron, Scholz…
3) Infine, possiamo ipotizzare il punto di vista di Putin. Probabilmente Putin sta sospettando che le sue residenze siano spiate: da qualche dispositivo tecnologico o da una talpa. Quindi per scoprire con esattezza il punto della fuga delle informazioni, sfruttando le poche abilità acquisite grazie alla prima professione, si sposta da una stanza all’altra e pronuncia delle frasi diverse. Nel cesso dice: «Ordino al ministro della difesa di attaccare Kiev domani!». Nella camera da letto dice: «Voglio creare un sito di test nucleari nell’Artico!». Nel salotto dice: «ho finalmente deciso a fare una proposta di matrimonio alla regina Elisabetta!» Etc. etc… Insomma, in base alla frase diventata di dominio pubblico tenta di individuare il punto di fuga delle informazioni. A quanto pare, la cimice è nascosta nel cesso.

Pur non essendo un grandissimo esperto nelle questioni militari, avrei potuto tentare un confronto tra le dotazioni tecniche-militari russe e quelle della NATO. Ma questo, in ogni caso, è un altro argomento.


Il lunedì 7 febbraio a Mosca si erano incontrati Vladimir Putin e Emmanuel Macron. L’obbiettivo dell’incontro era quello di discutere dello stato attuale nei rapporti tra la Russia e l’Ucraina (in molti parlano di una possibile invasione, mentre a me quest’ultima continua a non sembrare particolarmente probabile). Apparentemente, non ci sarebbero [ancora] dei risultati visibili di quell’incontro, anche se coinvolgere Putin in una conversazione seria di quasi sei ore è in realtà un grande successo.
Quindi per ora possiamo commentare solo la modalità con la quale si è svolto l’incontro «in presenza»:

Dal punto di vista diplomatico è tutto semplicissimo. Prima di tutto bisogna ricordare che ormai da quasi due anni a tutti coloro che vogliono incontrare Putin dal vivo viene imposta una quarantena di due settimane (le uniche, rarissime, eccezioni sono fatte per gli incontri con dei leader stranieri: per esempio, si potrebbe ricordare l’incontro con Xi Jinping del 4 febbraio). Allo stesso tempo, bisogna ricordare che Putin vuole fortemente essere riconosciuto come un attore della grande politica internazionale, mentre Macron vuole da tempo diventare il principale leader europeo (dato che Angela Merkel ha «finalmente» liberato tale posizione). Di conseguenza, Macron è andato serenamente a Mosca per affrontare un incontro difficile, mentre Putin lo ha «autorizzato» a non fare la quarantena. Il mega-tavolo della foto riportata è, in sostanza, un compromesso.
A me sono piaciute tanto alcune reazioni popolari a tale compromesso. La migliore, secondo me, è questa:
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Le strane fantasie britanniche

Il Ministero degli Esteri britannico sostiene che la Russia starebbe sviluppando un piano per portare al potere in Ucraina dei leader pro-Russia. E lo fa pubblicando una lista di quattro nomi
Non elenco e non commento quei nomi non solo perché non direbbero alcunché a un italiano medio, ma anche perché, indipendentemente dalle dichiarazioni degli alti funzionari russi, si tratta dei nomi un po’ strani. Sono nomi delle persone che a prima vista sembrano scelte quasi a caso perché negli ultimi anni non si sono distinti – almeno sul campo pubblico – per alcun legame serio e/o indubbiamente «positivo» con la Russia.
L’ipotesi del tentativo di instaurare, in qualche modo, un governo pro-russo in Ucraina sembra logica e può essere analizzata, ma in essa possono essere inseriti tanti altri nomi non meno probabili: come se fossero delle lettere latine indicanti una infinità delle possibili variabili.
In questo preciso momento mi sembra comunque più utile e interessante seguire il conflitto politico-militare tra la Russia e NATO riguardante, in parte, il futuro dell’Ucraina.


L’impopolarità del populismo

Oltre alle ricerche sospette sul livello della povertà nel mondo, nello stesso mondo si pubblicano anche delle ricerche alle quali si vuole tanto credere. Per esempio: nella ricerca della Bennett Institute for Public Policy (della Cambridge University) si sostiene che i partiti (e i politici) populisti di tutto il mondo hanno perso nel grado del sostegno durante la pandemia del Covid-19.
Gli autori della ricerca hanno raccolto e studiato le opinioni politiche di più di mezzo milione di persone di 109 Stati dall’inizio del 2020 (non tantissimi, ma nemmeno pochi). E hanno scoperto che il sostegno ai partiti populisti in tutto il mondo è sceso in media di 10 punti percentuali nel periodo indicato. Invece l’approvazione delle azioni dei governi centristi nel contrasto della pandemia alla fine del 2020 era in media di 16 punti percentuali superiore all’approvazione delle azioni nello stesso campo intraprese dei governi populisti. Inoltre, in tutto il mondo è aumentata la fiducia nelle istituzioni tecnocratiche e negli esperti che prendono le decisioni politiche. Già nell’estate del 2020, per esempio, il numero di persone convinte che gli esperti dovessero essere autorizzati a prendere le decisioni in base al loro parere professionale era già aumentato di 14 punti percentuali in Europa e di 8 punti negli Stati Uniti.
Beh, i risultati di questa ricerca potranno essere verificati in giro di pochi anni. Dobbiamo solo «fare lo sforzo» di arrivarci per vedere tutto con i propri occhi, ahahaha


Le semplificazioni dei 26 senatori

Il Senato degli Stati Uniti ha pubblicato una proposta di legge, redatta da 26 senatori, sulle sanzioni da imporre alla Russia se le truppe russe dovessero invadere l’Ucraina o se il conflitto tra la Russia e l’Ucraina dovesse intensificarsi ulteriormente. Tra le misure proposte ci sono il divieto di entrare negli Stati Uniti e il congelamento dei beni statunitensi del presidente russo, del primo ministro, del ministro degli esteri e del ministro della difesa, così come dei comandanti di vari tipi di truppe e di altri individui che la Casa Bianca dovesse ritiene coinvolti in «aggressioni contro l’Ucraina». Si tratta di un documento lungo e, dicono, visto positivamente dalla Casa Bianca. Ma nonostante tutto questo, attualmente non mi sembra un documento da prendere troppo sul serio.
Prima di tutto, non è da prendere sul serio perché l’intervento diretto (apertamente dichiarato) delle truppe russe in Ucraina continua a sembrarmi poco probabile. In secondo luogo, non è detto che un documento del genere venga approvato (o, almeno, approvato nella sua redazione attuale). In terzo luogo, spero tanto che prima o poi qualcuno riesca a spiegare ai politici federali americani che il presidente russo menzionato nel documento si comporta costantemente come un bullo infantile: quando si sente sotto pressione, continua a «fare il cattivo» con una intensità maggiore di prima. Quest’ultimo punto, in particolare, complica tanto il lavoro dei politici e diplomatici costretti ad affrontare i comportamenti dei governanti russi e richiede una buona fantasia nell’inventare le sanzioni: ovviamente, qualora ci fosse l’interesse di introdurre sanzioni (o compiere qualsiasi altro tipo di azione) funzionanti e realmente mirate al raggiungimento di un obiettivo concreto e voluto. E, effettivamente, dobbiamo ammettere che nessuno ha mai sostenuto che la politica e la diplomazia siano dei mestieri facili. Non consistono certo nella sola frase imperativa «fai il bravo».


A tutti coloro che si interessano, per qualsiasi motivo, dell’avvelenamento dell’oppositore russo Alexey Navalny con il Novichok (avvenuto il 20 agosto 2020) segnalo il sito tematico creato dai colleghi/collaboratori di Navalny stesso. Su quel sito sono raccolte tutte le informazioni per ora note – ai creatori del sito e quindi a noi – sugli esecutori e sui loro strumenti e metodi, la cronologia dei fatti, la posizione ufficiale dello Stato russo in merito etc.. Come potete facilmente immaginare, mancano ancora diverse informazioni importanti (perché sono note non a noi, ma a poche persone concrete), ma certamente si tratta di una situazione temporanea. Mentre il suddetto sito già oggi è un interessante documento storico.

Il sito promette anche dei premi in bitcoin per alcune informazioni fondamentali mancanti circa l’avvelenamento di Navalny. Sono sicuro che prima o poi quelle informazioni salteranno fuori, ma non sono del tutto sicuro che lo faranno solo per una questione di soldi.


La disciplina parlamentare

In alcune occasioni mi era già capitato di scrivere che la Duma (la Camera bassa del parlamento russo), come tutto il parlamento in generale, è solo un organo di ratifica delle decisioni prese in altre sedi… In realtà, prevalentemente in una sede particolare, ma ora non importa.
L’importante è che posso raccontare – a tutti coloro che non riescono a immaginare la portata del problema – di un esempio pratico freschissimo, accaduto ieri. La dirigenza del partito «Russia unita» ha deciso, all’unanimità, per l’espulsione dal partito del deputato Evgueni Marchenko. Quest’ultimo l’altro ieri si è permesso di votare contro la legge finanziaria in occasione della prima lettura (delle tre necessarie). In tal modo avrebbe violato lo statuto partitico che impone ai deputati l’obbligo di appoggiare la decisione collegiale del partito in qualsiasi questione. Uno dei dirigenti della «Russia unita» ha precisato che «nessun deputato si può permettere di votare contro una legge finanziaria basata sulle indicazioni del Presidente [della Russia]».
Bene, ora siete informati sul funzionamento della Duma infinitamente più di prima. E, probabilmente, siete un po’ più vicini alla comprensione delle mie difficoltà di fronte alle domande circa la presunta forza della opposizione nel parlamento russo.
Ah, forse dovrei aggiungere una foto di Evgueni Marchenko. Eccola:

Prima o poi vi racconto qualche altra storia analoga.


Le elezioni tedesche 2021

Non c’è bisogno di fare chissà quale analisi politica per osservare due grande evidenze confermate dalle elezioni politiche tedesche di domenica.
1. Nessuno dei partiti può dirsi un grande vincitore. Di conseguenza, Angela Merkel rimarrà al suo posto ancora per un po’ di tempo: fino alla formazione di un Governo (con la relativa coalizione). La volta scorsa ci erano voluti circa sei mesi, vediamo quanto tempo ci mettono ora. Ma il fatto importante è: tanta gente in giro per il modo ha troppa fretta di salutare la cancelliera uscente.
2. Il partito di Angela Merkel ha mostrato il peggior risultato dal 1949 e, di fatto, ha perso le elezioni. Ma questo non significa che dobbiamo necessariamente cercare delle spiegazioni più o meno complicate o fantasiose alla sconfitta. Secondo il mio parere autorevole, tutti i Governi con i relativi leader e, in alcuni casi, i Presidenti degli Stati democratici mostreranno dei brutti (sicuramente inferiori al passato) risultati alle loro elezioni più vicine. Il motivo sarà sempre lo stesso: le scelte impopolari nella gestione della pandemia. Le scelte che in qualche modo hanno colpito quasi tutti gli elettori. Le scelte non solo impopolari, ma spesso anche palesemente confuse e stupide. Di conseguenza, possiamo dire che alla Germania è andata anche abbastanza bene: i pazzi verdi e i populisti marroni avrebbero potuto ottenere dei risultati ancora più alti.
Ecco, solo tenendo in mente le suddette due osservazioni possiamo fare tutti le analisi possibili e immaginabili delle elezioni tedesche.


La votazione per la Duma

Più o meno tutti gli interessati avranno già letto della storica votazione di tre giorni (conclusasi domenica sera) per la nuova Duma russa. Io, personalmente, trovo poco interessante scrivere dei risultati (in una buona misura noti in anticipo) e dei brogli (poco di nuovo rispetto a tante votazioni precedenti). Si potrebbe scriverne diverse schermate di cronaca, ma non è il mio compito.
Solo pochi piccoli aspetti possono meritare la nostra attenzione.
1. Ciò che è accaduto non può essere descritto con la parola elezioni: i pochi candidati di opposizione ammessi non avevano la possibilità di condurre la campagna elettorale, mentre il conteggio dei voti, anche quelli elettronici (espressi via internet da casa), aveva una minima relazione con i voti espressi dai cittadini. Quindi è più corretto usare la parola votazione. Niente di nuovo.
2. Dopo 14 anni dall’ultima volta, nella Duma (della VIII legislatura) ci saranno di nuovo più di quattro partiti: si è aggiunto uno quinto, di nome «Persone nuove». Si tratta del quarto partito di opposizione finta: come gli altri tre, al 99% voterà allo stesso modo della «Russia unita». La Duma rimane quindi un organo di semplice ratifica delle fantasie del Presidente dello Stato. Niente di nuovo.
3. La «Russia unita» conserva comunque la maggioranza costituzionale, seppure non ne abbia molto bisogno pratico (si veda il punto precedente). Niente di nuovo.
4. La votazione di tre giorni serviva prevalentemente per facilitare gli interventi di correzione di notte, quando i pochi osservatori indipendenti (indipendenti dal Cremlino) non sono operativi per dei motivi fisiologici. Tale modo di organizzare il processo elettorale era stato sperimentato per la prima volta nel periodo dal 25 giugno all’1 luglio 2020, in occasione della «votazione popolare» sulle modifiche alla Costituzione russa.
5. Le elezioni con l’esito noto (per quanto riguarda le percentuali dei partiti) hanno un reale senso pratico: quello di aggiornare i dati ad uso interno dei partiti sulla fedeltà politica dei propri deputati, motivare i deputati che hanno bisogno di essere motivati, sostituire in colpo tutti quelli che devono essere sostituiti al giorno d’oggi. Vale soprattutto per il partito-«vincitore». In sostanza, ancora una volta si tratta di un affare interno alla classe dirigente e non della esecuzione di un processo previsto dalla legge. Niente di nuovo pure su questo fronte.
6. L’unico punto interessante: nonostante tutti gli sforzi dello Stato, la votazione per la Duma si è trasformata in uno scontro diretto tra due fronti politici: tra quello di Vladimir Putin (al potere da quasi 21 anni) e quello di Alexey Navalny (in carcere dal momento del suo rientro in Russia a gennaio – dopo le cure in seguito all’avvelenamento – e perseguitato per la sua attività politica da oltre dieci anni). In particolare, Navalny aveva elaborato già nel 2018 la strategia elettorale «smart voting», in base alla quale tutti i cittadini simpatizzanti alla opposizione dovrebbero votare il candidato meno peggiore tra quelli non appartenenti, almeno formalmente, al partito «Russia unita» con lo scopo di togliergli dei mandati e frammentare la composizione della Duma. I collaboratori – chiamiamoli pure con questo nome generico – di Navalny avevano dunque diffuso anche per le elezioni in questione una lista dei candidati compatibili con lo «smart voting». La squadra di Putin, da parte sua, ha fatto tutto il possibile per mettere fuorilegge i collaboratori di Navalny (i quali, tra l’altro, riuscivano a ricevere alcune linee guida politiche dal leader detenuto) e ostacolare la diffusione delle informazioni sullo «smart voting». Mentre i candidati inseriti nelle liste della strategia di Navalny, pur appartenendo nella maggior parte dei casi ai partiti sostanzialmente affiliati alla «Russia unita», si sono trovati in una situazione ambigua: erano contenti per la pubblicità pre-elettorale e allo stesso tempo erano costretti a dichiarare pubblicamente il proprio distanziamento da Navalny (e poi ho visto diversi oppositori finti infinitamente delusi e arrabbiati per non essere stati riconosciuti dalla suddetta strategia).
Ecco: sebbene l’obbiettivo ufficialmente dichiarato dello «smart voting» era difficilmente raggiungibile a causa dei tradizionali brogli, si è sulla pratica osservato un altro risultato importante. I membri della cosiddetta squadra di Putin si sono dimostrati ridicoli in almeno tre occasioni:
– trovando necessario lottare contro un avversario politico che si trova in una delle situazioni più sfavorevoli possibile (solo una situazione può essere ancora più sfavorevole);
– cercando di beneficiare comunque dello «smart voting» di Navalny;
– mostrando a tutto il mondo la propria fantasia infinita nella organizzazione dei brogli.
Di conseguenza, lo «smart voting» ha contribuito a raggiungere un altro obbiettivo non pianificato, ma molto importante: rendere l’attuale classe dirigente dello Stato ancora meno «simpatica» agli occhi di diversi altri cittadini. Potrebbe (e dovrebbe) essere uno dei tanti passi necessari verso il cambiamento. Stranamente, non tutti lo hanno ancora capito.